Cinque ragioni per andare al mare

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Non avevo idee molto chiare su questi referendum, qualche tempo fa, quindi nelle scorse settimane ho letto più opinioni possibile sui quattro quesiti. Ho trovato – sai che novità – che la chiave per distinguere le persone che ragionano da quelle che non lo fanno è la più banale: chi ci ha ragionato ti spiega che sono temi complessi, e ha dei dubbi. Chi riesce ad articolare tutti e quattro i proprî voti nello spazio di uno slogan, è inutile da ascoltare per farsi un’opinione.

C’è una cosa, però, che anche tutte le persone-che-ragionano davano per scontata, talvolta con una solennità secondo me fuori luogo: che sarebbero andati a votare. Anche quelli che erano per quattro No spiegavano che andare a votare era la cosa giusta da fare, anzi, l’unica cosa giusta da fare. Nella più ragionevole, fra le recensioni che ho letto, Francesco ha formulato il concetto in un chiaro “io non baro”. Non ho incontrato una persona che dicesse «io non vado a votare per far saltare il quorum». Bene. Sono contento di questo senso civico e del rispetto delle regole, però – secondo me – rinunciare al voto non è necessariamente barare.

Difendo la scelta del non voto alle elezioni, pur non praticandola, e difendo la scelta del non voto al referendum, anche se – a questo giro – sono per andare a votare (Sì, No, No, Sì). Tuttavia, mi sembra del tutto ammissibile, e ragionevole, che qualcuno la pensi diversamente. Ci sono almeno cinque ragioni (non cumulabili) per non andare a votare:

1) La posta in gioco è troppo alta
Il dilemma etico è: voglio che sia fatta la volontà della maggioranza o che sia fatta la mia (anche contro la maggioranza)? Perché è inevitabile: ci sono alcune cose che per noi sono più importanti della legge della maggioranza. Tutti useremmo questa strategia per qualcosa che ci sta veramente a cuore. Se domani fosse indetto un referendum per instaurare la pena di morte – lo so che non funziona così, ma seguite il principio – e foste consapevoli che col vostro voto (quale che sia) la pena di morte sarebbe instaurata, andreste davvero a votare? E se non è la pena di morte a convincervi, sicuramente ci sarà qualcos’altro: la non punibilità dello stupro coniugale, l’infibulazione, la condanna a morte per gli omosessuali, etc (tutte cose supportate da più del 50% delle persone, in alcuni Paesi). Molto semplicemente: tutti valutiamo alcuni principî come più importanti del consenso. Naturalmente ognuno avrà poi una (buona/cattiva/pessima) opinione delle priorità altrui, ma questo è parte del gioco: ed è diverso pensare che qualcuno stia barando dal pensare che ha priorità che non condividiamo.

2) La posta in gioco è troppo bassa
È l’argomento opposto al precedente. Due dei quattro quesiti, due dei tre temi, nucleare e legittimo impedimento, hanno subito una variazione rispetto al momento in cui erano stati proposti, e hanno perso molto del loro significato. Il quesito sul nucleare proponeva di abolire una legge che è già stata abolita, quello sul legittimo impedimento propone di abolire una legge che è stata modificata dalla Corte Costituzionale e resa molto più digeribile. Nella pratica, per alcuni, questi due voti sono sostanzialmente irrilevanti. Chi si era interessato ai referendum in particolare per questi due temi potrebbe decidere ragionevolmente di non votare.

3) Sono contro i referendum
Molto semplicemente, si può essere contro il referendum come istituzione. Io stesso non li amo moltissimo. Altri potrebbero spingere questa diffidenza fino a volerne l’abolizione. Ci sono persone che preferiscono una forma più rappresentativa e più mediata di democrazia, una che non prevede plebisciti. Se si è contro l’istituto referendario, non si va a votare. L’ovvio auspicio è che falliscano tutti: naturalmente, qui, coerenza richiede che questo principio non venga meno alla prossima consultazione.

4) Sono contro questi referendum
Ad altri possono piacere i referendum ma non quando sono fatti su argomenti così tecnici che richiedono competenze che il grande pubblico potrebbe non avere. In effetti, in questi giorni, ho sentito più di una persona lamentarsi del fatto che tutti sono diventati degli esperti di fisica nucleare o di management delle risorse idriche. Queste cose, si dice, vanno lasciate agli esperti (quelli veri). È da notare che la persona che non va a votare in opposizione a un referendum su questo tema, può benissimo essere la stessa che pensa di non saperne abbastanza, in un certo senso a maggior ragione.

5) I promotori hanno barato
L’argomento segue questo corso: non si è giocata una battaglia onesta – il fronte dei “sì” ha mentito sia sull’acqua che sul nucleare, facendo passare slogan non veri, e la partita non si gioca in campo neutro. Tante persone andranno a votare pensando che si stia davvero votando per l’acqua pubblica o per l’energia “verde” . In realtà si discute, gli altri lo sanno, della gestione dell’acqua (l’acqua, naturalmente, rimane pubblica). Come ha scritto Pietrino, fare campagna per “l’acqua pubblica” è come se dall’altra parte si fosse fatta campagna contro la “nazionalizzazione dell’acqua”. Allo stesso modo, associare il rifiuto del nucleare alle energie rinnovabili è una scorrettezza. Tutti sono per le rinnovabili, la scelta è fra nucleare e idrocarburi. Il nucleare ha diversi problemi irrisolti, quello delle scorie prima di tutto, come riconoscono anche i fautori: quello che sostengono è che petrolio gas e carbone inquinino di più. Dipingerla come una battaglia per le energie rinnovabili e contro l’energia sporca è una menzogna, perché il rifiuto del nucleare passa necessariamente attraverso una predilizione degli idrocarburi. Come ha ben sintetizzato Stealthisnick, “il punto è che per [gli antinuclearisti] le rinnovabili dovrebbero diminuire la quota del nucleare, mentre [per i nuclearisti] dovrebbero diminuire la quota degli idrocarburi”.

Insomma, non tormentate il vostro amico che ha deciso di non andare a votare e ve ne spiega per bene le ragioni. E, soprattutto, risparmiateci la battaglia degli avatar su Facebook!

Il referendum fa acqua

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Io mi faccio una doccia tutte le mattine. Per igiene, per svegliarmi, per “sentirmi bene”, per abitudine, e perché è un bel passatempo. Qualche volta d’estate ne faccio una seconda, nello stesso giorno. Penso che qualcuno me la debba far pagare.

Il referendum, eccolo lì. Quelli per il “Sì” ai due quesiti sulla gestione pubblica dell’acqua dicono che è l’unico modo per fare sì che costi meno, quelli per il “No” dicono che è invece con la gestione privata che l’acqua costerebbe di meno, e il servizio funzionerebbe meglio. Io, invece, voglio che l’acqua costi di più.

L’acqua costa troppo poco. Mi son fatto due conticini: un litro d’acqua del rubinetto costa, in media, meno di 0,001 euro. Dieci litri d’acqua costano meno di un centesimo. Aprite il portafoglio, prendete quella monetina di rame e pensate a quanto occupano dieci litri d’acqua. C’è chi, in bottiglia, la paga 2 euro. C’è poco da fare: se una cosa è praticamente gratuita è molto difficile convincere le persone a non sprecarla. Se davvero è un bene “prezioso”, come si sente dire spesso, è giusto che costi.

Nella città in cui vivo c’è la congestion charge, vuol dire che se vuoi entrare in città devi pagare più di 10 euro a volta. Con quei soldi ci fanno i parchi e le piste ciclabili, oltre a tutto il resto. Io vado in giro in bici, e mi godo la città. Grazie a quel disincentivo, probabilmente, andrei in giro in bici anche se avessi la macchina, come difatti fanno in molti.

Quindi, ecco, se mi volete convincere a votare l’uno o l’altro ditemi l’opposto: che costerà di più, che quelli come me ne sprecheranno di meno.

EDIT – Qui c’è una guida ai quattro referendum.

Il verdetto

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Ecco il verdetto del pronostico di Distanti saluti sul ballottaggio di Milano – la media di tutti quelli che hanno pronosticato è stata:
Giuliano Pisapia 53,96980652%
Letizia Moratti 46,03019348%

Se l’affluenza si mantenesse – come sembra – vicina a quella del primo turno, sarebbero 354 mila voti per Pisapia e 303 mila per Moratti, con uno scarto di oltre 50 mila voti. Il pronostico più alto per Pisapia è stato 67%, mentre il miglior risultato per Moratti è stato 52%. Quest’ultima è stata pronosticata vincente soltanto tre volte (su 47 pronostici validi) e sempre con percentuali inferiori al 55%. In quindici – fra cui me – hanno pronosticato Pisapia sopra il 55%.

Qui trovate il file Excel con tutti i pronostici.

Vediamo quanto ci siamo andati vicini. Più tardi, a risultati definitivi, aggiornerò questo post con il vincitore – quello, fra tutti, che ci è andato più vicino. A lui o lei andrà come premio la possibilità di impormi un post su Distanti saluti, senza che io possa obiettare nulla, anche scrivendo “Dio c’è” o – il Cielo ce ne scampi – “Forza Juve”.

EDIT – Dispiace per Alberto L, che aveva detto 55% e Toby che aveva detto il 55,3%, che ci sono andati vicini, ma ha vinto Francesco D, con il suo 55,2%

Mladic

Sono nato in Europa nel 1983. Diversamente da tanti che sono venuti – 500, 100, 50 anni – prima di me non ho mai potuto immaginare le trincee, le bombe, i carri armati. Non ho mai potuto immaginare l’Inghilterra e la Francia né la Francia e la Germania che si fanno la guerra, come era stato dall’inizio della storia. Non ho mai potuto immaginare massacri, sangue, colpevoli, vittime e tormenti. Sono stato fortunato per tutto questo, e per questo posso dirmi orgoglioso di essere europeo.

Ci ho pensato tutto il giorno e non ho trovato altre parole – sono nato in Europa nel 1983, e se in vita mia c’è stata una ragione per vergognarsi di essere europeo, questa è stata Srebrenica:

Ho capito che disprezzo

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Con quella sinuosa linea di masochismo che abbiamo spesso nel voler guardare negli occhi la miseria del mondo, mi sono messo a leggere il racconto di Lara Logan, la giornalista aggredita e ripetutamente violentata in piazza Tahrir, al Cairo, durante le rivolte del febbraio scorso.

A meno di metà ho dovuto smettere, con le lacrime negli occhi, per la rabbia, lo sconforto, l’impotenza, la vergogna di appartenere al genere umano. Sembra un’esagerazione, ma non c’è nient’altro di fronte a frasi come “bene, ora si tratta soltanto di sopravvivere. Devo solo arrendermi all’assalto sessuale. Cosa possono fare di più? Sono dentro di te ovunque”.

Ho capito che disprezzo chi, fino a ieri (e forse anche domani), ha messo in dubbio che lo stupro fosse davvero accaduto, o l’ha minimizzato, perché finora Logan aveva deciso – nella propria intimità – di non raccontare gli agghiaccianti particolari di quello che era successo.

Ho capito che disprezzo tutti coloro che riusciranno a pensare al cui prodest? di questo racconto terribile prima di diversi minuti di costernazione.

Ho capito che disprezzo coloro che useranno questo racconto per screditare le rivolte arabe di questo inverno. Perché sotto la dittatura di Mubarak le cose erano identiche. L’Egitto di Mubarak – e, purtroppo, quello di oggi – era il Paese dove il 97% delle donne straniere, e l’83% delle donne egiziane denunciavano di aver subito qualche tipo di molestia sessuale. Dove 9 donne su 10 hanno subito mutilazioni genitali femminili. Cairo è la prima città inserita nel progetto Secure Cities di Unifem. È la città che ha vagoni speciali riservati alle donne nella metropolitana. Lì, sulla questione delle molestie sessuali, sono stati scritti articoli, fatti filmdocumentarî.

Ho capito che disprezzo coloro che diranno «così Logan sta infangando gli egiziani» ché sono come Berlusconi quando disse a Saviano che infangava gli italiani nel raccontare che in Italia esiste la Mafia.

Ma la cosa che ho capito più forte è che quelli che più disprezzo sono quelli che, senza un minimo di pudore o una pausa per elaborare l’angoscia, diranno «eh, ma queste cose succedono anche da noi» – razzisti dello stupro, razzisti del noi loro – che, quando cose del genere succedono “da noi” non si sognerebbero mai di dire «eh, ma queste cose succedono anche in Egitto».


Apologie e contro

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In questi giorni ho riflettuto molto su come la gente usa l’espressione “estremismo”, e volevo scrivere un post per spiegare quanto – per certe cose – siamo tutti estremisti: contro la schiavitù, ad esempio. Il problema è, appunto, non l’estremizzare ma le idee che si estremizzano. Lo volevo chiamare “apologia dell’estremismo”.

Poi mi sono reso conto che quel titolo lì è una sorta di marchio di fabbrica, che quando ci sono cose comunemente celebrate che io invece critico, o quando ci sono cose comunemente criticate che io approvo, finisco per dargli sempre il medesimo titolo. Nel primo caso lo chiamo “contro X” e nel secondo caso lo chiamo “apologia di Y”.

Così ho pensato bene di andarli a raccogliere: per certi versi sono fra le cose migliori che ho scritto, e ci sono dentro molte delle cose che penso. Chi vuole può andarseli a leggere, senza farsi fuorviare troppo dal titolo.

  • Apologia della prostituzione
    Un vero capitalista non mette bocca su un atto di capitalismo fra due adulti consenzienti.
    Un vero socialista non mette bocca su un atto di socialismo fra due adulti consenzienti.
  • Apologia dell’invidia
    Accusare qualcuno di essere invidioso è accusarlo di volere essere, o avere, cose migliori di quello che ha. Checché ne dica Berlusconi, se non fosse per l’invidia vivremmo in un mondo peggiore.
  • Apologia dei tifosi della Lazio
    O del tifare contro. Le rivalità sono anche questo. È il suo bello. Quella volta i laziali tifarono contro la propria squadra, e fecero bene.
  • Contro la famiglia
    Il concetto santificato su cui si fonda l’aura di sacralità che cinge la famiglia è quello dell’amore a prescindere: ma siamo sicuri che sia una bella cosa?
  • Contro il patriottismo
    È scemo avere alta stima d’una cosa che c’è capitata per caso, come il codice fiscale. Le persone che dicono d’essere fiere d’essere nate in un posto direbbero lo stesso se fossero nate in un altro.
  • Contro questo femminismo
    E insomma, hanno fatto una manifestazione delle donne, e hanno detto che ne era in gioco la dignità. Non doveva essere delle donne, e non c’entrava nulla la dignità.
  • Contro lo sciopero, in genere
    Non l’ho articolato bene, ma a me questa faccenda che ogni minuscola categoria difende sé stessa – i metalmeccanici brianzoli coi capelli rossi di nome Marco – non mi va proprio giù.

Quelli che devo ancora scrivere:

  • Apologia del proselitismo
    Permettere agli altri, e viceversa, di convincerti delle loro ragioni è la cosa più bella che c’è. Qui una parte.
  • Apologia della blasfemia
    L’intenzione di offendere è scema, ma esserne offesi è ancora più scemo.
  • Apologia dell’estremismo
    È solo il nome che diamo alle idee che non ci piacciono. Io sono estremista della libertà di parola.
  • Contro il rispetto
    L’unico modo per rispettare una persona è non rispettarne le idee.

Vittorio Arrigoni era un loro nemico

Ero ancora sveglio quando si è saputo di Arrigoni e mi sono messo a scrivere.
Questo è quello che ne è venuto fuori la mattina dopo. Pubblicato ieri sul Post.

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È notte, a Gaza è ancora più notte, e ho appena ricevuto la notizia dell’assassinio di Vittorio Arrigoni. Probabilmente ci avrei litigato tutta una sera parlando di Palestina davanti a uno knafe, e sono ora qui con gli occhi gonfi. Riesco a pensare soltanto “non ci posso credere”, anche tutte le persone che conoscevo giù in Palestina scrivono o dicono la stessa cosa: “non ci posso credere”.

Inutile nasconderlo, mi sono domandato: “poteva capitare a me?”. Quando sei lì ci scherzi sempre su, è una cosa alla quale capita di pensare – insieme agli altri volontarî – ma che non prendi mai sul serio: «la Palestina è il posto più sicuro al mondo: c’è un soldato a ogni incrocio!». E poi, senza crederci per davvero: «i Territorî Occupati non sono Gaza, è lì che rapiscono la gente». E invece l’hanno rapito per davvero, e l’hanno ammazzato.

La notizia me l’ha data un’amica che ha lavorato a Gaza e ora collabora con le Nazioni Unite in Egitto. Con lei abbiamo il macabro rito di sentirci ogni volta che in quella terra maledetta succede qualche disastro: qualche notte fa mi ha chiamato in lacrime dopo aver letto dell’uccisione di Juliano Mer Khamis. La sua incredulità è stata ancora più caustica e scoraggiata: «non ci posso credere. Vittorio Arrigoni. Cioè, ma uccidete uno di noi dell’Onu semmai», mi ha detto. È il modo disperato di provare a entrare nella mente di questi farabutti, di provare a misurare la realtà con il loro metro pazzoide, per appigliarsi anche al più piccolo barlume di spiegazione razionale.

Arrigoni non era uno spirito libero. Era devoto anima e corpo – e mai così tanto il suo corpo era lì – alla sua precisa idea di lotta per la liberazione della gente in Palestina. Era la più pro-palestinese e la più anti-israeliana delle voci che si potessero ascoltare sul Medio Oriente. Non è bastato questo bagaglio di verità ideologiche, pregiudizî che non gli ho mai scusato, ad acquietare questi assassini. L’infame sorte, come era stata quella di Angelo Frammartino, di morire per mano di coloro per cui stai provando a lavorare – forse la cosa più vicina all’essere un martire, uno shahid – rende questa morte ancora più straziante e assurda.

Per questo ci sono già i soliti rintronati che gridano al complotto sionista – deve essere stato il Mossad: niente di quello che Arrigoni faceva, scriveva, diceva, poteva suggerirlo come bersaglio. Ma queste canaglie non ci odiano per quello che facciamo, scriviamo o diciamo. Ci odiano per quello che siamo. Vittorio Arrigoni corrompeva con i suoi “vizî occidentali” la gioventù mussulmana, e veniva dall’Italia, un “Paese infedele”. Non c’è niente di più simile al razzismo: l’odio nei confronti dell’altro non per quello che fa, né per quello che pensa, ma per ciò che è.

Mi è tornato in mente il racconto di un medico della Croce Rossa sulla morte di un suo collega in Afghanistan. Il medico era stato rapito da un gruppo islamista che voleva uccidere tutti gli stranieri. Una volta portato davanti al capo, però, c’era stata un’epifania: questi aveva visto lo stemma e si era ricordato che alcuni medici della Croce Rossa gli avevano salvato la vita da bambino. Purtroppo non era bastato, Dio voleva la morte di qualunque straniero, e Dio era più importante di qualunque fetta d’umanità. L’incapacità di rimanere umani, avrebbe detto Arrigoni.

In questo sordido esito di sangue c’è una sorta di comunione laica che anche coloro che non erano d’accordo con una sola parola di quelle che scriveva Arrigoni – e io non ne condividevo molte – devono riconoscere. Gli islamisti che avevano rapito Arrigoni hanno dato il loro verdetto. È un verdetto che ha a che fare con il riconoscere che il mondo non si divide in sfruttati e sfruttatori. Che c’è chi odia l’Occidente quale che siano le cose che i suoi cittadini fanno. Persone che ce l’hanno con noi, tutti, indipendentemente dalle nostre azioni. E persone che hanno detto chiaramente una cosa semplice: che Vittorio Arrigoni era un loro nemico. Noi lo sapevamo, ricordiamocelo oggi.

Ieri ho festeggiato il mio diciottesimo compleanno

Un mese fa diverse persone con cui non avevo contatti da anni e anni hanno ricevuto il seguente invito:

A diciott’anni ero un trentenne snob che non voleva festeggiare il proprio diciottesimo compleanno perché era un evento troppo mondano, club, discoteche, eccetera. Ora che ho quasi trent’anni, e la giovinezza di un diciottenne: sono pentito! Troppo tardi? Non è vero.

Perciò sabato 26 marzo festeggerò il mio diciottesimo compleanno – dieci anni dopo, ma come se non ci fossero.Questo vuol dire che inviterò solo persone che conoscevo a diciott’anni (le altre, categoricamente escluse), che avrei potuto invitare. Con alcune di queste non ci sentiamo da tre, cinque, anche dieci anni. Non importa, perché siamo nel 2001, non nel 2011: le Torri Gemelle sono ancora lì, e la Roma sta per vincere lo scudetto. Il mondo sta per cambiare, scegliete voi per quale di questi due eventi.

Naturalmente, l’invito conteneva anche una clausola:

Vestiti come ci saremmo vestiti a quel tempo, con la musica che avremmo ascoltato a quel tempo, mangiando le cose che avremmo mangiato a quel tempo.

E insomma, abbiamo fatto la mia festa dei diciott’anni dieci anni dopo. Avevo preparato diverse attività da diciottenni, ma alcune le abbiamo saltate – in fondo, se avessi dovuto fare proprio quello che facevo io a diciott’anni non avrei fatto la festa (perché ero un trentenne snob…). Però ci siamo divertiti, e abbiamo provato a impersonare i nostri personaggi.

E vabbè: di tutte le storie vi racconto quella di Massimiliano, perché ho la foto che la testimonia. Io ho fatto un liceo abbastanza di destra, e Massimiliano era il tipico ragazzo del liceo che si definisce “fascista”. Come lo si fa a diciott’anni, figuriamoci. Lui arrivò in classe nostra il quarto anno, e buona parte di quell’anno lo passammo con minacce “de menatte, perché sei comunista”. Non che io fossi tanto più intelligente, anzi: ero bello scemo anche io, e – ci ripensavo proprio ieri – ero molto più cinico.

Poi, il primo giorno del quinto anno, ci ritrovammo per primi davanti ai cancelli della scuola (per prendere l’ultimo banco). Potevamo litigare, o spartircelo. Decidemmo per la seconda. E diventammo amici, io “comunista” lui “fascista”, con uno strano rispetto degli opposti, che poi ho scoperto non essere tanto raro. E, a parte quello, da lì ci siamo sempre voluti bene, e anche se non ci vediamo per anni, Massimiliano è una di quelle persone che, quando mi viene in mente, suscita il più immediato “speriamo gli vada tutto bene nella vita”.

Lui aveva una storia travagliatissima con Caterina, anche lei in classe nostra, si mettevano insieme e si lasciavano, si lasciavano e si rimettevano insieme. Poi, qualche tempo dopo il liceo si erano lasciati, e non si erano più visti per anni. Soltanto qualche mese fa si sono rincontrati, sono ritornati assieme, e ora vivono assieme: giusto in tempo per tornare fidanzati alla mia festa.

E insomma: ieri abbiamo impersonato gli scemi che eravamo, e ci siamo fatti questa foto per ricordare i tempi andati. Vestiti come al tempo, in posa come ci saremmo messi al tempo.

“Da brividi”

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Ieri ho fatto un post sulla Libia che è stato letto un sacco in giro, addirittura una decina di persone mi ha chiesto l’amicizia su Facebook specificando che aveva letto il post e ne aveva condiviso i contenuti. È stato utile a me per chiarirmi le idee, e sono contento che sia stato utile ad altri.

Ovviamente ci sono stati anche pareri contrari. Ci siamo tutti abituati, fa bene ed è naturale. Io, per quanto posso, cerco sempre di rispondere il più possibile ai commenti dei post, specie a quelli critici. È l’unico modo per far progredire la discussione e in passato ho conosciuto un sacco di gente che mi ha insegnato un sacco di cose.

In questo caso, però, sono rimasto di stucco nel constatare come non ci fosse nessuno spiraglio d’apertura al dialogo. Prendo l’esempio del Post perché gli devo molta della diffusione dell’articolo, ma è una cosa comune anche nelle altre sedi. Avevo iniziato a leggere i commenti, per vedere quelli a cui dovevo una risposta, e mentre li scorrevo pensavo mentalmente “a questo ho risposto nel post”, “questo sta rispondendo a una cosa che io non ho detto”, “questo risponde per slogan”, e così via.

Insomma, esattamente quello che avevo scritto di voler evitare. Per rispondere, avrei dovuto ricopiare pezzi del post, perché la maggior parte replicava cose a cui avevo già risposto. In diversi casi mi sono domandato: ma l’hanno letto il post a cui stanno rispondendo? Nessuno che contestava puntualmente un argomento: quello che avevo detto nel post, e cioè che non c’è niente al mondo che possa far cambiare idea a queste persone. E quindi è impossibile instaurarci una discussione: qualunque cosa succeda confermerà la loro opinione.

Se ho spiegato perché gli interessi degli Stati sono irrilevanti e dobbiamo pensare alla vita della gente in Libia, se ho spiegato perché  fare poco è meglio che fare nulla (e quindi chiedersi “perché qui no?” non è un’obiezione), puoi contestare la consistenza logica dell’argomento, puoi dirmi che l’intervento non sarà di beneficio ai libici, puoi tirare in ballo altre obiezioni, ma non puoi rispondere: «eh, lo fanno per interesse! Perché non in Bahrain?».

E poi mi è venuto da ridere pensando che hanno torto pure dall’interno della loro ossessione cospirativa: oggi è «l’Occidente è invervenuto in Libia per interesse, si vede dal fatto che non interviene in Bahrain!». Potrei scommetterci un piede che se domani Francia e Inghilterra intervenissero in Bahrain inizierebbero a strillare: «l’Occidente è intervenuto in Bahrain per interesse!»

(il titolo è rubato a un commento che, scorrendo ossessivamente il post per cercare di obiettare qualcosa, è arrivato all’ultima frase senza trovare niente. Allora ha deciso di prendersela con quella, che fra l’altro avevo ripreso dall’Independent)