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Radio Contromano, reprise
Sono entrato nell’account che avevo creato per Paolo, radiocontromano@gmail.com, e ho visto quanta roba gli è stata mandata in questi giorni! Ho visto anche che quasi tutte le email erano segnate come lette, e ciò significa che Paolo l’ha anche iniziate a scaricare e ascoltarsele.
L’ho anche sentito, brevemente, e mi ha detto che c’è un altro rischio, ora: che Paolo non torni indietro per stanchezza, ma per abbracciare ciascuno di coloro che gli hanno mandato dei raccontini, delle barzellette, delle filastrocche, e chissà cos’altro.
Ho anche dato un’occhiata alle prime che erano arrivate, e accidenti – che bello! Io avevo evitato di suggerire canzoni, un po’ perché sono meno personali, e un po’ perché – per motivi di sicurezza in strada – è meglio che Paolo usi sempre soltanto una cuffia.
Però, accidenti, anche quelli che hanno mandato delle canzoni, che bravi!
Le prime tre cose che sono arrivate erano due dei Sigur Ros – il mio gruppo straniero preferito – e di De Gregori – il mio cantante italiano preferito. Sembra fatto apposta! Di De Gregori Compagni di Viaggio, che tutti-certamente-sapranno-da-una-vita – questa la capiscono in due! – essere una specie di cover di Simple twist of fate. E poi i Sigur Ros.
Io sono uno strano, su ‘sta cosa. Io i concerti non li sopporto. Mi annoio: vedo ‘sta gente che canta, anche se mi piace, e mi domando «ma scusa, lo potevo sentire a casa senza tutto ‘sto casino?». E poi ai concerti si ascolta e basta, mentre io – con la musica – devo sempre fare qualcos’altro. Ecco, l’eccezione sono i Sigur Ros: son stato a tre concerti, e mi son piaciuti tutti (su un concerto in particolare, quello di Ferrara, ci sarebbe un sacco da raccontare).
Dei Sigur Ros non parlo più per quella specie di sciocco sentimento di rivalsa che dice: «l’ho scoperti prima io!». Poi, certo, c’è sempre uno che l’ha scoperti prima di te, ma io ricordo una delle prime estati degli anni 2000 andare in giro al mare a chiedere se la gente conosceva i Sigur Ros: così, per divertirsi, e un po’ per scommessa con un amico… che, alla fine, almenouno l’avrei trovato! Perché io c’ho un’altra fisima, non so perché, la prima volta che ascolto un disco non mi piace mai. Lo devo riascoltare e riascoltare, mi deve entrare nella testa e nel tempo, e allora mi piace. Agaetis byrjun è stato l’unico album che non ha seguito la trafila: al primo ascolto mi è subito piaciuto, mi ha folgorato. Così son stato tutta l’estate ad andare in giro a chiedere alla gente se conosceva i Sigur Ros, avrò chiesto a centinaia di persone, le fermavo per strada e chiedevo loro «non è che conosci i Sigur Ros?» no? «Male!». Di tutte le centinaia di persone soltanto una, mi ricordo che si chiamava Francesco: mi consigliò, allora, Finally we are no one dei Mùm. Ora i Sigur Ros li conoscono tutti – li copiano anche a Sanremo – son contento, e quindi non ne parlo più.
Oddio, una volta ne parlai: quando feci ai miei bambini in Palestina la lezione su Hoppipolla – proprio la canzone mandata a Paolo – con tanto di visita all’ospizio, e visione del video. Fu una bella giornata, quella. Una delle poche speranzose.
Vabbè, insomma, ho parlato di tutt’altro: era per ricordarvi – e ricordarlo a me – di continuare a mandare registrazioni, ché Cambridge è ancora lontana – ma ogni giorno un po’ meno.
Il profumo dello stato teocratico
Oggi sono uscite le motivazioni della sentenza che confermavano i 30 anni di carcere per il padre di Hina, la ragazza uccisa dal genitore perché aveva «uno stile troppo occidentale». Traduzione dottrinaria per dire che voleva essere padrona e felice di sé stessa. La sentenza contiene in sé una doppia contraddizione gigantesca, talmente auto-scontrantesi da renderla quasi sensata. Intanto la sentenza dice che Hina non è stata uccisa dal padre per motivi religiosi.
Invece Hina è stata uccisa per motivi evidentemente religiosi. Che sia stata uccisa per motivi religiosi è evidente quanto è evidente che il velo sia un simbolo di sottomissione della donna. È evidente a chiunque abbia letto una sola pagina del Corano o della Sunna, gli Hadith. È evidente a chiunque abbia letto una qualunque statistica sul delitto d’onore in qualunque paese europeo: più del 90% dei delitti d’onore sono commessi all’interno delle comunità d’immigrati mussulmani. È evidente a chiunque sappia che i dieci paesi al mondo con il più alto tasso d’incidenza di delitti d’onore sono tutti e dieci mussulmani.
Questo non vuoldire che tale pratica spregevole sia totalmente appannaggio dei mussulmani: in Brasile oggi, in Italia qualche decennio fa, la questione è presente. Inoltre questo non vuoldire neanche che – un giorno – l’Islam non possa emanciparsene, passando a ignorare tutte le parti del Corano che comandano la sottomissione della donna – similmente a ciò che i cristiani fanno oggi della Bibbia – ma non c’è dubbio che questo progresso, se avvenisse, dovrebbe passare attraverso una vera e propria deislamizzazione dell’Islam, come in una certa misura si è scristianizzato il Cristianesimo.
Le religioni, se ragioniamo laicamente, e così deve fare un giudice, sono dei fenomeni storico-naturali. Iniziano, finiscono, si evolvono. Ogni religione è un sistema di pensiero, a cui ognuno aderisce in misura diversa, come è un sistema di pensiero un’idea politica. Anzi, persino di più. Ciò che uno pensa su come il mondo sia fatto e su ciò che Dio gli chiede condiziona in maniera cardinale il modo in cui le persone si rapportano al mondo e alle persone che lo abitano.
Chiunque di noi fosse certo che, camminando su un cavo dell’alta tesione, ne venisse folgorato eviterebbe di farlo (salvo i suicidi***). Chiunque di noi fosse certo che Dio lo folgorerebbe nel momento in cui si proferisca la parola “albicocca”, semplicemente, non direbbe «albicocca». Chiunque di noi fosse convinto che gli ebrei, o i negri, siano una razza inferiore e spregevole non stringerebbe la mano a un negro o a un ebreo.
E qui veniamo all’altra questione assurda, ed è quella che mi preme di più, perché è lì che si vede quanto siamo ancora ben radicati nella più retriva irrazionalità. Al padre di Hina non è stato riconosciuto il movente religioso, ma qualora lo fosse stato, sarebbe stato considerato un’attenuante. Non un’aggravante. Un’attenuante. La premeditazione, il movente ideologico o politico, tutte queste costruzioni sono considerate delle aggravanti nel nostro ordinamento: se io sono nazista e ammazzo un ebreo perché ebreo ho una pena più grave che se ammazzo un ebreo in una rissa perché mi ha ammaccato la macchina. In entrambi i casi sono uno stronzo, ma nel primo sono un po’ più stronzo. O, ancora meglio, non sono solo uno stronzo, ma sono uno stronzo pericoloso.
Il fatto che credere in un dogma religioso – e un dogma pernicioso come quello della purezza della donna e del suo possesso da parte dei maschi della famiglia – sia considerato una possibile linea difensiva da usare in sede giudiziaria, e non un integralismo del quale cercare di allontanare il sospetto da sé, dà una valutazione spietata dell’effettiva laicità – e quindi uguaglianza – della nostre leggi.
***Faccio notare ai contestatori dei circonflesso la diacriticità, qui, fra “suicida”->”suicidi” e “suicidio”-> “suicidî”.
Grazie a Pietrino
Ushahidi
Ushahidi è un aggeggio creato nel 2007 in Kenya per raccogliere tutte le informazioni possibili dai testimoni oculari sulle violenze perpetrate nell’area a seguito delle contestate elezioni presidenziali di quell’anno. Da quell’esperienza il software è stato usato in varie altre occasioni, e ora è un vero raccoglitore – ufficiale e finanziato anche dall’ONU – di tutte le segnalazioni provenienti dagli sms, dalle telefonate, da internet, dalle mail, da Twitter, dalle televisioni, etc. di emergenze di vario tipo ad Haiti nel post terremoto.
Qui, ad esempio, vedete la mamma delle necessità o delle offerte di soccorso – rifugi, ospedali da campo, servizî sanitarî, etc – anche purtroppo di situazioni infami – cadaveri da rimuovere, incendî, saccheggi, infarti – intorno alla capitale Port-au-Prince (ma la mappa si può allargare). Qui ciascun report in cui sono state espresse richieste d’aiuto. Questo strumento di mappatura è diventato un dispositivo fondamentale nel tentativo di dare una risposta e un’alleviamento alle sofferenze a cui sono purtroppo sottoposti gli abitanti dell’isola caraibica dopo il terribile terremoto. Ushahidi è diventato uno strumento pressoché insostituibile che permette un miglior coordinamento, e un vitale risparmio di tempo, per tutti i tipi di soccorso.
Non so, magari fa soltanto effetto per la necessità di ognuno di noi di riscattare le proprie coscienze dal non stare facendo nulla o abbastanza, ma cliccare sulla mappa il tasto dei soccorsi offerti e vedere comparire tutti questi punti dove ci sono distribuzioni gratuite d’acqua o di cibo, di prestazioni mediche o rifugi per la notte, beh, commuove.
Il tutto assolutamente inimmaginabile solo 15 anni fa. Poi dice il Nobel per la pace a internet.
La bischerata del secolo
C’è una ragione perfino per essere contento, in questa serata calcistica. Che non sono un tifoso dell’Arsenal:
video:
(e anche il primo gol era stato un bel capolavoro del portiere)
Capacità di sintesi
Dal sito ufficiale:
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Incontro con una leghista
Qualche sera fa ho fatto un incontro particolare. Sapete? Ho sempre pensato che qualunque partito, anche i più lontani dalle mie idee, avessero qualche buon motivo per essere votati. Questo non voleva dire che potessi dargli il mio voto, ma che trovassi una qualche dignità nel voto in qualunque direzione ideale. L’unico partito che ha sempre fatto eccezione è la Lega Nord. Non trovo una sola, degna, ragione per votare la Lega che non sia l’egoismo da posizione acquisita (sono del nord, via quelli del sud che sono più poveri; sono italiano, via i non italiani che sono più poveri; etc).
Tale percezione era stata anche fiancheggiata dal fatto che di leghisti ne avessi sempre incontrati pochi, abitando nella Roma ladrona. Conoscete tutti la mia naturale disposizione a discutere di qualunque cosa, così potrete immaginare con quale spinta mi sia tuffato sull’occasione offertami da un’amica comune di parlare con una leghista colta e “per bene”.
C’erano, poi, altre persone. M, piuttosto di sinistra con una venatura di cattolicesimo «Gesù è il miglior filosofo eccetera». V, di una sinistra più riflessiva ma scivolante verso il dipietrismo «Travaglio è come Cassandra». E P, un liberale puro e a oltranza, a cui avevo sentito difendere Berlusconi più di quanto mi piacesse. [Ovviamente qualunque descrizione tradisce la complessità di ciascun individuo, ma è utile ridurre a pochi termini per capirsi]. Insomma, un parterre ben assortito. E poi c’era lei, organica alla Lega, che lavora per il partito, oltre a scrivere per la Padania.
Ovviamente non mi aspettavo una conversazione amabile, le cose che dice la Lega su immigrati e stranieri sembrano fatte apposta per non farmi essere amabile, ma speravo che in un qualche punto del castello d’inferriate, confini inviolabilidi e terre sacre, ci fosse un piccolo spazio per insinuare un dubbio, una contraddizione.
Invece lei era perfettamente coerente con tutto il suo impianto logico, fino ad arrivare alla brutalità delle naturali conseguenze di quella sua filosofia (proprio in senso tecnico), a cui mai pensavo potesse arrivare. In questo senso, almeno, la sua posizione sugli immigrati era abbastanza comprensibile: se ci sono utili, bene, altrimenti restinoaccàsa. Si noti subito il noi e loro sottointeso in qualunque discorso. La sua idea, classica del comunitarismo, era che qualunque cultura avesse valore al proprio interno. Quindi no al cuscus e sì alla polenta non perché la polenta sia più buona (una posizione che avrebbe senso! Però, mi dispiace, è più buono il cuscus), ma solo perché questa è la nostra tradizione. Quindi se in Marocco mangiano solo il cuscus, a dispetto di quelli a cui piace la polenta, fanno bene. Se degli italiani vogliono andare a cucinare il sushi in Giappone, è giusto che gli sia vietato.
In tutto questo M (sinistroide) era abbastanza silenzioso, salvo intervenire le volte che le baggianate leghiste gli sembrassero troppo grosse. V (dipietrista), si poneva con modi da paciere, cercando di contestualizzare ed edulcorare le cose che diceva la leghista, più in quanto amica comune che per effettiva convinzione. Il più combattivo, assieme a me, era P (liberale), che al compimento dato al sistema ideologico leghista è sbottato: «questo è esattamente come la pensa Gino Strada».
Perché è vero, la cosa che più mi ha colpito di tutta la discussione, è quanto fosse chiaramente identica la posizione leghista e quella che – ora – inspiegabilmente tiene una buona parte di sinistra massimalista. Tutto il suo discorso era incentrato sul “chi siamo noi per giudicare le usanze altrui?” (che sottointendeva quindi che questi altrui dovessero lasciare in pace noi sulle nostre usanze). La risposta «un essere umano» non le era sufficiente, perché – anche se non esplicitamente – secondo lei esistevano diverse umanità, e ogni gruppo etnico vive a compartimenti stagni.
È capitato di parlare della mia esperienza in Burkina Faso anti-MGF, la sua frase celebre è stata «io non farei mai una campagna contro l’infibulazione in Africa». Perché anche lì – chi sono io? – quella è la loro tradizione, e finché resta fuori dai nostri confini non è nostro diritto (figuriamoci se è nostro dovere, come invece sostengo io) intervenire. Rispetto a questo principio di non ingerenza, e a quello ottocentesco della sovranità nazionale, si è inoltrata fino a dove il suo integralismo la spingesse: qualunque tipo di intervento dal “di fuori” le sembrava sbagliato. In Rwanda, in Darfùr, in Bosnia, anche se sparavano alla gente in fila per il pane, torturavano le donne, facevano pulizia entica, beh, non erano fatti nostri. Solo di fronte al Nazismo, ai sei milioni di morti, al fatto che – secondo il suo principio – gli americani non sarebbero dovuti sbarcare in Normandia perché lo sterminio degli ebrei era il risultato-del-percorso-storico tedesco (questa l’espressione che usava per ciascun altro eccidio. la persecuzione degli omosessuali in Iran? Il risultato del percorso storico iraniano) ha avuto qualche esitazione, a dimostrazione che anche l’indifferenza più disgustosa ha qualche esitazione di fronte al Male.
Mi servirà questa discussione, la ricorderò a tutti ogni volta che qualcuno mi dirà – di fronte alle peggiori ingiustizie – che “quella è la loro cultura”, in qualità di attenuante anziché di aggravante. Non so, ho come la speranza che essere associati alla precisa filosofia della Lega possa essere un buon deterrente per coloro che, a sinistra e in buona fede, stentano a capire come il mondo sia uno solo e non c’è nessuna ragione per “rispettare” le usanze che vanno contro ai più basilari principî dell’intangibilità della persona, dei diritti umani, dell’autodeterminazione delle idee e delle preferenze sessuali.
Alla fine della serata, dopo aver ascoltato (e subìto) tutti questi doppî standard, di diritti che a noi spettano per chissà quale conquista dei nostri bisnonni, e agli altri no perché hanno la sfortuna di essere nati su di un suolo non occidentale, io – calmo ma risoluto – le ho detto: «Se a te interessa soltanto di come Silvia è trattata a Milano, ma non ti interessa delle vessazioni che subisce Aisha in Marocco, questo fa di te, semplicemente, una persona peggiore». Lei si è alzata e se n’è andata. Poi ha mandato un sms all’amica comune con scritto “non ti preoccupare, la nostra amicizia non è in discussione”.
Un mio amico ha commentato: «allora potevi impegnarti di più».
Radio Contromano
Allora, c’è una brutta notizia e una bella notizia.
La brutta notizia è che Paolo, quello scemo che cammina e cammina dall’Umbria all’Inghilterra, sta attraversando un brutto periodo, è scoraggiato e ha quasi in mente di mollare. È arrivato in Francia e lì non ci sono paesaggi, non ci sono bar, vede solo a due metri dalla propria tuta in cui è imbacuccato e nebbia, pioggia, e nessuna faccia amica. Sente il rumore del suo respiro e quello dei camion. Come dice lui, non c’è neanche un prete con cui chiacchierar.
Sarà pure scemo, ma pensa anche cose molto sagge, il nostro Paolo:
Perché se c’è una cosa che questo viaggio non deve diventare, è il sacrificio; in questa certezza c’è tutta la laicità della mia avventura.
Veniamo alla buona notizia. La buona notizia è che noi possiamo fare qualcosa, cioè che faremo qualcosa.
Il primo pensiero di tutti, ovviamente, è quello di dirgli «dài, non mollare». Però poi uno ci pensa, e dice: «sì, ma solo se farlo ti fa stare bene». Quindi tutto quello che possiamo fare noi, per stare dalla parte della sua impresa, è cercare di fare sì che lui stia bene. È vero che il nostro potere – da lontano – è limitatissimo, ma qualcosa possiamo fare.
Paolo ha un iPod, noi abbiamo la nostra voce e tante storie da raccontare. Visto che in queste giornate di pioggia e nebbia l’unica cosa che può fare è ascoltare rumori, noi gli costruiamo la radio. Gli facciamo la colonna sonora delle sue passeggiate. E lui, camminando, ascolta le storie, le barzellette, le lezioni di storia, le prediche, le contumelie (il bello è che lui non può rispondere) le ricette di Suor Germana, i vostri problemi con la fidanzata, gli insulti al bomber della vostra squadra che non segna da 10 partite, oppure raccontargli il libro che state leggendo, il telefilm che seguite, e così via.
Ho creato una casella di posta, radiocontromano@gmail.com a cui ognuno di noi può mandare dei file audio, intanto ho mandato la password a lui. Poi, Paolo ogni mattina si scarica tutte le storie e le voci che ha ricevuto e se li mette sull’iPod, così poi per un pezzo di giornata – magari quando è immerso nella nebbia – ha la nostra brigatesca compagnia.
Io, appena finisco questo post, inizio a registrare il mio primo contributo. E mi impegno a mandargli una registrazione ogni due o tre giorni. Mi raccomando, fatelo anche voi. Io ci tengo davvero.
Coinvolgete anche i vostri amici, i vostri parenti, anche se non seguono direttamente Paolo, scrivetelo sui vostri blog. Insomma, vediamo di spingere Paolo fino a Cambridge.
Magari gli raccontate anche chi siete voi, così – in questo modo strano – conosce un po’ chi sta seguendo la sua avventura. Dopodiché parlate di quello che avete da dire. Se pensate di non avere nulla da dire, ce l’avete. Che tanto, poi, più noiosi della nebbia non potete essere!
Donne e bambini
Quando dico che la priorità, nel mondo, prima di qualunque altra cosa, è la condizione delle donne nel mondo mussulmano, comincio proprio da qui. Quando dico che accettare che quella sia “la loro cultura” è un’affermazione razzista, è questo che intendo. Bisogna sradicare questo indottrinamento: non so come si può fare, ma è sicuramente la cosa più importante da fare, ora, in questo mondo. I bambini non appartengono ai genitori. Una bambina non può essere colpevole perché nasce in Egitto anziché in Italia.
Possiamo dire che questo padre non voglia bene alla propria figlia di tre anni? Sì, possiamo dirlo. Portarla alle lacrime per farle recitare in televisione delle parti del Corano che incitano alla violenza, mentre lei dice piangendo: «per favore non mi far recitare le regole, voglio i lecca lecca».
Lunedì degli aneddoti – XXX – L’invincibile Marco Aurelio
Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.
L’invincibile Marco Aurelio
Secondo me la gente che la vede in foto – o sulle monete da 50 centesimi – non se l’immagina così piccolo e soprattutto così in alto, il Campidoglio, la Piazza del Campidoglio. D’altronde sì, è un colle, ma chissà se uno ci pensa. Comunque, se salite quelle scalette sopra all’Ara Coeli vi ritrovate in quella piazza, con in mezzo la famosa statua equestre di Marco Aurelio. La storia delle Oche del Campidoglio la sanno un po’ tutti, mentre quella della statua, e di come sia finita lì, è un po’ meno nota.
Intanto è lì da poco, 450 anni, per una statua che è in piedi da quasi il quadruplo. Prima stava da un’altra parte, che non si sa bene se sia Piazza Colonna – accanto alla colonna di Marco Aurelio – o il Foro romano. Resistette a un primo spostamento, e anche a un secondo, dal Laterano.
E poi, ve la posso dire una cosa? Secondo me lì in mezzo ci sta male. Ma che ci fa? Talmente ci sta male, secondo me, che son stato contento quando ho scoperto che Michelangelo, quando aveva disegnato la piazza, non ce la voleva mettere lì al centro.
In realtà la statua è illustre, simboleggia l’invincibilità dell’imperatore, e si dice che inizialmente sotto alla zampa alzata del cavallo vi fosse un barbaro vinto. Quella lì è l’unica statua equestre di età classica che sia sopravvissuta alla furia del medioevo cristiano. A quel tempo tutte le statue di personaggi “pagani” venivano fuse. Il nostro Marco Aurelio si salvò per un caso e per l’ignoranza altrui: lo credettero un Costantino, primo imperatore a convertirsi al Cristianesimo, e perciò riuscì a scampare la fusione perché, raffigurando un cristiano, non costituiva idolatrìa.
Si vede che fra intolleranti ci si capisce, perché ci riprovarono i fascisti: centinaia d’anni dopo, nel 1979, una bomba del “Movimento rivoluzionario popolare” esplose in Piazza del Campidoglio. Un temporale salvò la piazza da una strage, e l’invincibilità salvò Marco Aurelio che finì soltanto scheggiato. Fu in quell’occasione che un’indagine dei restauratori scoprì l’allarmante corrosione che stava subendo il bronzo della raffigurazione. La statua fu così rimossa e nella piazza furono costretti a piazzare una copia, mettendo così fine all’invincibilità della statua di Marco Aurelio.
Quello che non era riuscito ai barbari ai cristiani e ai fascisti, era riuscito – gutta cavat lapidem – al Tempo. Lento sì, ma inesorabile.
Grazie a Gabriele
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