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Il patriottismo è l’ultimo rifugio dei farabutti
Samuel Johnson
Con un po’ di ritardo ho visto Benigni a Sanremo che ha detto la solita scemenza sul patriottismo che è bene, mentre il nazionalismo è male. I diversi riferimenti alla Lega, a Bossi, chiamato in causa come quello che sarebbe contro il patriottismo. In realtà Bossi è il più patriottico di tutti, solo che di una patria più piccola, che sente più sua. Se non siamo d’accordo con la Padania non è perché abbiamo l’ossequio dei nostri confini, ma proprio perché i confini non ci piacciono e crearne degli altri neppure.
In realtà nessuno ha mai spiegato quale sarebbe questa differenza fra patriottismo e nazionalismo, se non quanto a intensità: generalmente, se hai una notevole predilezione per il Paese in cui sei nato è nazionalismo, se ce l’hai un po’ all’acqua di rose è patriottismo. Altre volte è semplicemente questione di quanto ci stia simpatica l’azione o la persona in questione: se l’approviamo è patriottismo, se non l’approviamo è nazionalismo.
Il punto è che è proprio scemo avere un’alta stima d’una cosa solo perché c’è capitata per caso. Sono fiero del mio codice fiscale. Sono orgoglioso di portare il 42 di piede. Fa ridere, eh? Le persone che dicono d’essere orgogliose – o fiere – d’essere nate in un posto, direbbero lo stesso se fossero nate in un altro. Ci sono davvero tante cose nel mondo che amiamo perché ci piacciono: la nostra musica, il proprio piatto preferito, il posto più bello che conosciamo, una poesia dal tono giusto. Ma amare un pezzo di terra solo perché ci è capitato di nascerci è davvero sciocco: non è merito tuo, né suo. Una volta chiesero a un presidente tedesco se amasse la sua patria: lui rispose «no, amo mia moglie».
“Ma amare un pezzo di terra solo perché ci è capitato di nascerci è davvero sciocco: non è merito tuo, né suo.”
patriotism. that’s a loaded word. what you say kind of makes sense, but isn’t that a bit of an equivocation on what patriotism can be for some?
what if you like a country because you have chosen her and now you want to make it a better place? or what if you like a country because you cherish its shared project, and it just happens you were born in it.
how do we call that? I still call that patriotism.
I do like McGovern’s quote about this issue ““The highest patriotism is not a blind acceptance of official policy, but a love of one’s country deep enough to call her to a higher plain—
in a way patriotism that I like stems from the desire to be in charge of our own lives and shape our destiny, and from the acknowledgement that we need a community and a larger project for that to happen.
what’s more liberal than that?
Non è che voglia trollare, ma un dubbio mi sorge.
Per quanto io sia in linea di principio d’accordo che è molto più importante quello che uno sceglie di quello che gli capita, non mi sembra abbia molto mercato una posizione tipo “è stupido amare i miei genitori perché non li ho scelti io”, che è il corrispettivo di “è stupido amare un posto perché ci si è nati” (e se sembra inadeguato il paragone beh, sei tu che hai tirato fuori gli affetti famigliari 😉 )
@Max
What you say makes sense. But why do you want to stop it at the border? We should want the world as a whole to be a better place. Irrespectively of whether we are born there. Isn’t it even more liberal?
Sopravvaluti il libero arbitrio: quasi tutto ci capita per caso, se non proprio tutto. Non è obbligatorio amare ciò che abbiamo e ciò che siamo, ma se riusciamo a farlo siamo più felici, no? Forse è questo che cercava di dire Benigni… essere felici di quello che siamo e di quello che abbiamo, e assumercene la cura e la responsabilità : tutto qua. Mi pare saggio, e se questo dovesse portare anche un solo milanese a preoccuparsi di quello che succede a Pompei come se fosse cosa sua, viva Benigni!
D’accordo sull’idiozia dei confini ma credi davvero di essertelo scelto il tuo piatto preferito? Hai assaggiato tutti quelli del mondo e poi hai deciso? O non è forse anche quello frutto del caso e della cultura culinaria dove sei nato?
Cassa scrive::
Secondo me è molto stupido amare i propri genitori a prescindere. La ragazza lapidata perché innamorata di una ragazza dovrebbe forse amare il padre che le tira le pietre? La figlia del padre che torna a casa e la picchia e la violenta dovrebbe forse dire “eh, vabbé, è pur sempre papino mio…” Mi sembra che non basti aver scopato con mia madre o avermi partorito per far sì che si possa essere una persona stimabile. Sul fatto che non abbia mercato, la mia obiezione è la seguente: E sticazzi?
Pensa che a certa gente non piace la cioccolata.
“Ecco, sapevate che un neonato di 30.000 anni fa (sì proprio tanto tempo fa) trasportato qui, nella nostra società globalizzata, dalle caverne al mouse, crescerebbe esattamente allo stesso modo di un suo coetaneo contemporaneo, perché il cervello umano non si è evoluto poi tanto e si adatterebbe in maniera completa al nuovo intorno che nuovo non sarebbe per chi vi crescerebbe dal principio?
Cosa significa? Significa che non è tanto il nascere in un luogo né l’identità dei propri genitori né tantomeno qualcosa di mistico che possa essere nel sangue, ma è il crescere, ricevere un’educazione e assimilare una certa cultura fin da piccoli: è questo che ci rende italiani piuttosto che egiziani piuttosto che canadesi. La patria è soltanto una educazione. Allora io non sono italiano, ma sono soltanto cresciuto in Italia ed ho assimilato la cultura italiana; se fossi cresciuto in Portagallo, avrei assimilato un’altra cultura, altre abitudini e modi di vedere le cose, indipendentemente dal luogo di nascita, dai genitori, dai nonni e dal primo pianto infantile. Semplicemente.
Certo il mio aspetto, i miei lineamenti ed i colori, saranno spesso un facile biglietto di visita, ma soltanto per l’apparenza. Se a km di distanza si capisce già che son italiano o alla prima vocale italiana che son campano, o alla prima jota spagnola, suono nasale francese o vocale aspirata inglese si capisce che non son madrelingua, che son straniero, c’è sempre quel bisogno di associazione per gli altri e di identità per noi. Eppure la patria non è in noi, di base siamo tutti uguali: il bambino di 30.000 anni fa, io e voi, potremmo esser cresciuti tutti in un altro paese e identificarci oggi in quella nuova patria, per poi capire che patria è soltanto un’appartenenza, un’etichetta che riassume genericamente pezzi di noi, un’idea politica di propaganda, un contenitore di irrazionalità , d’odi e d’orgogli, una educazione da identificare e capire, nelle origini e nei suoi limiti. Solo così, senza rigetti né crisi d’identità , potremmo intendere che non esistono stranieri, nessun emigrante né immigrato, ma soltanto spostamenti da un luogo ad un altro, condividendo culture senza giusto né sbagliato, ma soltanto un diverso da conoscere ed interpretare; e allora l’estero sarà altrove. Tutto qui.”
lo scrivevo qui qualche mese fa:
http://andimabe.blogspot.com/2010/11/tre-anni-altrove-o-anche-allestero.html
se mi posso permettere di lasciare un link, ecco lo lascio:)
Max scrive::
Volevo scriverla questa cosa. Ciò a cui ti riferisci è diverso, e se proprio vogliamo farla semantica è molto più nazionalismo che patriottismo. Prediligi un posto perché valuti favorevolmente il suo progetto, lo stimi e sei contento che sia in pratica, ma questo indifferentemente dal fatto che sia la tua patria oppure no: ti piace una nazione, come appunto puoi sentire tua un’ideologia.
Beh, ma non penso che in Benigni ci fosse la benchè minima intenzione di esaltare un qualche rapporto di sangue e terra, anzi al contrario: la differenza tra patriottismo e nazionalismo forse è tutta lì: amore per i luoghi che ci sono toccati in sorte, o identificazione carnale con il suolo natio: due sentimenti radicamente diversi: il primo dolce e moderato, il secondo ardente e fanatico. Io devo dire la verità , sto facendo fatica ad amare il mio paese proprio come si fa fatica ad amare un genitore che ti picchia. Molti aspetti dell’italia mi offendono e mi fanno soffrire. Avere qualcuno che mi ricorda che ho la fortuna di avere fatta mia (senza merito) la lingua di Dante, o che mi ricorda che la storia del mio paese è anche una storia di lotte per la libertà semplicemente mi ha dato un attimo di conforto di cui avevo bisogno.
Cassa scrive::
Difatti la mia posizione, per quanto senza molto mercato, sulla famiglia è del tutto affine:
http://www.distantisaluti.com/contro-la-famiglia/
Non c’è nessuna ragione d’amare incondizionatamente i proprî genitori. Quelli di noi che ne hanno avuti di bravi sono fortunati, come chi è nato incidentalmente nel Paese che gli piace (ciò che diceva Max qui sopra).
@ jai:
Non ho infatti detto “è furbo/giusto amare i genitori”, ma “se qualcuno andasse in giro a dire che non vuol bene alla propria madre perché non l’ha scelta ma le è capitata, non riscuoterebbe un grande successo”.
Perché, in generale, è una posizione anti-umana. Come chiedere che uno non sia (senza particolare motivo, se vuoi) mediamente orgoglioso di quello che è (e, tra le altre cose, italiano) sarà forse in diverse situazioni opportuno, ma mai “umano”.
rosalux scrive::
In realtà è proprio il principio più deleterio che c’è. Non bisogna essere felici di ciò che si è, ma cercare sempre di migliorarsi.
Il fatto di essere sé stessi non è una giustificazione per niente.
rosalux scrive::
E a fregarsene di quello che succede in Tunisia. Inevitabilmente l’esaltazione di qualcosa comporta la noncuranza per altre. Da che mondo è mondo sono le distinzioni, di religione, di nazionalità , di qualunque cosa, ad aver creato l’odio – o, più pacatamente, l’indifferenza – verso l’altro.
Paolo scrive::
È probabile che abbia sbagliato esempio. È diverso dire che una cosa ti piace per la sola ragione di esserci nato dentro, e dire che una cosa ti piace indipendentemente da dove sia fatta/insegnata/prodotta (ma che, tuttavia, il fatto di nascere in un posto ti ha dato la possibilità di assaggiarla).
Pensa quanto è stupido chi dice “viva la polenta e abbasso il cuscus”. Poi ci sarà qualcuno a cui piace più la polenta che il cuscus (a me piacciono tutti e due), indipendentemente da dove è nato, e quello è un’altra cosa.
jai scrive::
Abbasso la cioccolata, viva il cuscus!
Cassa scrive::
Mah, questa è un’obiezione ancora più sciocca, mi sembra.
Per questo principio, mi pare, è “anti-umano” mettersi gli occhiali, perché si è inevitabilmente orgogliosi di quello che si è, miopi o che.
Se sostieni che sia completamente impossibile, ma sarebbe giusto, adottare una posizione, allora sarà nostra cura cercare di tenderci.
Sai quante cose anti-umane, che a un uomo della preistoria sarebbero apparse impossibili da eliminare, facciamo?
E’ buffo sai, non so se conosci qualche senese (immagino di sì, però), ma la tua battuta sul codice fiscale non è poi mica tanto una battuta…infatti se vai a chiedere in giro per Siena, scoprirai che tutti vanno fieri di quel 726 che hanno alla fine del CF.
giovanni di fondo sono d’accordo, però prima parli di “essere fieri di essere nati in un posto”, poi di “amare un pezzo di terra perchè ci è capitato di nascerci” come se fosse la stessa cosa, mentre mi sembrano due posizioni abbastanza diverse.
Credo d’essere in disaccordo con quanto hai scritto riguardo la Lega Nord: ma davvero credi che Bossi, prendendo tra l’altro a prestito dal giornalismo anni ’60/’70 il termine Padania – che geograficamente è bene ricordare non essere mai esistito, tantomeno per definire i territori che questi sguaiati seguaci (?) di Alberto da Giussano esaltano rispetto al resto della nazione – abbia mai avuto serie intenzioni secessioniste? No perché da quello che hai scritto sembra di sì…
Sono invece entusiasta di ciò che hai scritto nell’ultima parte del post, e te lo dico da internazionalista; le comparazioni sono azzeccate e mettono a nudo il concetto fin troppo aleatorio che c’è dietro questa parola, patriottismo appunto. Sempre col dovuto rispetto per chi in passato è morto credendoci.
Giovanni Fontana scrive::
Mah, onestamente non me ne frego proprio per nulla di quello che succede in Tunisia, ma non ho modo di influenzarlo, e questo perchè non è lì che voto, e non credo affatto nel potere evangelizzatore delle mie (o altrui) buone intenzioni. O ammetti che la democrazia sia il migliore sistema di amministrazione del territorio, e ammetti che da ciò consegua un rapporto tra individuo e stato che lo rappresenta oppure devi spiegarmi secondo quale sistema diverso dalla democrazia tu pensi di poter influenzare il destino della Tunisia, o dell’India, o dell’Australia.
E’ buono per noi essere patriottici perchè lo stato italiano rientra nella nostra influenza politica, e di lui siamo chiamati ad avere cura.
Avere cura (che equivale esattamente ad amare) di ciò che ci è affidato e su cui abbiamo influenza: chissà mai cosa c’è di deleterio in tutto ciò.
Ah, e dimmi una cosa: vale anche con i figli, il discorso che non li hai scelti? Te ne prendi cura solo quando son belli, intelligenti o adeguati alle tue aspettative?
Cassa scrive::
Anti-umano? Non credo proprio che un ragazzo che nasce, che ne so, paralizzato nell’emisfero destro ne sia orgoglioso. Voler cambiare la sua natura è antiumano? Io non trovo antiumano manco rifarsi le tette se non ti piacciono le tue, o mettertele se sei nato maschio e non ne sei fornito.
Non credo si debba essere orgogliosi a prescindere di quello che si è per nascita, pensando che cambiarlo sia anti-qualcosa.
La polenta è troppo meglio de cus cus.
onironauta scrive::
Scusa, eh, ma con questo metodo tu puoi non credere per esempio che i radicali vogliano regolamentare il testamento biologico. Io tenderei a prendere per buono quello che dicono i leader leghisti e lo statuto del loro partito in merito. Altrimenti ognuno interpreta come gli pare le posizioni di qualunque partito o movimento, no?
Si ama il pezzo di terra dove si nasce perché bagnato del sangue di chi vi ha combattuto per far ottenere la libertà di non amarlo a noi che siamo venuti dopo e che nulla abbiamo fatto per meritarcela.
@ jai:
Non farmi però dire quello che non ho detto.
Non mi sono lanciato né ho voluto lanciarmi in simili voli. Di gente orgogliosa di essere gravemente malata non ce n’è, almeno credo. Ma che sia naturale essere un po’ fieri di quello che si è, sì. Al punto che quando uno non lo è, lo mandiamo in analisi perché è depresso.
Cassa scrive::
Dai, no.
Il trattamento sanitario obbligatorio, in pratica, per chi non è orgoglioso delle sue caratteristiche per nascita? ma che dici, scusa?
Non si tratta nè di ciechi pregiudizi positivi nè di gusti ingiudicabili. Si può essere patrioti e cosmopoliti, ovviamente.
Leggasi Maurizio Viroli.
@cassa:
Trattamento sanitario obbligatorio l’ho detto io e non te e non si fa. Comunque nessuno “viene mandato” in analisi perché non è orgoglioso di essere Italiano, oppure alto, basso, magro, sagittario o scorpione.
@Jai:
No, perché bisogna pur conoscere gli argomenti di chi si fa promotore di una qualsiasi idea o principio, e giudicare se effettivamente si muove in direzione di ciò che esprime il suo statuto.
Ad esempio, il federalismo fiscale non può aver buoni risultati in questo paese se prima, almeno, non vengono abolite le Province e accorpati i comuni sotto i 5000 abitanti. Non ispira granché fiducia uno schieramento politico che non cerca di mettere le basi ideali per realizzare ciò che predica
Credo invece che la Lega sia da sempre prigioniera di alcuni suoi non-concetti: che cosa ne sarebbe oggi dei suoi elettori se prendesse improvvisamente le distanze da questa sua vuota retorica “settentrionalista”? Voterebbero subito altro.
Infine, che chi si fa promotore di una secessione non dovrebbe, per principio, sedere nel Parlamento del Paese dal quale vuole separarsi. Ne va della sua credibilità .
onironauta scrive::
A me non sembra sia così, almeno non tra le forze secessioniste del pianeta terra. Ti siedi in parlamento e cerchi di ottenere da là ,con la tua strategia politica, quello che vuoi.
Appunto, ti sembra che la politica della Lega sia realmente incentrata sul secessionismo?
rosalux scrive::
Beh, un po’ li hai scelti. Ti sei assunto le responsabilità . Ma, visto che riparliamo di famiglia, quello che penso io l’ho scritto nel post linkato più sopra:
http://www.distantisaluti.com/contro-la-famiglia/
“La questione, a parti invertite, è un po’ più complessa: nell’educazione dei figli un genitore conta molto, ed è quindi probabile che, se tuo figlio finisce per essere una persona che vive la sua vita per fare del male al prossimo, tu abbia almeno una parte di responsabilità . Ma, anche in questo caso, c’è un limite oltre il quale il voler bene non deve essere assoluto, e ciascun individuo deve fare con chi gli sta accanto la cosa più altruista al mondo, evitando di autoposizionarsi su di un piano morale superiore: comportarsi con gli altri con lo stesso metro con cui ci si comporterebbe con sé stessi, dare a ciascuno le proprie responsabilità “
@ lorenzo:
well, there is a monument downtown Boston. it reads something like “the human race is my race, the world is my country”. that’s fine and dandy. it’s a nice aspiration. one day may happen because of forces greater than each one of us. but it’s just not the reality of things now. there is a practical, historically constrained, limit to what you -as a lone individual- can control and redirect today. and most has to do with your community.
for example, as much as you can empathize with those people in Egypt and blog about them, it’s their lives on the line and it’s their blood on the streets. and it’s that blood that defines their communal struggle, that will define their new national identity. and that is just a fact of history.
I’m no historian, but it’s fair to say that nations are always built on some kind of struggle or fluke of history; may that be a top-down conquest, like most of Italy’s history, or a bottom-up revolutionary movement, like in France or the US. now, when you are being “patriotic” you renew that struggle and make it yours. this perhaps explains why patriotism is alive and well in France or the US but not so much in Italy. It’s actually easy to see why that is: looking at Italy’s history going back 150 years or 80 years there is little to be proud about being a patriot: we have either top-down conquests by capricious kings or bloody totalitarian regimes. The partisan war of 1943-45 is the only bottom-up revolution-like movement of our history: too limited in scope, too short lived, too controversial to give a founding identity to a whole country. so, there you go: I never felt any desire to be an Italian patriot. even setting aside the past 16 years, I always found little to cherish.
so, what do you do if you don’t believe your community can be a better community? some leave searching for better ones, some hopelessly fight on, some get by, perhaps retreating into even smaller communities.
I wouldn’t know what’s right. but I do know life is short and we have little time to bullshit around.
I especially feel the heavy weight of that truth these days, unluckily.
onironauta scrive::
Il fatto che ora non lo stiano facendo, non significa che non sia una loro causa. Ti pare che i radicali, da partito di maggioranza, abbiano portato a casa una nuova legislazione sul fine vita? La politica è pure un pochino l’arte del possibile. Credo che nell’orizzonte ideale della lega ci sia, si, la secessione.
@ jai
A questa affermazione:
jai scrive::
La miglior risposta l’hai praticamente data tu stesso:
jai scrive::
Hai implicitamente ammesso che farfugliare di secessione non fa parte dell’arte del possibile. Poi:
jai scrive::
Mi stupisco di questa domanda, un po’ capziosa per la verità . Senza dilungarmi oltremodo, posso dirti che, come hai scritto anche tu riguardo alla Lega, il non portare a casa una legge “non significa che non sia una loro causa”.
Ci aggiungo i miei 2 ¢: il patriottismo può anche derivare da un senso di riconoscenza. Ad es., io mi sento patriottico perché mi sento in debito con uno stato che bene o male mi ha curato, istruito, fornito servizi, ecc., e lo stesso ha fatto con i miei genitori/amici, e via dicendo; oltre al semplice senso di appartenenza (forse illogico ma da un punto di vista individuale, però presente, e che ha assolutamente senso logico nel momento in cui consideri la sopravvivenza della comunità ).
Poi possiamo argomentare sul come lo ha fatto, sul fatto che sia migliorabile, sul fatto che possa scegliere un altro posto in cui vivere, e via dicendo, ma non cambia il fatto che mi senta in parte riconoscente verso l’Italia. E che voglia ripagarla cercando di migliorarla. Non parlo di cose necessariamente astratte: parlo di fare bene il mio lavoro in università , parlo di impegnarmi nella politica per fare cose che possono aiutare o impedire cose dannose (negli ultimi anni sembra diventata questa la norma, purtroppo).
Così come mi metto ad aiutare i familiari, perché loro hanno aiutato me, ed è la cosa umana e giusta da fare. Non è la cosa giusta a livello universale (le tue argomentazioni contro la famiglia su quel piano hanno un qualche senso), ma per il mio caso personale, sì.
Insomma, quello che sto argomentando è che certe reazioni/istinti non saranno logici a livello personale, ma sono lì perché hanno senso per la sopravvivenza della specie, non puoi sradicarli, e quindi è meglio tenerne conto.
Ah, un altro paio di cose: affermare che nazionalismo e patriottismo sono distinguibili per l’intensità è un’affermazione perfettamente sensata, certi fenomeni cambiano natura nel momento in cui passi determinate soglie.
E Max ha ragione: l’orizzonte storico per noi è talmente breve che bisogna scegliersi le proprie battaglie. Non faccio parte solo della comunità mondiale.
@ andima:
Andima, ti assicuro che l’ambiente in cui cresci fa una grossissima differenza. Siamo animali molto plastici, affermare che un bambino di oggi cresce come quello di 30,000 anni fa non ha un grosso senso; l’organismo di base è lo stesso, ma l’ambiente esterno, e le sue condizioni di salute, sono talmente distanti che il contrasto è evidente.
Luca Venturini scrive::
Verissimo e falsissimo, senza una specifica importante. Che la sopravvivenza della comunità , in quel senso, diametrale opposizione alla sopravvivenza del genere umano tutto.
Tutti le società del mondo hanno provato empatia per i proprî simili, anche i crociati che uccidevano gli infedeli conficcando loro una spada in corpo, solamente che delimitavano il campo dei proprî simili attraverso la comunità .
Se avessero considerato gli infedeli come umani quanto loro non avrebbero potuto uccidere un essere umano a sangue freddo (non in numero così grande, i serial killer ci sono in qualunque società ).
@ Giovanni Fontana:
Vero, d’altra parte è un sentimento che è anche servito a qualcosa di buono nella storia. Probabilmente non riusciremmo così facilmente a vivere in comunità allargate come le città , ad esempio, o a mantenere uno stato senza queste reazioni, e almeno per quanto riguarda le città c’è chi sta cercando di dimostrare che sono forse una delle nostre invenzioni più importanti nella storia.
Ovviamente sta tutto a come la cosa si sviluppa e come viene usata/influenza le persone. Però, così come immagino sia difficile sostenere che una persona possa essere felice senza essere minimamente soddisfatta di ciò che è (INCLUSO quel che non ha scelto di sé stessa, che è poi a pensarci una grossa parte – non posso scegliere la mia altezza o il mio carattere o la mia intelligenza, posso solo lavorarci sopra, e neanche sempre), o ancora meglio: una famiglia che funziona bene senza che vi sia alcun amore famigliare che la tenga unita..così con lo stato.
Più che altro per un motivo pratico. Se non provo alcun amore, alcun patriottismo per lo stato, allora non ho alcuna spinta interna a spingere perché ne vengano rispettate le leggi, non ho alcuna spinta interna affinché si migliori. Non mi sembra una gran cosa.
Ovvio che questo NON mi porta a giustificare la comunità quando commette atrocità , ma anche lì, non sentissi di farne parte, che istinto dovrei provare per cambiarla? A parte un generico senso di giustizia, ma a quel punto le ingiustizie dovrebbero essermi tutte eguali, e quindi impegnarmi di più che so per gli afghani di quanto non faccia per i problemi qui in patria. Giusto, per carità , però mi sembra più efficiente se una grossa parte della popolazione si concentra su problemi vicini (coordinamento globale necessario e apprezzato!).
Luca Venturini scrive::
Ma io mica ho detto che non devi essere soddisfatto di ciò che sei in astratto. Ho detto che essere orgogliosi di essere qualcosa che, al di fuori di noi, non ci piacerebbe è sciocco.
Luca Venturini scrive::
Diosanto. Quindi il motivo per cui tu voglia che si rispettino le leggi non sta nel fatto che le trovi giuste, ma nella tua fedeltà allo Stato? Non c’è bisogno di menzionarti quali conseguenze può avere una cosa simile in Stati come l’Iran o l’Arabia Saudita, vero?
@ Luca Venturini:
Scusami ma non credo che tu abbia colto l’esempio, tra l’altro non mio ma di Eduard Punset, divulgatore scientifico spagnolo, permettimi di spiegartelo meglio. Un bambino di 30.000 anni fa non cresce come un bambino di oggi se confronti 30.000 anni fa ad oggi. E aggiungerei: ovvio. Ma se prendi quello stesso bambino e lo fai nascere oggi, cresce esattamente allo stesso modo perché riceve gli stessi stimoli, interagisce lo stesso ambiente esterno di un qualsiasi altro bambino di oggi. Usavo questo esempio per dire che non c’è nessuna nazione nel sangue, nasci lì e ti senti olandese, nasci qui e ti senti italiano, perché assorbi una certa cultura fin da piccolo. Tutto qui.
Giovanni Fontana scrive::
Giovanni, finisci di leggere quello che ho scritto 🙂 Ho detto che il patriottismo, il senso di appartenenza ad una comunità , fornisce una spinta in più ad agire nel contesto in cui uno si trova. Spinta determinante in molti contesti, per umanissime (per quanto magari non molto logiche) ragioni. In pratica è quella spinta in più che mi spinge a risolvere, ad es., prima i problemi interni alla mia famiglia/paese prima di andare a risolvere quelli di un paese straniero. Spinta che può essere determinante per l’appunto a cercare di risolvere il problema.
Ora, non estrapolare e assolutizzare: non sto dicendo che ci si deve comportare sempre così, anzi. Però è anche vero che per molti motivi chi è addentro un problema spesso è in grado di risolverlo più velocemente perché non deve mettersi a conoscere la persona, le situazioni, non deve conquistarsi la fiducia, imparare la lingua, eccetera. Tutte cose che richiedono tempo e fatica, e immagino tu lo sappia molto meglio di me, considerate le tue scelte di vita.
Da questo punto di vista, spesso è probabilmente più efficiente che ciascun gruppo cerchi di risolvere i propri problemi, per quanto possibile, invece che avere una massa di persone che cercano di agire sempre in maniera universale. Ovviamente NON parlo di casi assoluti, i medici, volontari internazionali, e via dicendo servono eccome, ma è più conveniente che nella maggior parte dei casi sia la famiglia stessa a prendersi cura del bambino, per fare un esempio. O che siano i cittadini ad occuparsi primariamente del bene della cosa pubblica, dato che la conoscono meglio.
Ovvio, entro certi limiti (non lo sottilineerò mai abbastanza).
Perché il patriottismo, o l’amore familiare, sono importanti in questo contesto? Perché forniscono un collante importante. Perché facilitano l’empatia tra le persone, il che è comunque importante. Perché danno un incentivo in più ad agire (se mi chiede mia sorella una mano per fare qualcosa, la aiuto senza problemi, me lo chiedesse uno sconosciuto, o non me ne fregasse nulla di mia sorella, potrei pretendere di essere pagato per dare una mano).
Allo stesso modo, mi posso impegnare in politica non solo per un senso di giustizia, ma anche perché ci tengo a quel che succede nella mia comunità . Che i bambini della zona possano giocare tranquilli, che chiunque viva al suo interno (sia autoctono o meno) abbia condizioni di vita dignitose, e via dicendo.
E quello stesso sentimento mi aiuta ad accettare degli svantaggi: come il dover pagare delle tasse per dei servizi che magari non sono destinati a me. Però lo faccio, non solo perché è giusto, o perché in parte ne beneficio, bensì anche perché sento di appartenere alla comunità e quindi di dover contribuire al suo funzionamento.
So già qual è la tua argomentazione successiva: che queste reti dovremmo crearle con chi scegliamo, non con le persone con cui ci capita per caso di vivere assieme o condividere una lingua. Se questa è l’obiezione, be’, non è che abbiamo grossa scelta. Non posso andare a vivere in un paesino isolato con solo i miei amici, devo convivere con decine di migliaia di persone. Un collante che tenga uniti, un senso di appartenenza ad una comunità , sia piccola come un paesino di cento persone o grande come Manhattan, serve. E soprattutto, in genere si forma da solo, se la comunità è abbastanza sana.
Te la metto in una maniera diversa, comunque: tu sei tifoso della Fiorentina, giusto? Il che immagino sia anche per motivi casuali (=luogo di nascita). Non è un sentimento, per quanto stupido (più stupido, logicamente parlando, del patriottismo: che diavolo fa la squadra di calcio per me, a parte un po’ di spettacolo?) che lubrifica le relazioni sociali in famiglia e con gli amici, e magari ti porta a conoscerne anche di nuovi?
@ andima:
Ok, giusto, benissimo, non credo però influisca di molto sui punti che ho appena cercato di esporre qui sopra 🙂
@ Luca Venturini:
Hai risposto non a me, ma a uno che dicesse che i bambini della zona non devono giocare tranquili, mentre quelli nel resto del mondo devono.
Molto semplicemente: c’è qualche ragione – di principio, non pratica – per la quale tu debba prediligere i bambini della tua zona a quelli del quartiere accanto? Poi, magari, a te torna più facile farlo con quelli della tua zona perché esci dall’ufficio alle 7 di sera. Ma, se abitassi nell’altro quartiere, lo faresti per l’altro quartiere.
Non estrapolo un bel nulla: se tu dici che rispetti le leggi per patriottismo e non perché le ritieni giuste – anche in parte – vuol dire che, almeno per quella parte, se fossi nato in Texas saresti patrottico nel sostenere la pena di morte (cosa che, difatti, in Texas dicono).
Giovanni Fontana scrive::
No, sto dicendo un’altra cosa. Cioè che se fossi texano e pensassi che la pena di morte è sbagliata, mi impegnerei prima di tutto per farla abolire nel mio stato, piuttosto che in Iran, dato che la troverei un’onta inaccettabile sul mio paese – e quindi anche sul sottoscritto. La qual cosa renderebbe il fatto ancora più pressante e ineludibile. Se fossi in Ucraina, stesso discorso.
Il patriottismo fornisce una molla in più per agire e combattere situazioni di sopruso, o per impegnarsi in qualcosa di lodevole. È anche, volendo, uno stimolo a comportarsi bene quando si è fuori dalla propria zona – cerco di comportarmi bene fuori ANCHE perché in questa maniera, di riflesso, do lustro alla gente da cui vengo.
Quando diventa una scusa per accettare comportamenti ingiusti, direi che si passa la soglia di cui parlavo prima – nella stessa maniera in cui un religioso si avvicina pericolosamente al fanatismo quando compie qualcosa di ingiusto usando come alibi la religione.
Ovviamente non sto parlando di qualcosa che ritengo assolutamente positivo – ma ritengo anche se in Italia arrivasse una dose da cavallo di orgoglio nazionale non ci potrebbe fare così male. Si può soffire perché si ha troppo orgoglio, ma anche perché se ne ha troppo poco..
Giovanni Fontana scrive::
No, nessuna ragione non pratica per la quale dovrei prediligere i bambini del mio quartiere. So what? Non posso essere ovunque, sono una persona fisica con dei limiti. Una ragione pratica non mi sembra una cattiva ragione.
@ Luca Venturini:
Ho voluto chiarire in modo da trasmettere meglio il messaggio che intendevo nel commento, nel senso che la patria non è in noi dalla nascita ma ci viene trasmette, la assimiliamo, per questo nessuno è a prescindere italiano o spagnolo o francese, siamo tutti uguali di base, sembra banale dirlo ma credimi per molti non è così.
Poi c’è un’altra cosa, siamo mammiferi – anche se spesso ce lo dimentichiamo – e il gruppo ha un’importanza enorme, l’identificazione nel gruppo è molto importante, siamo animali sociali, ecco perché la patria ha questo legame così forte spesso. Il problema è quando si crede di appartenere al miglior gruppo o quando pur di difendere il proprio gruppo si finisce con l’offendere quello altrui. Il gruppo può essere la patria quando si è all’estero, la regione quando si è in patria, la città quando si è in regione e così via.
Comunque tornando a Benigni, a me il suo intervento non è piaciuto al 100% proprio per questo, per quei 200 grammi di superlativi assoluti che poteva evitare e che mi hanno messo sulle difensive per tutto il tempo dell’intervento. Ho cercato di spiegarlo sul mio blog, ma non mi piace lasciare troppi link o pubblicizzarmi, se hai qualche minuto ad ogni modo puoi dare una lettura:)
@ andima:
Se è questa la tua posizione, direi che siamo d’accordo al 100%: anch’io metto il “pensare di appartenere al miglior gruppo possibile” o l’offendere gli altri tra le degenerazioni (con la clausola che un po’ di sana rivalità , stile sport, ci sta tutta ed è anche positiva – dato che spinge a migliorarsi). Per il resto con il tuo ultimo intervento sei riuscita ad essere molto più sintetica di me 😀
Aggiungo che per il momento non sono riuscito ancora a vedere l’intervento di Benigni, stavo per farlo adesso, quindi tutti gli argomenti che ho portato archiviateli sotto la voce “etsi Benigni non daretur” 😀
Senti, tu che sei un tifoso non dovresti avere troppa difficoltà a capire come basti una bandiera per fare “comunità “: se il tribalismo è connaturato nell’essere umano, stigmatizzarlo e negarlo non ci aiuterà a trascenderlo. Meglio riconoscerlo e delimitarlo: se vedi la differenza fra un ultrà e te stesso, allora capisci perfettamente la differenza tra nazionalismo e patriottismo.
Domanda per Giovanni: occuparsi in modo onesto e disinteressato (cioè scevro da interessi personali) della cosa pubblica è patriottico? Se no, come lo definisci?
rosalux scrive::
Questa frase non ha senso, basta provare a sostituire tribalismo con qualunque cosa che non ti sta bene e non l’accetteresti mai.
Il razzismo/lo stupro/la soppressione delle libertà è connaturato nell’essere umano, stigmatizzarlo e negarlo non ci aiuterà a trascenderlo.
In realtà , negare una cosa o stigmatizzarla è esattamente l’opposto. Proprio perché riconosco che una spinta al male ci sia, provo ad arginarla nel modo migliore.
rosalux scrive::
Ci sono due tipi di tifo: quello per la Fiorentina, o quello per la squadra più debole o quella che gioca bene.
Nel secondo caso, c’è una ragione, non è capitato per caso: non ci sono nato dentro.
Nel primo caso, invece, è davvero solo un gioco: non riconosco nessun valore nell’essere della Fiorentina, ma soltanto un divertimento. Anzi, penso che chiunque lo faccia – inevitabilmente a scapito delle altre squadre tifate – sia un completo deficiente.
@ dtm:
ti dice che l’interesse generale non si ferma al confine
dtm scrive::
Altruista?
Il punto è quale comunità riconosci come “patria”, io riconosco tutta l’umanità : ciò che è comunemente definito patriottismo riconosce, invece, solo una piccola – o piccolissima fetta – di umanità .
Però è il sistema scolastico italiano che mi sta formando, sono gli ospedali italiani che mi curano, e via discorrendo. Benigni sottolineava che molte cose che si amano (o che molti amano) hanno in comune l’esser “italiane”: si può essere contenti per questo (non oso tirare in ballo l’orgoglio) o non ha proprio senso esserlo?
Il discorso di Benigni, più che un amore incondizionato alla Patria, m’è parsa una spinta verso un comportamento antitetico agli indifferenti di Gramsci. E’ giusto considerarsi parte della comunità mondiale, ma siamo uomini del nostro tempo, e nel nostro tempo abbiamo a che fare con l’Italia. Forse un giorno avremo a che fare con l’Europa unita, e un mondo senza stati nè eserciti, ma nel frattempo non è utile procedere a piccoli passi?
(Ps: non sono io a parlar di tribalismo 😀 )
Il problema è che – come spesso ti accade – ragioni da psicopoliziotto: che ti frega se uno ama la fiorentina perchè c’è nato o perchè gli piacciono i gigli o perchè gioca bene/male? Il problema non è nel pensiero, nelle motivazioni, ma nelle azioni: tu invece – come i vecchi comunisti di una volta – vuoi proprio che la gente pensi come te: sei convinto che se riuscissi ad avere abbastanza psicopotere, tutto sarebbe annullato: l’istinto, l’interesse, le passioni, azzerate del fontana-pensiero, e una nuova umanità sboccerebbe nella pace e nella serenità .
E questo fa di te un simpatico ma pernicioso oltranzista. 😀
Da “La lezione di storia di Benigni” di Alberto Maria Banti:
«Da tempo sostengo che il recupero acritico del Risorgimento come mito fondativo della Repubblica italiana fa correre il rischio di rimettere in circuito valori pericolosi come sono quelli incorporati dal nazionalismo ottocentesco: l’idea della nazione come comunità di discendenza; una nazione che esiste se non ab aeterno, almeno dalla notte dei tempi; l’idea della guerra come valore fondamentale della maschilità patriottica; l’idea della comunità politica come sistema di differenze: «noi» siamo «noi» e siamo uniti, perché contrapposti a «quegli altri», gli stranieri, che sono diversi da noi, e per questo sono pericolosi per l’integrità della nostra comunità .
Ciascuna di queste idee messa nel circuito di una società com’è la nostra, attraversata da intensi processi migratori, può diventare veramente tossica: può indurre a pensare che difendere l’identità italiana implichi difendersi dagli «altri», che – in quanto diversi – sono anche pericolosi; può indurre a fantasticare di una speciale peculiarità , se non di una superiorità , della cultura italiana; invita ad avere una visione chiusa ed esclusiva della comunità politica alla quale apparteniamo; e soprattutto induce a valorizzare ideali bellici che, nel contesto attuale, mi sembrano quanto meno fuori luogo.
Ecco, con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale: tanto più in considerazione della reazione entusiastica che ha accolto l’esibizione del comico, quasi come se Benigni avesse detto cose che tutti avevano nel cuore da chissà quanto tempo.
[…]
Verrebbe da chieder loro: ma che ne è stato dell’internazionalismo, del pacifismo, dell’europeismo, dell’apertura solidale che ha caratterizzato la migliore cultura democratica dei decenni passati? Perché non credo proprio che un simile bagaglio di valori sia conciliabile con queste forme di neo-nazionalismo. Con il suo lunghissimo monologo, infatti, Benigni – pur essendosi dichiarato contrario al nazionalismo – sembra in sostanza averci invitato a contrastare il nazionalismo padano rispolverando un nazionalismo italiano uguale a quello leghista nel sistema dei valori e contrario a quello solo per ciò che concerne l’area geopolitica di riferimento.»
Ila: ma non si può essere fieri, nell’ordine, di essere laziali (o piemontesi) italiani (o spagnoli) europei (o asiatici) e appartenenti alla specie umana? Voglio dire, l’una cosa è in contrasto con l’altra? Amare ciò che ci è più vicino è davvero – necessariamente – odiare ciò che ci è lontano? Poi per me è molto teorico, davvero, che a me Benigni mi ha solo curato un po’ , per quelche istante, la scarsa stima che provo verso il paese dove sono nata, e gliene sono grata forse proprio per questo…
@ rosalux:
Ma perché, Rosa, dovrei essere fiera di essere nata – sottolineo nata – in primis in Lazio, poi in Italia e alfine in Europa? Che cosa dovrebbe farci sentire fieri di questa appartenenza geografica? Il suolo su cui siamo nati? E mio padre allora, che non era nato né in Lazio, né in Italia, né in Europa? Di che cosa si sarebbe dovuto sentire fiero?
Guarda, poi io ci scherzo molto sul mio luogo natio, facendo il giochino del gnegne campanilista. Ma è un divertissement come tanti altri (come essere tifosi di una squadra di calcio piuttosto che di un’altra), mica perché ne sia veramente fiera. Anzi, mi stupisco sempre di come gli altri percepiscano la mia origine appena la dico loro.
rosalux scrive:
Penso che l’eventuale contrasto tra loro dipenda solo da come ognuno intenda questa fierezza. Tu sei una persona intelligente e riesci ad andare oltre ai tuoi confini territoriali, ma mica tutti lo fanno. Ecco, a me interessano anche loro.
Poi tu dici:
rosalux scrive::
No, non è odiare, ma è amare meno. Ma perché?
rosalux scrive::
Ma insomma sei fiera o no di essere italiana, Rosa? 😉
Comunque io diffido sempre di quelli che ‘curano’ con un tot al chilo di nazionalismo o di religione o di chissà quale altro artificio retorico. Abbiamo davvero bisogno di essere consolati così, in questo modaccio (per citare Benigni)?
[Scusa, ho scritto di fretta, ma ci tenevo davvero a risponderti, ché ti devo sempre una risposta alla tua ultima, dove in effetti mi avevi fatto capire il mio errore di interpretazione delle tue parole]
Ila scrive::
Anche e soprattutto perché non ce lo siamo scelti.
Ho scritto una stupidata.
Dalla fretta non avevo completato il concetto.
Ila scrive::
Intendevo che ci sono persone cosmopolite, che non sentono affatto le proprie radici, la loro cittadinanza, in nessuno dei luoghi in cui si trovano a vivere, per periodi più o meno lunghi. E non penso che siano degli spiantati o dei qualunquisti o dei menefreghisti o boh.
LE BAGGIANATE DI BENIGNI A SANREMO: UNA FAVOLETTA PIENA DI EROI ASSAI LONTANA DALLA REALTA’ DEI FATTI
Gli italiani esistevano prima dell’Unità d’Italia ed erano uniti non dalla lingua, ma dalla fede cattolica (che i risorgimentali tentarono di estirpare con ogni mezzo, incluso la violenza)
di Antonio Socci
Roberto Benigni merita un grande “grazie!”. Certo, alcune baggianate le ha dette nella sua performance al festival di Sanremo.
Per esempio, se ho ben capito (perché affastellava argomenti con un eloquio sovraeccitato) ha detto che fu Mazzini, nel 1830, a inventare il Tricolore. E’ una sciocchezza.
Chissà come gli è venuta in mente: il Tricolore fu concepito da Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis, a Bologna nel 1794 (l’ho raccontato di recente su queste colonne). E fu poi ripreso – come tutti sanno – dalla Repubblica Cispadana nel 1797. Mazzini non era neanche nato.
Suggestivo è il riferimento benignesco alle origini del Tricolore dalla Divina Commedia (Purg. XXX, 30-33), ma purtroppo l’attore toscano ignora che i colori bianco, rosso e verde del vestito di Beatrice indicano le tre virtù teologali, Fede, Speranza e Carità e così il riferimento dantesco rimane monco.
Qualcuno poi dovrà spiegare a Bossi e alla Lega che il Tricolore nasce dallo stendardo della Lega lombarda (la croce rossa in campo bianco che proveniva dalle crociate) e che l’unità d’Italia è in gran parte un’ “impresa padana”.
Ma chissà se ascolteranno.
Per tornare a Benigni, ci sono poi le gaffe dovute all’ingarbugliamento verbale del comico, come quando ha detto che la cultura italiana esisteva prima della nazione: una cosa senza senso, chissà perché rilanciata dai tg come una geniale idea.
In realtà intendeva dire che la nazione e la cultura italiane esistevano prima dello Stato unitario (che è sorto appunto nel 1861).
Era uno spunto bello – quello della cultura italiana che precede lo Stato – che sarebbe stato da approfondire. Peccato che l’abbia lasciato cadere.
E peccato che l’orazione civile di Benigni abbia celebrato un Risorgimento da scuola elementare di cento anni fa.
E’ stato un alluvione di retorica da piccola vedetta lombarda. Ha narrato una favoletta piena di eroi giovani e forti (che sono morti) assai lontana dalla realtà dei fatti.
Non c’è stato nemmeno il sentore delle zone d’ombra, degli errori e pure degli orrori della “conquista piemontese”.
Detto questo credo che Benigni sia stato grande e abbia fatto comunque una grande cosa.
Prima di tutto per la sua emozione e la sua commozione che ci hanno toccato il cuore e che ci hanno fatto sentire come nostro perfino un inno nazionale improbabile e per certi aspetti imbarazzante.
Il caso Benigni è emblematico. Nessuno ha riflettuto su quanto sia singolare che a un comico sia di fatto affidata l’unica vera celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia (in effetti la performance di Benigni a Sanremo era più attesa dei discorsi ufficiali del presidente Napolitano).
In realtà c’è una ragione profonda. E’ data dal fatto che, dopo il fascismo, che ridusse l’amor di patria a una macchietta comica prima e tragica poi (per il nazionalismo, il colonialismo e la catastrofe bellica), le sole due modalità che gli italiani, nel cinquantennio repubblicano, si sono concessi per essere patriottici sono state il calcio (lo stadio, dove giocava la Nazionale, è diventato l’unico posto dove sventolavamo il Tricolore) e la comicità (vedi “La grande guerra” interpretata da Gassman e Sordi, per fare un esempio).
Il registro comico ci permette infatti di dirci che siamo fieri di essere italiani (specie col mito “italiani brava gente”), ma con un sorriso rassicurante, col sottinteso cioè che non ci prendiamo troppo sul serio e nessuno si sogna più di emulare la Roma imperiale: infatti gli italiani possono essere solo “eroi involontari”, proprio come Gassman e Sordi in quel capolavoro di Monicelli.
Anche il palcoscenico della celebrazione di Benigni era emblematico: il festival di Sanremo e la Tv.
Emblematico perché (primo) Festival e Tv sono il tempio del sentimento nazional-popolare, (secondo) perché rientrano perfettamente nello stereotipo più diffuso e banale – gli italiani spaghetti e mandolino – e (terzo) perché confermano perfino lo stereotipo colto per il quale – in fin dei conti – la nostra arte e la nostra cultura ci fanno da duemila anni il cuore del mondo (del resto il Festival si vanta di essere “la musica italiana”).
C’è un’altra piccola rivoluzione memorabile compiuta da Benigni: per un cinquantennio la parola “patria” è stata un tabù per la Sinistra comunista e per la cultura ufficiale. Bastava pronunciarla per essere accusati di fascismo.
Non solo. I comunisti avevano certamente dato un grandissimo contributo alla liberazione del Paese dal nazifascismo, nella guerra partigiana, però il Pci era asservito a Stalin, a una potenza straniera minacciosa e nemica dell’Italia.
Per capire cosa significa ciò bisogna ricordare che nel momento più drammatico dello scontro fra mondo libero e Urss, attorno al 1948-1949, quando l’Armata Rossa si stava divorando mezza Europa, asservendo decine di Stati dell’Est europeo e arrivando fino a Trieste con mire fameliche e aggressive, uno come Enrico Berlinguer – il migliore di quel campo (a quel tempo leader della Fgci) – affermava che in caso di guerra i giovani non avrebbero combattuto contro l’Armata Rossa.
Fece indignare lo stesso De Gasperi che gli rispose di persona, con un suo duro discorso (il legame del Pci con l’Urss è durato a lungo: perfino i finanziamenti sovietici sono arrivati fino alla fine degli anni Settanta).
Ancora negli anni Ottanta – nella decisiva vicenda degli euromissili (che poi porterà tali cambiamenti a Mosca da provocare il crollo del comunismo) – il Pci, anziché schierarsi con la Nato per far fronte alla minaccia dei missili sovietici puntati sull’Europa, scelse un “pacifismo” che di fatto significava non difendere gli interessi nazionali e avvantaggiare l’Urss (chissà se il presidente Napolitano ricorda…).
Ciò detto che oggi si possa parlare di “patria” senza più i tabù ideologici del passato, come ha fatto Benigni, è una gran bella cosa. Che tutti insieme ci si possa riconoscere nel nostro passato e nel nostro Paese, come una sola famiglia è meraviglioso.
Tanto più in questo anniversario dei 150 anni dell’unità nazionale, nel quale il Paese sembra dilaniato dagli odi e il disprezzo reciproco quasi rende impossibile riconoscersi come un solo popolo.
Benigni si è trovato a svolgere un ruolo che non dovrebbe essere affidato a un attore, specialmente a un attore comico, ma ha trovato nella propria religiosità il modo per cantare un inno che ci ha unito e che nessuno avrebbe potuto restituire con eguale semplicità . Per qualche minuto sugli odi e sul disprezzo reciproco ha prevalso in tutti la sensazione di essere un popolo. E ha prevalso l’amore per quella cosa bellissima che si chiama Italia.
Fonte: Libero, 19 febbraio 2011
Ahi, ahi, ahi, Giovanni…ho letto e considero nella mia risposta il post che mi hai segnalato (non i commenti): ho visto però delinearsi all’orizzonte convinzioni granitiche…ma soprattutto poco articolate…invece l’area di significato patriottismo/nazionalismo contiene tensioni ineliminabili e dunque non semplificabili.
In breve. Al netto delle strumentalizzazioni (familistiche, claniche, etniche, religiose, ideologiche, NAZIONALISTICHE) il bisogno di appartenenza è comunque un sentimento (o, se vuoi, una passione) pressoché innato (nessuno può sensatamente disconoscere che l’uomo è un animale sociale: non siamo isole nella corrente…), con forti ricadute positive individuali (senso di responsabilità civile e politica) e comunitarie (coesione sociale).
Il sentimento patriottico, che ne è una delle espressioni, forse la più importante (perché strettamente connessa, almeno nella nostra realtà , all’idea così centrale di Stato), nasce dalla scelta (libera, a prescindere cioè dai legami di sangue, senza però necessariamente negarli) di condividere un comune destino con chi ci è vicino per lingua, cultura, tradizioni, istituzioni, storia, e quant’altro e dunque dalla disponibilità di superare il proprio ‘particolare’ per accettare i legami che questa scelta impone.
Questo (ossia la negazione della centralità del vincolo di sangue) è il modello teorico per evitare che la vicinanza (e dunque il fatto territoriale), fondamentale per includere, diventi invece fattore di esclusione e/o di conflitto (altrimenti si cade, appunto, nel nazionalismo).
Il modello pratico sono le istituzioni che chi condivide questo sentimento si dà in termini di concessioni di diritti a tutte le minoranze, a cominciare dalla più piccola: il singolo individuo, e di rispetto del patriottismo altrui. Per questo di parla di PATRIOTTISMO COSTITUZIONALE in antitesi con il PATRIOTTISMO NAZIONALISTICO, nel senso che la cittadinanza che ne deriva in sostanza riflette un patto piuttosto che un dato immutabile di partenza (quello che tu giustamente critichi peraltro con enfasi eccessiva: manchi di pietas…).
In realtà tu non neghi il senso di appartenenza, ma lo allarghi a dismisura: i confini ti stanno stretti, appartieni all’umanità , ti senti cittadino del mondo.
Ma il patriottismo (costituzionale) non è negazione del cosmopolitismo. Indica però una strada diversa dall’universalismo: si diventa cittadini del mondo attraverso un’autonoma federazione (o confederazione, non voglio aprire qui un altro fronte di discussione) dei patriottismi e non attraverso un’equiparazione omologante.
Se sono stato magari un po’ oscuro, me ne scuso, ma non è tutta colpa mia, distinguere è sempre molto più complicato che semplificare come hai fatto tu (eh eh eh: in cauda venenum…).
Ciao!
@ Gianni:
Interessante, però non vedo perché quando dici che:
Gianni scrive::
Non potresti allargare il concetto a più persone, all’umanità , invece di farlo – senza una vera ragione – solo a chi condivide un confine. Continuo a dire che non vedo valore nel considerare quale fattore d’unione non la comunanza di idee, di principî, di affetti, ma la comunanza di un confine.
Come rispondi alla domanda: perché devo volere più a Marino di Palermo che non a Sebastian di Madrid? Perché, come Marino, ho vissuto in un pezzo di terra con una storia precisa? Embè?
Gianni scrive::
Hai ragione.
Gianni scrive::
Questo mi sembra davvero un gioco di parole. Il patriottismo implica, necessariamente, una via alternativa al cosmopolitismo. Tanto è vero che qualunque personaggio che si sia definito un cosmopolita l’abbia fatto in opposizione al nazionalista.
Gianni scrive::
Ecco, su questo sono molto in disaccordo. È molto bella l’omologazione. Ad esempio ci ha reso liberi dalla schiavitù. Ed è un’ulteriore dimostrazione che non si può essere cosmopoliti e patriottici, non si può essere cosmopoliti e non riconoscere che – talvolta, spesso – le usanze degli altri sono migliori delle nostre. E cambiare le nostre.
Gianni scrive::
No, non sei stato oscuro. Io credo piuttosto che sia molto più facile complicare le cose, lo noto spessissimo nelle discussioni. Semplificare è sempre una cosa positiva.