Di tutto e di più

1 su 5

Ogni tanto qualche mio amico me lo chiede, così la metto qui per ricordarmela – ecco perché non potrò mai votare per Di Pietro:

[x e y] portano avanti battaglie libertarie per cui si può fare tutto e di più: si può fumare spinelli, inveire con il Padreterno, abolire le carceri. Un modo di vivere per me inconcepibile in una democrazia occidentale.

Fumare spinelli, inveire con il padreterno e abolire le carceri. Non c’è più morale, contessa.

Grazie a Guido

Sulla lista di quei froci dei froci

3 su 5

Un’associazione LGBT ha pubblicato una lista di presunti politici gay e omofobi. Tante altre associazioni LGBT hanno criticato questa scelta perché non rispettosa della privacy dei coinvolti. Mi sembra di essere in disaccordo con entrambi, e provo a spiegare perché. Naturalmente la veridicità delle identità dei coinvolti, per la quale non c’è alcuna prova, è irrilevante.

Io non sono contrario in principio a premere, forse anche a costringere attraverso l’outing, coloro che sono omosessuali a dirlo apertamente. Non c’è dubbio che un omosessuale che vuole rivendicare la segretezza, l’essere privato, della propria preferenza sessuale sta introiettando il principio per il quale quello debba essere un carattere di cui vergognarsi. Se lo vivesse con tranquillità, come si vive qualunque dato privato di cui non vergognarsi (ti piace la pasta al pomodoro? Qual è il tuo colore preferito?) non avrebbe problema a parlarne. Il privato è politico, l’abbiamo imparato qualche decennio fa.

Su questo sono molto severo: i “tu non sai cosa vuol dire vivere in una famiglia difficile” sottintendono un senso etico debole e una concezione morbosa e anti-meritocratica del voler bene (e nella gran parte dei casi, certamente nel mio, dimostrano di non conoscere l’interlocutore). Non la faccio facile, la faccio necessaria. Perciò è vero: se ti vergogni della reazione che la società potrebbe avere, significa che un po’ di ragione, a quella società, la stai dando. Nessuno ti può far sentire inferiore senza il tuo consenso. Qualunque omosessuale in the closet è inevitabilmente – almeno in piccola parte – omofobo.

Ma è proprio quello il punto che mi infastidisce di questa iniziativa sullo smascheramento della combo gay+omofobo: un omosessuale ha diritto a essere omofobo quanto un eterosessuale. Cioè: va criticato, ma va criticato come qualunque altro eterosessuale. Altrimenti stiamo riconoscendo almeno due di questi tre principî: A) che il marchio di omosessualità, almeno in alcuni casi, deve risultare effettivamente infamante: una sorta di gay pride al contrario, un gay shame B) che per essere omosessuale devi anche avere determinate idee, anziché essere una semplice preferenza sessuale e un tratto privo connotati ideologici. Insomma: l’omosessualità è un’ideologia – quello che sostengono gli omofobi di tutto il mondo C) che le battaglie per la parità dei diritti devono farle solo, o principalmente, gli appartenenti a quella minoranza: che i neri devono lottare per i neri, gli omosessuali per gli omosessuali. (E siccome ogni minoranza è – costitutivamente – una minoranza, quelle battaglie di minoranza sono destinate a essere perdenti).

Non c’è nessuna questione di coerenza (e se anche ci fosse, non è mai quello il punto). Si può essere omosessuali ed essere scemi, si può essere omosessuali ed essere omofobi. Si può essere omosessuali e guardare solo al proprio tornaconto personale. Gli omosessuali sono come tutti gli altri, ricordiamocelo.

Essere una rockstar (e una che ti piace)

2 su 5

Londra, qualche notte fa.
Fermata di diversi autobus. Fra le 2 e le 3 di notte.

Personaggi:
Io, io.
Fan, gruppo di quattro ragazzi fra i venticinque e i trent’anni.

*Fan confabulano qualcosa tra di loro guardandomi, io approfitto dell’incrocio dello sguardo per domandare.*
Io: ciao ragazzi, sapete mica dirmi quale notturno devo prendere per Southwark?
Fan: ma.. ma.. tu sei il batterista dei Fleet Foxes?
Io: no, *rido*, mi dispiace non sono io… mi sapete dire la ferma…
Fan: maccome no! Sì che sei tu.
Io: guardate, no, ve lo direi se lo fossi *sempre ridendo*, ma mi servire…
Fan: ecco ti pareva, invece sei tu, ce lo puoi dire.
Io: vabbene, se vi canto una canzone mi dite dov’è l’autobus che devo prendere?
Fan: ok, allora, devi fare così così e così, poi – dov’è che dovevi  andare precisamente? – ah, sì. *Controllano la mappa*, devi andare qui *mi dànno indicazioni che poi si riveleranno sbagliate*, ecco e poi sei arrivato.
Io: grazie ragazzi, siete stati molto utili, ci si vede!
Fan: eeeehi, e la canzone?
Io: *alzo gli occhi al cielo*. Ah, già. *mi metto a canticchiare* «I was following the, I was following the, I was following the…»
Fan: uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuh *fra di loro* hai visto? È luiiii! *Si dànno il cinque* È proprio lui! Ve lo dicevo!

Nella foto, Giovanni “J Tillman” Fontana, batterista dei Fleet Foxes.

In un libro che non ricordo, Terzani racconta di una volta che, evadendo dalla morsa degli agenti cinesi, riuscì a montare su un treno per andare a visitare una delle poche comunità cattoliche resistita alla furia maoista. Villaggi rurali popolati di persone che non avevano altra scelta che conservare la propria fede in maniera intima, senza un prete, un officiante. Molti – quasi tutti tranne qualche vecchio – non ne avevano neanche mai incontrato uno, di preti. Fu così che quando Terzani iniziò a girare per il villaggio, tutti gli sguardi, da dietro le finestre, furono per lui, chiaramente occidentale. Fra questi sguardi c’erano anche quelli di alcuni agenti governativi, che lo fermarono e lo misero a forza sul primo treno per ripartire. Proprio mentre il treno iniziava il proprio moto, un ragazzo arrivò di corsa e – cercare di seguire il passo del treno – sussurrò «pater, pater, benedictus». Terzani capì che, vedendo per la prima volta un occidentale da quelle parti, quel ragazzo lo aveva scambiato per un prete venuto per benedire. Nell’imbarazzo del dover decidere cosa fare in un attimo, Terzani pronunciò le parole di rito: «In nomine Patris et filii et Spiritus Sancti», facendo ampie movenze. Il ragazzo si fermò e poté andare via contento. Qualche tempo dopo Terzani confessò questo piccolo inganno a un suo amico prete, in qualche modo per scusarsi, ma il suo amico lo assolse: «lhai reso felice, hai fatto bene».

I will do enough good to make it up to you

3 su 5

Ieri era l’Anniversario, quello con la “a” maiuscola, e ho pensato che non ci fosse molto da scrivere, cioè, che non ce l’avessi io. C’è anche che sono molto impegnato, in questo periodo, e quindi forse non ho avuto neanche il tempo di pensarci.

Così ne scrivo ora, il giorno dopo, meno come reazione all’anniversario e più come reazione alle reazioni all’anniversario, che ho letto sfuggitamente ieri. E ho pensato che tutti coloro che hanno detto “forse sarò impopolare ma”, per poi aggiungere considerazioni – delle volte condivisibili – sulle conseguenze della guerra in Iraq, in Afghanistan, di un mondo più polarizzato. Della necessità di mettere quell’evento in un contesto, di raccontarlo come un evento internazionale, di restituirlo alla propria dimensione, eccetera. Ecco, ho pensato che tutti questi – lungi dall’essere-impopolari-ma – sono il mainstream, dicono quello che dicono tutti e che tutti si aspettano che tutti gli altri dicano, perlomeno in una certa fetta di società. E se, invece, per una volta si dà un pensiero a quell’evento come tale, lasciando da parte – per un giorno, nell’anniversario dei dieci anni – quello che ci viene ricordato ogni settimana da ciò che succede in Iraq, in Afghanistan, in tutto il mondo, non possiamo che trovarne del sollievo, nel raccontare un evento, una storia, per quanto piccola.

Così quando ho visto questo video ho pensato che fosse perfetto, che forse era quello che dovevo mettere ieri, ma forse oggi è meglio, per toglierlo da quel contesto lì.

Un carnivoro difende i vegetariani

3 su 5

E quindi un carnivoro come me si trova a scrivere un’apologia del vegetarianismo. Perciò avete due garanzie: che il messaggio di questo post non sarà messianico, e che alla fine di esso potrete accusarmi d’incoerenza. Vediamo se riesco a convincervi del messaggio (più importante), e a scagionarmi dall’accusa d’incoerenza. Il problema è, mi sembra, la presenza di una certa tendenza a cercare di cogliere in fallo – a-ha, ti ho beccato! – i vegetariani piuttosto che rispondere alle loro idee.

Ce lo diciamo? Le obiezioni che le persone come me, noi, contrappongono al vegetarianismo sono stupide. «E allora gli alberi?» o «in macchina ammazzi un sacco di moscerini»: come se il (preteso) parziale errore altrui esaurisse il completo errore nostro. «Gli animali si mangiano fra loro» o «siamo naturalmente portati a mangiare carne»: anche ad ammazzare quello che ci “ruba” la fidanzata, poi ci ragioniamo su e capiamo che non è etico.

Le ragioni per le quali mangiamo carne sono due: perché siamo pigri, e perché la carne è buona. Intendiamoci, sono due buone ragioni. Seguire ciò che ci fa felici è generalmente buona norma, però bisogna considerare se va a danno di qualcuno e se questo danno valga il beneficio.

Il motivo per il quale non facciamo del male alle altre persone è che pensiamo che causare sofferenza ad altri esseri senzienti sia sbagliato. È il presupposto etico che fonda qualunque società laica. Magari non ci ragioniamo, ma è il motivo per cui non prendiamo a pugni chi ci sta davanti, e per il quale consideriamo la tortura come una cosa terribile. Ciò, naturalmente, assume diverse misure: pestare un piede non causa lo stesso dolore né è moralmente equivalente che dare una gomitata nello stomaco (lasciamo, per un momento, da parte l’intenzionalità).

Non c’è alcuna ragione per la quale non dovrebbe valere lo stesso per gli animali, e in parte è già così. Maltrattare un cane, al di là della legge, è comunemente percepito come sbagliato. Anche qui c’è una misura: probabilmente un cane soffre più di una gallina, e una gallina soffre più di una zanzara. E questo è un aspetto importante. Si può arguire, – io credo sia così e che la scienza lo suggerisca – che gli esseri umani siano in cima a questa scala, che la sofferenza umana “valga” di più di quella di un cane, e quindi di una gallina, e quindi anche di una zanzara. Ma non c’è niente che suggerisca che questa priorità prenda la forma di una completa cesura fra gli uomini e tutte le altre specie animali. Quello che vale per l’uomo deve valere, un po’, per tutti gli animali.

E allora perché non sei vegetariano? Beh, tre cose:
1) Il fatto che io sia incoerente con le idee che ho scritto non intacca la bontà di quelle idee. Fare tana a qualcuno, non libera tutti.
2) Perché essere vegetariani vuol dire non mangiare mai carne, mentre essere ecologisti vuol dire prendere meno – per quanto possibile – la macchina?
3) E più importante: non divento vegetariano per la stessa ragione per la quale sto scrivendo questo post anziché essere a servire a una mensa dei poveri, perché bisognerebbe riformulare l’etica in maniera più realistica, declinando in modo meno manicheo il concetto che ci sia il giusto e lo sbagliato: ci sono cose più giuste di altre e ci sono cose più sbagliate di altre.

Ci sono un’enormità di cose in cui il nostro piacere si scontra con quello degli altri. Tutte le volte che rinunciamo a privilegiare noi stessi per fare del bene agli altri siamo, un po’, migliori. Alcuni ragionamenti contro il nostro interesse sono richiesti dalla società in cui viviamo: non ammazzare la vecchietta per rubarle la pensione. Alcuni non ci verrebbero mai chiesti: vendere la propria casa per comprarne una più piccola e donare i soldi in beneficenza. Altri sono nel mezzo, e sono lasciati alla coscienza di ognuno: come appunto mangiare meno carne, prendere di meno la macchina, fare del volontariato ogni tanto, e così via.

Ciascuna di queste cose – quelle richieste, quelle non richieste o quelle lasciate alla coscienza di ognuno – rende chiaramente migliore (in senso etico, e in quello specifico aspetto) chi le compie rispetto a chi non le compie, ma è chiaro che nessuno potrà mai compierle tutte. Ognuno avrà il suo spazio di egoismo che si ritaglierà come crede, e che sarà valutato dagli altri di conseguenza. Io dico che questo principio lo adottiamo – anche inconsciamente – ogni giorno e per qualunque ambito: ci impegnamo, per quanto possiamo (o anche molto meno), nella raccolta differenziata, nell’andare in bici, nel dare soldi al mendicante per strada, nel fermarsi ad aiutare l’automobilista sconosciuto con il motore in panne. Magari il lunedì lo facciamo, il venerdì no, e va bene così.

Invece sul vegetarianismo c’è un atteggiamento integralista, in entrambi i sensi: o me ne frego completamente e anzi, dileggio i vegetariani; oppure non mangio assolutamente la carne, neanche una volta l’anno. E mentre la seconda opzione corre il rischio di sopravvalutare l’importanza della propria coscienza (dieci persone che mangiano meno carne valgono molto più di una che non la mangia per niente), è chiaro che la prima è eticamente in fallo.

Quindi quello che dico io, rispetto al vegetarianismo, è che dovremmo comportarci come in tutte le altre cose che riteniamo sostanzialmente giuste, con le piccole licenze che ognuno si concede, e concedendosene alla discrezione di ognuno. Mangiare qualche bistecca in meno, comprare le uova free-range anziché caged, evitare quando possibile ristoranti Kosher o Halal, parlarne a due o tre amici ogni tanto. Tutto quanto con la giusta misura, sapendo che non è l’unica dimensione del comportarsi in maniera etica – ma è, perché lo è, una di queste.

E tenendo presente che, naturalmente no, neanche i vegetariani sono perfetti, e magari in altri ambiti saranno poco attenti. Ma su questo? Ancora non so dire se hanno ragione loro. Sicuramente hanno più ragione di noi.