Perché chi boicotta la fiera del libro di Torino è antisemita

C’è bisogno di scegliere da che parte stare..?

Bruciano le bandiere israeliane e americane a torinoRaccolta delle olive di solidarietà in PalestinaSpesso l’accusa di antisemitismo viene estesa abusivamente a chiunque critichi scelte politiche dei governi isreliani. È una cosa spiacevole perché strumentalizza, riduce a clava politica, un problema che invece è vivo e presente – e che dovrebbe essere considerato un abominio per la coscienza di tutti e di ognuno.

Tuttavia, proprio perché è una questione infelicemente esistente, vi sono casi in cui l’antisemitismo della parte più comunistoide e conservatrice della sinistra si palesa, e lo fa nella forma e negli slogan più scontatamente fascisti: è il caso del boicottaggio alla Fiera del Libro di Torino.
È sufficiente leggere le dichiarazioni dei sedicenti leader del movimento Free Palestine o dei partiti comunisti presentatisi alle elezioni (insieme hanno totalizzato a stento l’uno percento), per evidenziarne la pretestuosità, per decifrare quale sia il vero obiettivo, quale il fastidio che ottunde le loro menti artate: l’esistenza di uno stato con una maggioranza di ebrei.

In questo caso non si riesce a riscontrare un solo argomento: l’idea di fondo è quella di boicottare (già il boicottaggio come forma di protesta è un dispositivo mentale precario e petulante) qualsiasi cosa provenga da Israele – fossero anche le migliori idee; l’anno scorso gli ospiti d’onore della Fiera sono stati gli scrittori egiziani, non risultano manifestazioni di protesta al riguardo. Per rendersi conto di quale sia la vita sotto al regime di Mubarak basta guardare l’annuale report di Freedom House che attribuisce un punteggio – più basso è meglio è – agli stati per libertà civili e libertà politiche, la somma delle due fa 2 per l’Italia, 3 per Israele, e 11 per l’Egitto.

Uno si dovrebbe domandare quand’è che – secondo i boicottatori – gli scrittori israeliani potrebbero presentare i loro libri, le loro idee, e la loro cultura. La risposta, evidentemente, è «mai». Il paradosso è poi che sono spesso gli scrittori israeliani ed ebrei – celebre è il trio David Grossman / Amos Oz / A.B. Yehoshua – ad avere le posizioni più critiche nei confronti dei governi che si sono succeduti alla Knesset, oltre che i principali promotori di processi di pace alternativi, della creazione dello stato palestinese, e di iniziative tese alla riconciliazione dei due popoli: come l’ormai nota raccolta di olive insieme ai palestinesi.

Cercando bene, ravanando nell’interno, grattando il fondo del barile, rimestando in quelle schematiche coscienze, non si riesce a strappare un solo argomento per questa nuovo brivido censoreo, questa smania antilibresca. Non un argomento plausibile, ma un argomento qualsiasi: anche uno implausibile però stabile.
E davvero viene fuori che a muovere queste per nulla spontanee manifestazioni è soltanto una cosa: l’odio per una cultura, e quindi per la cultura.

Il risultato però è questo manipolo di scemi e farabutti farà solo una gran bella pubblicità a Yoshua, Oz e Grossman: e questo è un bene.