Ancora su Emergency

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Le invettive del Giornale e di Libero ai tre di Emergency sono della peggior specie: tipiche accuse che vengono fatte nelle dittature ai dissidenti. Ingrati! Sputate nel piatto dove mangiate – il modo di dire più idiota. Solo nei regimi non si sputa nel piatto dove si mangia: perché criticare il piatto in cui si mangia è l’unico modo per migliorarlo, per trovare tutte le cose che non vanno, e cercare di metterle a posto.

Io penso che ognuno possa – e debba – dire ciò che vuole, e che tutti gli altri possano – e debbano – contestare tutte le cretinate che uno dice, in piena libertà: ciò che ha detto Marco Garatti è una vaccata colossale, e riflette precisamente quell’equivoco di cui si era parlato:

Noi non facciamo politica – ha detto il chirurgo rispondendo alle accuse fatte all’ong – descriviamo quello che succede. Per noi un attentatore suicida non è peggio o meglio di chi scarica bombe perché entrambi fanno morti. Noi non abbiamo mai preso posizione per una o per l’altra parte.

Ci sono davvero pochi modi per definire una persona che dice una cosa del genere, mi dispiace: scemo, sciocco, di poco senno.

Allora caro Marco, intanto sì, fai esattamente politica. Una dichiarazione di questo genere è, nella sua essenza più piena e completa, politica. E una politica pessima, sbagliata, complice: come ti salta in mente di dire che gli attentatori suicidi sono uguali ai soldati dell’ISAF? Perché fanno entrambi morti? Domani è il 25 aprile – anche i partigiani facevano dei morti, anche l’epidurale, anche i fulmini.

Sostieni che non siano né meglio né peggio, cioè che a parti invertite non cambierebbe nulla, che l’obiettivo della coalizione è uccidere più persone possibile, come lo è quello di Al Qaida. Proviamo a immaginarlo, un attimo, questo scenario: cosa succederebbe se Al Qaida avesse l’esercito più potente del mondo? Intanto, sicuramente, non saremmo qui per raccontarlo. Chiunque abbia il concetto più elementare di libertà, per gli estremisti islamici, è un nemico e deve essere ucciso: chiunque creda che gli omosessuali non devono essere trucidati, e che una donna non debba essere stuprata dal marito, fatto fuori. C’è qualche dubbio che l’organizzazione che ha ucciso 3000 persone a New York, ne avrebbe uccise 5000 se avesse potuto? Non c’è.

Invece proviamo a immaginare la tua ipotesi – Osama Bin Laden interviene con il suo esercito negli Stati Uniti: nel corso dell’occupazione militare gli americani votano per eleggere il loro governo, e durante queste elezioni le milizie di Al Qaida vigilano affinché nessuno possa fare del male a chi va a votare. Alle donne è data la possibilità di non mettere il burqa, operazione alla quale il Mullah Omar e il suo esercito guardano di buon occhio. Allo stesso modo gli omosessuali non vengono uccisi a sassate. È in vigore la più ampia libertà religiosa, Bin Laden e il suo gabinetto fanno pressioni perché la laicità sia garantita. Delle volte questi sforzi non riescono, la mentalità degli americani è un po’ arretrata e la democrazia paga questo difetto. Ma il problema più serio nel Paese sono Obama e il suo esercito: ogni giorno nei mercati di Los Angeles e Filadelfia i soldati di Obama, imbottiti di tritolo bulloni e veleno per topi, si fanno esplodere cercando di far morire il maggior numero di persone possibile. La stragrande maggioranza delle vittime sono dei loro connazionali, che hanno come unica colpa quella di essere andati al mercato. Il giorno precedente le elezioni Barack Obama rilascia un comunicato in cui minaccia di tagliare le mani tutti coloro che si azzarderanno ad andare a votare: il giorno successivo diversi squadroni della morte dei Marines lanciano colpi di mortaio contro le file davanti ai seggi. Ogni qualche mese – e mentre progetta stragi di civili nelle capitali di tutta Europa – Obama rilascia un video in cui intima a tutto il mondo di sottomettersi alla forma più medievale di Cristianesimo, minacciando di morte tutti coloro che non accettano la conversione.

Come ci si può non rendere conto di quanto tutto ciò sia ridicolo?

Il problema è che, sono certo, se un giorno mi trovassi davvero a discutere con Garatti – o Strada – di queste cose, loro mi accuserebbero di “tifare” per gli americani, di essere pagato da qualcuno o indottrinato dalla tv: lo stesso tipo di delegittimazioni del pensiero che fanno, con loro, Libero e Il Giornale.

Grazie a Saverio

Salam

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Vaglielo a spiegare a ebrei e mussulmani:


Grazie a Save

Alla fritta

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In Belgio ce n’è di confusione:

  • Ha presentato le dimissioni – dopo aver ammesso il ripetuto stupro di un ragazzino – il più longevo vescovo belga, Roger Vangheluwe. Ratzinger ha accettato le dimissioni. Vangheluwe era un personaggio di spicco del cattolicesimo belga, in passato aveva proposto il diaconato femminile. È il primo caso di pubblica ammissione per quanto riguarda il clero belga, e potrebbe avere ripercussioni notevoli, sia perché il Belgio – dalla tragedia di Marcinelle – è lo Stato la cui opinione pubblica è più attenta al tema, sia perché si è scoperto che il Cardinale Godfried Danneels, diretto superiore di Vangheluwe negli Anni ’90, era al corrente degli abusi.
  • Oggi doveva essere il giorno era prevista la votazione della legge che doveva imporre il divieto assoluto d’indossare in pubblico il Burqa e il Niqab. Tutti gli articoli che ho trovato parlano di “primo Stato in Europa”, ho fatto mente locale e cercato dove fosse già vietato – mi sembra strano che una notizia del genere mi sia sfuggita, in passato. Ricordo di dibattiti e proposte di legge su divieti parziali/locali, o completi non ancora andati in porto, in Francia, Olanda e Canada. Qualcuno si ricorda, o trova qualcosa di più?
  • Tuttavia il voto della legge anti-burqa è stato rimandato per la crisi di governo che ha bloccato qualunque azione legislativa. Il mandato è ora in mano al Re, che sta organizzando dei colloqui con le varie forze politiche per cercare di rimettere in piedi il (o un) governo, dopo l’offerta di dimissioni del Primo Ministro Yves Leterme.
  • In tutto questo, il principale quotidiano francofono belga ha parlato delle conseguenze della crisi in termini davvero drastici, e in un editoriale dal titolo eloquente – Questo Paese ha ancora un senso? – ha ventilato l’ipotesi di una scissione fra fiamminghi e valloni.

EDIT: vedo ora un pezzo del Post che raccontava tante delle cose scritte qui, e aggiungeva questa.

Introduzione al CASO: il Corso

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-> per Il Post <-

Corso di Alfabetizzazione Sentimentale Obbligatoria – Prof. du Lac – 1° lezione

Che reazione avete se il vostro amato esce a cena con un suo pretendente? È più sano un rapporto in cui ognuno ha i-suoi-spazî? È sensato accettare i difetti di chi si ama? Essere gelosi è inevitabile o addirittura positivo? E l’onestà è necessaria: bisogna dirsi proprio tutto?

Cari studenti, piacere a tutti voi. Sono il docente che vi terrà questo Corso di Alfabetizzazione Sentimentale Obbligatoria (abbreviato CASO) la cui iscrizione è, appunto, obbligatoria.

Mi presento subito, sono il Professor Du Lac, sono laureato in Competenza Sentimentale alla prestigiosa Università di Kernow. Ho un Master in Struttura Amorosa alla scuola specializzata di Cherbourg de la Manche. PhD in Parole Giuste all’università Bonmatì di Tingi. Prima di tornare in Italia ho fatto diverse ricerche sul medesimo tema per l’Istituto dell’Abbazia Abbaiante di Londra. Dalla prossima lezione sarà presente anche la mia assistente – la dottoressa A. Dora – che vi introdurrò in quell’occasione.

Il Corso consterà di un numero di lezioni stabilito sulla base della vostra incompetenza. Ciascuna lezione vi servirà ad approfondire i diversi aspetti di una materia, l’alfabetizzazione sentimentale, nella quale si evidenziano enormi lacune anche negli studenti più preparati.
Il livello di accesso al corso è quello base: so che siete tutti delle capre. Non è requisito l’aver frequentato alcun insegnamento propedeutico, anche se è utile essere provvisti di qualche nozione di: Lingua italiana I, Logica elementare I e II, Letteratura a giro per il mondo I, Sorpresosità III e IV, Autostima III. Chi non avesse frequentato i suddetti corsi è caldamente invitato a procurarsene un manuale.

Ciò che imparerete trova valore e applicazione in qualunque tipo di rapporto d’affetto: uomini con uomini, donne con uomini, spaghetti con donne, cani con computer Apple – chiunque sostenga che due donne o due uomini non possono essere innamorati sarà immediatamente allontanato dall’aula per manifesta incompetenza sentimentale.

*** Facciamo ora un quarto d’ora di sosta. Alla ripresa cercheremo di fare una panoramica della metodologia e ragione d’essere del corso ***

Eccoci, cari studenti, riprendete posto.

Ci sono due cose su cui tutti ma proprio tutti – anche quelli che non ne sanno davvero nulla – mettono bocca con sottesa e sedicente competenza. Due cose: lo sport, soprattutto il calcio. E i rapporti umani, soprattutto i rapporti di coppia. Siamo 6 miliardi di allenatori della Nazionale, ma siamo anche 6 miliardi di amatori modello.

Eppure se io mettessi piede in un convegno di matematici affermando che il teorema di Laplace è una cretinata – e scusate l’anacoluto – pensate che qualcuno mi prenderebbe sul serio? Beh, no. Perché non ho nessuna competenza in quel campo. Io di matematica non so nulla: non l’ho mai studiata a livelli sufficientemente approfonditi per capirne davvero qualcosa. Il mio non sarebbe un parere ragionato.
Invece, per sport e sentimenti non funziona così. Ogni opinione sembra avere legittimità e vita propria. Ma se il calcio – almeno – ha un anticorpo, i rapporti di coppia non ce l’hanno: il Barcellona e il Chelsea non prenderanno mai ad allenare l’ubriacone al pub che inventa formazioni alternative – invece nei rapporti umani ognuno è l’allenatore di sé stesso. E, peggio ancora, pensa di essere il migliore allenatore possibile.

Ognuno – certo – ha il proprio pensiero, ma la tua libertà di pensarla in un modo finisce dove inizia la mia libertà di criticare quel modo. E precisamente questo è l’uopo del corso: criticare quel modo.
Ciò che dobbiamo fare è recuperare lo spazio di discussione perduto: ragionare d’amore non è come ballare d’architettura. Pensare è utile per capire cosa è giusto fare; sentire è utile ad avere la forza per farlo. Di questo fittizia contraddizione, fra emotività e razionalità, avremo modo di parlare nelle lezioni a venire.

Mi resta soltanto da assegnarvi i compiti per casa: come unico lavoro – varrà come prova d’ingresso – vi chiedo di rispondere al seguente quesito:

Vi viene offerto il posto di Presidente degli Stati Uniti, ma voi decidete di fuggire alle isole Kiribati per seguire la persona di cui siete innamorati. Fate bene o male? Il vostro è un comportamento razionale?

La risposta a queste due domande può essere presentata nel form dei commenti qui sotto oppure nella mia cassetta personale della posta: le vostre prove saranno commentate e analizzate, assieme alla spiegazione di quale sia la risposta corretta, durante la prossima lezione – che, vi prometto, sarà più breve.

Bene, ringrazio tutti dell’attenzione, e vi do appuntamento alla prossima settimana.

La falsa religione della pace in Medioriente

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Capita spesso che qualcuno mi chieda delle opinioni sul conflitto arabo-israeliano, sarà per i mesi passati in Palestina, sarà perché ne parlo spesso. Le mie risposte deludono sempre l’interlocutore, perché – ottimista e ciecamente progressista come sono – questi si aspetta qualcosa di diverso dal mio disincanto. Invece, purtroppo, la mia soluzione è che non c’è soluzione. Più precisamente che la soluzione c’è, la sanno tutti qual è – 95% dei territorî del ’67, Gerusalemme Est, 100.000 profughi, eccetera – ma non la vuole nessuno. È anche inutile discutere se sia giusta o sbagliata, tanto chiunque sa che quella è l’unica pace disponibile: fra 5 anni, fra 100, domani o mai. Il problema è che entrambe le parti vogliono “mai”.

Oggi ho letto un articolo di Foreign Policy, davvero completo – e perciò non brevissimo – che riassume tutte le ragioni per cui la pace è un’illusione. Il titolo The False Religion of Mideast Peace (And why I’m no longer a believer) descrive perfettamente la sostanza vera e gravosa dell’articolo: credere nella pace è diventata una fede, basata più su un wishful thinking che su dei dati veri e proprî. Essere profeti di sventure è la cosa più facile del mondo, mi guardo bene dal farlo, ma ogni tanto le sventure ci sono, e c’è davvero poco da fare:

And I continued to do so, all the way through the 1990s, the only decade in the last half of the 20th century in which there was no major Arab-Israeli war. Instead, this was the decade of the Madrid conference, the Oslo accords, the Israel-Jordan peace treaty, regional accords on economic issues, and a historic bid in the final year of the Clinton administration to negotiate peace agreements between Israel, Syria, and the Palestinians. But for a variety of reasons, not the least of which was the Arab, Palestinian, Israeli (and American) unwillingness to recognize what price each side would have to pay to achieve those agreements, the decade ended badly, leaving the pursuit of peace bloody, battered, and broken. Perhaps the most serious casualty was the loss of hope that negotiations could actually get the Arabs and Israelis what they wanted.

And that has been the story line ever since: more process than peace.

Siccome stiamo parlando di Israele e Palestina vi segnalo altre cose che non meritavano un post ma che mi ero appuntato in passato:

  • Un bell’articolo di Ha’aretz che spiega perché la soluzione dello stato unico non è neanche da applicare: c’è già. Descrive bene l’abulia dell’Israele di oggi, che – in ogni caso – quella soluzione non accetterà mai.
  • Un travelog di Robert Fisk fra Israele e Palestina: Fisk è ottimo quando critica gli israeliani, ed è decisamente troppo (notoriamente) indulgente nel giustificare – quasi su base etnica, e quindi razzista – i palestinesi.
  • Un video particolarmente emblematico – fa rabbia da quanto lo è – del perché israeliani e (ancora di più) palestinesi non si parleranno mai.

imPOSTa come pagina iniziale

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Ci sono quelli che come homepage hanno la propria email, e quelli che hanno un sito di notizie. Per i secondi è facile, da oggi ci mettete http://www.ilpost.it/ e siete a posto. Se poi volete vedere qualche boxino morboso c’è sempre Repubblica.it.
Per i primi è un po’ più complicato. Bisogna abituare il proprio cervello – che è molto meno sveglio del computer – ad acquisire il tic di andare su un’altra pagina per sapere se è successo qualcosa di interessante nel mondo.

Quindi sì, ecco, è nato un nuovo giornale. Però solo online. Si chiama Il Post. Lo fanno tre persone, lui lui e lui (ma in redazione ci sono anche tre “lei”), che sono al top del mio feedreader. Di quelli che, insomma, trovano sempre le cose che ci sono da sapere in giro per il mondo, e che ti viene sempre da pensare: cavolo, sicuramente avrà letto qualche articolo interessante e non l’ha messo sul blog. Ecco, ora non potranno farlo più, perché ci devono fare un giornale sopra, su quelle cose lì.

Ancora più sollevante, si impegneranno al massimo per non metterci cose inutili. Insomma, il concetto che dovrebbe passare è: se voi leggete Il Post, sapete tutto quello che c’è da sapere, e non sapete molto di ciò che è inutile sapere, tipo, ecco sì “ira degli animalisti: maltratta il gatto su twitter”, leggo ora altrove.

Se ci cliccate sopra, andate a vedere com’è:

Ah, a latere delle notizie ci saranno anche diversi blog, tenuti da persone che vale la pena di leggere: in particolare, devo dire, che questo Professor Du Lac che tiene un Corso di Alfabetizzazione Sentimentale Obbligatoria mi sconfinfera un sacco.

S’o o so’ comprati

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Uno degli striscioni che mi aveva fatto più ridere era questo qui, esposto dalla curva sud romanista, dopo l’intervento in Afghanistan e in Iraq:

Sarà forse per questo che trovo questa foto, scattata in Afghanistan, davvero bellissima:

(al nero e al giallo sta andando davvero male)

Lunedì degli aneddoti – XXXIV – Batigol

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Batigol – La differenza che passa fra un campione e un vero fuoriclasse

Questa è la ragione per la quale, quest’anno, la Roma vincerà lo scudetto nonostante Francesco Totti. Ed è il motivo per il quale le partite si vincono con i piedi, ma gli scudetti si vincono con la testa. È anche il motivo per cui mi sono laureato con questa maglia e non altre.

Francesco Totti esordì in prima squadra con la maglia giallorossa in un Brescia-Roma del 1993. Otto anni dopo non aveva ancora vinto lo scudetto, né aveva mai rischiato di vincerlo: il miglior piazzamento era stato un quarto posto, lontano 5 punti dall’Udinese sul podio, e 15 dalla Juventus scudettata – l’anno dopo arrivò a 4 punti dalla terzultima, rischiando la retrocessione.

Gabriel Omar Batistuta esordì con la maglia giallorossa nel settembre del 2000. Otto mesi dopo la Roma aveva vinto lo scudetto. Gliel’aveva fatto vincere lui, e così tre mesi dopo la Supercoppa. La ragione per la quale Batistuta avrebbe fatto vincere lo scudetto alla Roma si capì, ancora una volta in un Brescia-Roma, in quell’autunno del 2000. La Roma veniva dalla sconfitta contro una diretta concorrente, l’Inter: la prima défaillance dopo una serie di vittorie. Tipica occasione in cui la Roma delle annate precedenti era sprofondata: diversi successi, tanta euforia, poi una batosta e il crollo emotivo.

E invece, a Brescia, la Roma aveva reagito ed era passata in vantaggio: gol di Vincent Candela. Di lì a poco, però, era calata l’oscurità: il Brescia aveva pareggiato, Bisoli. Poi si era addirittura portato in vantaggio, del tutto immeritatamente, con un gol su rigore del vecchio Dario Hubner. Come nel peggiore degli incubi, andando prima in vantaggio e poi venendo rimontati, ecco che si profilava un’altra sconfitta, e la fine dei sogni di gloria, per la squadra capitolina. Poi che succede? Sale in cattedra il fuoriclasse, quel Gabriel Omar Batistuta. Una palla gli rimbalza in area, lui la butta dentro e segna il 2-2. Ma non è questo il punto. Niente di strano, per lui, fin qui.

Quello è, però, il momento in cui Batistuta insegna alla Roma come si vince uno scudetto. Marco Delvecchio, il compagno di reparto, fa per abbracciare Bati, i compagni si dirigono verso di lui per festeggiare il gol: tutto sommato un pareggio fuori casa va bene, la Roma viene da una sconfitta, e pareggiare in casa del miglior Brescia della storia – quello di Baggio, che arrivò settimo – è un risultato più che degno. Poi per come s’era messa la partita! Accontentiamoci del 2-2.

L’unico che non ragiona così è Batigol: non festeggia, non va a cogliere l’esultanza di nessun compagno. Si dirige verso la rete che ha appena trafitto, raccoglie il pallone da dentro la porta e punta verso il centrocampo. Quando Delvecchio gli si para davanti per un abbraccio e la consueta esultanza, Batigol si divincola. Raggiunge il cerchio del centrocampo, fa cadere il pallone sulla linea di metà campo, e con la suola dello scarpino la aggiusta sul disco di gesso da cui il Brescia batterà il nuovo calcio d’avvio.

Indovinate un po’ chi mancava nella Maggica quel giorno? Proprio lui, il campione, Francesco Totti. La settimana successiva la Roma incontrò la Reggina e poté facilmente riconquistare la vetta della classifica, per non lasciarla più e avviarsi a vincere l’unico – per ora – scudetto della ventennale storia calcistica der Pupone in giallorosso.

Ma il match più importante era stato vinto sette giorni prima, dal carattere di un vero fuoriclasse. Già, perché quella partita cruciale era poi finita 2-4. Con tre gol di Gabriel Omar Batistuta.

[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui qui il quindicesimo: Servizî segretissimi qui il sedicesimo: Gagarin, patente e libretto qui il diciassettesimo: La caduta del Muro qui il diciottesimo: Botta di culo qui il diciannovesimo: (Very) Nouvelle Cuisine qui il ventesimo: Il gallo nero qui il ventunesimo: A che ora è la fine del mondo? qui il ventiduesimo: Che bisogno c’è? qui il ventitreesimo: Fare il portoghese qui il ventiquattresimo: Saluti qui il venticinquesimo: La fuga qui il ventiseiesimo: Dumas qui il ventisettesimo: Zzzzzz qui il ventottesimo: Teorema della cacca di cavallo qui il ventinovesimo: Morto un papa qui il trentesimo: L’invincibile Marco Aurelio qui il trentunesimo: L’Amabile Audrey – qui il trentaduesimo: Anima pura – qui il trentatreesimo: Ponte ponente]

Vuoi indicare un aneddoto per un prossimo lunedì? Segnalamelo.