Omofobia e calcio, la storia di Graeme Le Saux

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per Il Post

Omofobia è una brutta parola, perché decide che l’unica fonte d’odio per gli omosessuali è la paura deliberata (-fobia). In realtà il disprezzo per gli omosessuali ha molte forme: la repulsione, l’odio diretto, l’ignoranza schietta, il conformismo che ride del diverso, e in generale un approccio acritico, che non si domanda davvero che bene o male possa fare un omosessuale, ma si affida a quello che ne pensa l’ambiente che si ha attorno. E l’ambiente è spesso maschilista, banale, ferocemente canonico.

Per questo è difficile ragionare su come sia giusto rapportarsi a Sarri, che è semplicemente il prodotto di una mentalità: Sarri, ovviamente e al contrario di come ho letto, non voleva offendere la comunità omosessuale, né voleva suggerire che Mancini fosse davvero omosessuale. Sarri appartiene a un ambiente, e più in generale una cultura, dove l’impiego della parola “frocio” è uno dei possibili insulti, e lo è perché è il contrario di essere “un vero uomo”, dove essere-un-vero-uomo è qualcosa di auspicabile.

E come si cambia un ambiente? Come si cambia una cultura? Molti fanno riferimento, anche in questo caso, al “modello inglese” – lo stesso Mancini ha detto che, in Inghilterra, Sarri verrebbe squalificato per due anni – ed è vero che nel calcio inglese c’è stata una rivoluzione di mentalità. A questa hanno contribuito più di tutto due storie: quella tragica di Justin Fashanu, e quella di Graeme Le Saux. Mentre la storia di Fashanu è stata spesso raccontata, quella di Le Saux è quasi del tutto sconosciuta, in Italia.

Le Saux
Graeme Le Saux

Graeme Le Saux è stato un terzino sinistro del Chelsea e di altre squadre inglesi: era considerato un grandissimo talento, che non ha pienamente corrisposto alle aspettative che si avevano su di lui, storia abbastanza comune. In Inghilterra, però, è conosciuto per un altro fatto: per tutti gli anni 90 è stato dileggiato, irriso, preso in giro e accusato di essere omosessuale, una vicenda che tutti gli spogliatoi, tutti i talk show, e tutte le tifoserie conoscevano e – a modo loro – sfruttavano. Incidentalmente, Graeme Le Saux non è omosessuale: il che dovrebbe essere un dettaglio irrilevante. Le Saux ha raccontato la propria vicenda nella sua autobiografia: “non sono gay, e non lo sono mai stato, ma sono diventato vittima dell’ultimo tabù del calcio inglese”.

In un passaggio titolato giornalisticamente dal Times “Come l’accusa di essere omosessuale ha rovinato la mia carriera”, racconta la classica pressione all’omologazione che c’era nello spogliatoio e il sillogismo strano=omosessuale: “Siccome avevo interessi diversi, siccome non mi sentivo a mio agio nella cameratesca e machista cultura dell’alcol che era dominante nel calcio inglese di fine anni 80, fu dato per scontato dai miei compagni di squadra che in me c’era qualcosa di sbagliato. Ne seguì, naturalmente, che dovevo essere gay”.

Tutto cominciò nell’estate del 1991, quando Le Saux era un ragazzo appena uscito dalle giovanili. Durante quella stagione aveva fatto amicizia con un compagno di squadra (per di più nero, del Suriname) chiamato Ken Monkou e avevano fatto un viaggio assieme. Al ritorno dalle vacanze, i compagni gli avevano chiesto delle proprie vacanze e Le Saux aveva raccontato del viaggio. Da questo banale episodio cominciò a diffondersi nello spogliatoio la battuta su “Le Saux che va in campeggio con Monkou”. Risate.

La battuta da spogliatoio fu replicata. Le Saux stesso dice che, al tempo, era un ragazzo sensibile alle offese e piuttosto ingenuo e prendeva le cose più seriamente di quanto avrebbe dovuto, e anziché ridere delle prese in giro – come la cultura da spogliatoio gli richiedeva – reagiva e protestava. Non so quanto non reagire l’avrebbe aiutato, perché è una situazione senza via d’uscita: se non reagisci all’accusa vuol dire che quell’accusa è veritiera; se reagisci, è perché hai qualcosa da nascondere. In entrambi i casi è “vedi, ti ho fatto tana”. Nei fatti, sei spacciato.


Le Saux ha detto che nei momenti peggiori, periodi simili alla depressione, ha pensato seriamente di smettere di giocare. Non avremmo visto questo pallonetto a niente meno che Peter Schmeichel

Un altro fattore che confermava i pregiudizî dei compagni sulla sua stranezza, e quindi sulla sua omosessualità, era che Le Saux leggesse il Guardian, un quotidiano generalista, e per di più di sinistra e con un’aura intellettuale. Una volta Andy Townsend, un compagno di squadra, lo vide leggere il giornale, glielo prese dicendo di voler leggerlo, e dopo un paio di secondi glielo rilanciò a terra dicendogli «ma non c’è un cazzo di sport qui dentro!». Il resto della squadra scoppiò a ridere.

“Tutto quello che facevo veniva usato come prova che fossi omosessuale: come mi vestivo, la musica che ascoltavo, il fatto che andassi alle mostre, I giornali che leggevo, erano tutti indizî che andavano a confermare il loro pregiudizio sulla mia sessualità”.

Le Saux diventò oggetto di prese in giro giornaliere, e con la fama le cose peggiorarono. “In quei giorni, se qualcuno pensava che tu fossi anche solo un poco effemminato, eri nei casini”.  Il pettegolezzo si diffuse agli allenatori, alla società, e a settembre “quello che più temevo si concretizzò”. Durante una partita col West Ham, il tifosi avversarî cominciarono a cantare sul motivo di Go West “Le Saux, takes it up the arse” (Le Saux lo prende nel culo). “Pensai: o mio Dio, è finita. Sapevo che da quel momento in poi i tifosi di qualunque squadra mi avrebbero rovinato la vita”.

Il coro divenne una costante. Se c’era un momento di vuoto nella partita, se non c’era un gol, un’azione o un altro canto da fare, quel coro era l’opzione di riserva. Quella sempre a disposizione. Da questo, dice Le Saux, capisci molto della mentalità delle masse: se la partita comincia male, dirigono la loro rabbia e frustrazione verso di te. “La varietà degli insulti che la gente indirizza agli omosessuali diventò la materia nella quale sono specializzato”.

“Provai a prevenirlo facendo il macho – pensate che vita miserabile deve essere, cercare di manifestarsi come macho in ogni cosa che si fa in campo – la cosa peggiore era quando andavo a battere un calcio d’angolo, e vedevo le persone a pochi metri da me, gente livida di rabbia che mi urlava insulti”. Un episodio che lo colpì molto accadde ad Anfield Road: andò a battere un fallo laterale e vide a pochi metri di distanza un bambino di non più di dieci anni che gli gridava «frocio, lo prendi nel culo!», con il padre del bambino che anziché sgridarlo si associò a lui negli insulti.


Le Saux che fa il macho, qui una rissa in campo con il suo compagno di squadra David Batty

E ovviamente cominciarono i giocatori avversarî: un caso eclatante fu quello di Paul Ince, con cui Le Saux aveva sempre avuto un bel rapporto. Durante una partita, Ince aveva provocato varie volte Le Saux con il solito insulto – “frocio, frocio!” – e dopo avergli fatto un fallo, con Le Saux a terra, gli disse: «alzati, signorina, non ti sei fatta nulla». A quel punto Le Saux rispose con un insulto alla moglie di Ince. Questi impazzì, per tutto il resto della partita provo a spezzargli una gamba, e sulla via degli spogliatoi gli tirò un cazzotto. “Voleva ammazzarmi”, dice Le Saux aggiungendo di non essere orgoglioso dell’insulto alla moglie di Ince, ma “volevo fargli provare un po’ della stessa moneta”.

In tutto questo c’era un dilemma piuttosto ovvio, e cioè che smentire le accuse, rispondere gli insulti, lo mettevano in una situazione davvero complicata: era difficile continuare a negare, con sempre più forza, di essere omosessuale, senza essere irrispettosi nei confronti degli omosessuali stessi. “Mi sono domandato se fosse diffamatorio essere chiamato omosessuale dato che non lo ero”, dice Le Saux, in una domanda che riecheggia la sciocca attenuante data a Sarri sulla non omosessualità di Mancini. “Ma nel calcio penso che lo sia, perché uno si deve difendere: ammettere di essere gay può voler dire la fine della tua carriera”, nessuna squadra ti cerca più, nessun allenatore ti vuole più in squadra perché pensa che potresti creare problemi allo spogliatoio. “È un atto d’accusa per il calcio, ma è così”.

Il più bel gol di Le Saux con la maglia della Nazionale

Il culmine della vicenda capitò in una partita contro il Liverpool. Robbie Fowler, attaccante noto per le sue trovate, fece un fallo su Le Saux, seguito dal solito “alzati ricchione”. Poi si piegò con il sedere verso Le Saux come a dirgli “vieni, vieni, è per te”. Il guardalinee aveva visto tutto, e Le Saux andò da lui a chiedergli cosa pensasse di fare. “Vidi su di lui uno sguardo di una persona nel panico”. Quando Le Saux disse che non avrebbe ripreso a giocare se la terna arbitrale non avesse preso provvedimenti, l’arbitro ammonì Le Saux stesso per perdita di tempo. Le Saux dice che quella fu un’occasione in cui il calcio avrebbe potuto prendere una posizione: se l’arbitro avesse espulso Fowler, tutto il sistema calcio si sarebbe dovuto confrontare con il problema che aveva. “Forse avrei dovuto rifiutarmi comunque di battere se non lo avesse espulso, e così venire espulso io, ma non mi andava di diventare un martire della causa”.

Fowler continuò con lo stesso gesto nel corso di tutta la partita, quindi Le Saux andò da lui e gli disse: «Robbie, c’è la mia famiglia sugli spalti». Fowler rispose: «anche Elton John era sposato!» o «sticazzi della tua famiglia», a seconda di quale delle due versioni si ascolta. A quel punto Le Saux non ci vide più, e, a palla lontana, tirò una gomitata sul viso a Fowler. Qualche settimana dopo Fowler ne fece un’altra delle sue, e dopo un gol andò a sniffare una riga del campo, come fosse cocaina: la cosa curiosa è che lo fece per smentire e prendere in giro le voci e calunnie che lo accusavano di essere cocainomane, proprio come voci e calunnie erano quelle che avevano armato il suo comportamento nei confronti di Le Saux. Ma né lui, né Ince (insultato più volte per il colore della pelle) si resero conto della similitudine. Il paradosso, dice Le Saux, fu che la federazione diede a Fowler una punizione molto peggiore per quello che era solo uno scherzo, che non insultava nessuno, che non per il suo atteggiamento nei confronti di Le Saux.


Uno dei gesti di Fowler, e la gomitata di Le Saux

Da quel momento, comunque, i cori cominciarono a diventare meno arrabbiati e a rarefarsi. Era scaturito un dibattito, sulla puerile crudeltà di quel trattamento. Anche Le Saux cominciò viverla più serenamente: “quello che Robbie aveva fatto era sempre stata la mia più terribile paura, ora che era successo, non c’era nulla di peggio che poteva capitarmi”. Quasi a fine carriera, le cose per Le Saux migliorarono, “Comunque, sentii una sensazione di grande sollievo quando mi ritirai”.

Indipendentemente dal fatto che la federazione inglese non prese dei provvedimenti serî, questa vicenda segnò un’evoluzione della consapevolezza del problema del rifiuto dell’omosessualità nel calcio. Si aprì un dibattito, e la sola manifestazione del problema, ignorato per la gran parte da tutti, servì a confrontarcisi e trovarne soluzioni. Naturalmente l’Inghilterra non è il paradiso: il disprezzo per gli omosessuali non è sparito, come non è risolto il problema del razzismo; ma è nota qual è la linea collettiva, quale il pensiero comune e ufficiale, quale l’aspettativa dei media, ed è di ferma condanna per un comportamento simile.

Oggi Graeme Le Saux lavora per la FA, la federazione inglese, ed è parte dell'”Inclusion Advisory Board”, cioè è membro del direttivo che suggerisce quali siano i metodi migliori per favorire l’inclusione delle diversità nel calcio. L’Inclusion Advisory Board è una di quelle istituzioni le cui iniziative sono criticate da molti come inutili, o di mera immagine, ma che per lo meno testimoniano l’impegno e la direzione che la federazione vuole dare. È la dimostrazione che c’è stato un cambio di mentalità, e che questo cambio di mentalità è arrivato fino alle sedi federali.

Per questo il problema non è Sarri o Fowler. Loro sono solamente la manifestazione del problema. Nei fatti non si può chiedere a tutti i calciatori di essere come Le Saux, un giocatore con uno spirito critico fuori del normale. La cultura di dileggio degli omosessuali che ha respirato negli spogliatoi fin da bambino, ha plasmato il comportamento di Fowler, che è sempre stato un calciatore un po’ più sguaiato degli altri, e nel comportarsi in quel modo, ha semplicemente spinto un po’ più in là il comportamento che tutti consideravano accettabile nei confronti di Le Saux. Per ironia della sorte, il suo farlo in maniera così eclatante ha permesso a tutti di discutere e di modificare quella cultura cosicché i giocatori che vengono formati oggi imparino a non fare gli stessi errori che ha fatto Fowler.

Per conto proprio, un paio di anni fa, Fowler ha scritto su Twitter: “Continuano a dirmene per una cosa che è successa quand’ero un ragazzino, ingenuo e immaturo. Ho chiesto scusa a Graeme Le Saux e lui ha accettato. Ovviamente sono imbarazzato se mi guardo indietro, ma purtroppo non posso cambiare quello che è successo. Si impara dagli errori crescendo, e io ho imparato”.

 

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