Sabato 17 gennaio

Onore al sofferente amico del popolo – Diario dalla Palestina 137

Tutti coloro a cui racontano l’assurdità di quello che mi è successo, qui in Palestina, mi cospargono di una solidarietà – sicuramente eccessiva, ma sentita – che mi mette in imbarazzo. Tantopiù che più d’uno mi ha indirizzato frasi come «ora puoi capire davvero la sofferenza del popolo palestinese» o «è questo che succede al nostro popolo». Per una bici. Ed è una situazione molto paricolare, perché io non penso che le cose – e soprattutto le sofferenze – si capiscano dal di dentro, anzi spesso si capiscono peggio. Pochissime volte la vittima di un’angheria ha il cuore libero. E in più ho una diffidenza della parola “popolo”, quasi quanto della parola “onore”.

Il tutto è reso ancora più fastidioso dalla consapevolezza che se al posto mio ci fosse stato un palestinese, quei soldati, quei poliziotti, pur nello stesso torto avrebbero trattato molto peggio** il possessore della bicicletta. Così mi trovo a far parte di una cosa di cui trovo distorcente far parte (la vittima), di cui trovo sbagliato far parte (il popolo), e di cui comunque non faccio parte (la discriminazione), e tutto questo nella più cerimoniosa, ma affettuosa e onesta, buona fede. Mi sento viscido.

**Questo è quello che tanti scudieri d’Israele per pregiudizio non accettano, che ci siano delle discriminazioni che vanno al di là delle leggi e cioè discriminazioni d’atteggiamento; che sono naturalmente (endemicamente) meno peggio di quelle legalizzate, ma pur sempre vive, presenti e pestifere. Israele è lo stato per gli ebrei, non degli ebrei. È una differenza rilevante oltre che visibile.

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