Martedì 5 agosto / sera

Pampini – Diario dalla Palestina 29

È incredibile come qui i bambini siano lasciati in libertà, una battuta sarcastica sarebbe: «tanto ne hanno così tanti che uno più uno meno…» (6 figli sono la norma, 10 non sono straordinari). Però la verità è che funziona, o così pare. Quando ci sono le uscite, per i mercati affollati, nessuno si preoccupa, se il gruppo di bambini si disperde, nessuno sta a contare che ci siano tutti. Fanno cose pericolosissime, si arrampicano su staccionate belle alte, prendono in mano fili spinati, cose per cui le mamme italiane morrebbero di crepacuore. E non si fanno mai male

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Potrebbe avere a che fare con questa inclinazione alle cose pericolose il fatto che l’unica parola araba che mi è entrata nella testa – e da almeno 5 giorni – è “no”, la. Alle altre parole ci devo pensare, o comunque devo scegliere di usarle. La, invece lo dico automaticamente, è la prima cosa che mi viene, anche se sto parlando in italiano o inglese, più volte mi è capitato che mi scappasse un «la». Sarà che lavoro con i bambini particolarmente scapestrati (vivaci, direbbe un’insegnante con gli occhiali, e un po’ trombona), sarà che con tutte le cose che ti offrono – ovunque tu vada – è assolutamente necessario dire di no, perché alla prima esitazione sei ricoperto di cibo, regali, profferte, sarà quel che sarà, ma quando è la è la.

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Tesi, antitesi e sintesi. I bambini hanno detto che Giovanni è troppo difficile, e mi hanno chiesto se ho un soprannome, invitandomi a nozze perché farmi chiamare Paco mi piace, e piace anche a loro, sembra. Così mi chiamano Paco, anzi Baco, perché la p e la b in arabo si confondono: non sono stato a spiegar loro che baco, in italiano, è un’altra cosa.

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