L’Uganda, gli omosessuali e il Papa

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Io sono anticlericale, e quando leggo le dichiarazioni del Papa sugli omosessuali – queste ultime incluse con forza – mi arrabbio ancora di più col Papa. Però poi leggo di gente che mi fa arrabbiare perfino di più.

In Uganda, lo Stato cristiano più conservatore al mondo, alcune comunità protestanti (fra l’altro, non cattoliche) hanno proposto la pena di morte per gli omosessuali. Al tempo non fregava niente a nessuno – io ho molto a cuore queste cose, e seguii la campagna, ignorata da tutti – come non frega niente delle condizioni degli omosessuali nei Paesi mussulmani, in nove c’è la pena di morte, in un’altra ventina ci sono punizioni detentive, pecuniarie o corporali; dopodiché, più di un anno dopo, il Papa (dopo essersi detto contrario alla pena di morte) incontra una proponitrice ugandese di una legge contro l’omosessualità, e tutti saltano a urlare contro il Papa. In realtà degli omosessuali, evidentemente, non frega un cazzo. Quello che frega è insultare Ratzinger.

“Nobody with a sense of humour ever founded a religion”

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Alla Atheist Convention 2012, in Australia, è arrivato un gruppo di mussulmani, uno di quelli con le scritte “morte agli infedeli”, “brucerete all’inferno” e tutto il resto. La cosa era particolarmente sgradevole perché non si limitavano alla condanna generica, ma hanno indirizzato ad Ayaan Hirsi Ali e Christopher Hitchens – non so se vi rendete conto, Ayaan e Christopher, chi c’è meglio di loro? – diversi cartelli e cori della stessa serie, infedeli, le fiamme dell’inferno, eccetera.

Dopo un po’ che questi gridavano, hanno iniziato a raccogliersi là fuori diversi partecipanti alla convention che hanno deciso di rispondere per le rime: o meglio, di rispondere con tutta l’ironia che dei picchiapetto come quelli meritano di ricevere.

C’è l’appropriatissimo «dove sono le donne?»; ci sono tutti in coro che si mettono a cantare Always Look on the Bright Side of Life, a presa in giro; c’è il semplice “cazzate”; c’è la fantastica invocazione «ZZ Top!», un gruppo musicale noto per andare in scena con queste barbe; e infine, forse il migliore, i contestatori che gridano «Infedeli! Infedeli! Infedeli!» indicando gli atei lì davanti, e gli atei lì davanti che replicano «Infedelì! Infedelì! Infedelì!», indicando sé stessi.

San Valentino

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Quasi dimenticavo, l’oramai tradizionale post – in cui c’è dentro tutto questo blog – per San Valentino:

Tanti auguri.

Agli unici innamorati al mondo che non possono permettersi di non sopportare questa festa. Che non hanno il diritto di sogghignare dei lucchetti a Ponte Milvio o farsi venire l’urticaria per le strade tappezzate di cuori di peluche rossi. Di ridere delle scritte per terra, o di considerare kitsch le scatole di cioccolatini a forma di cuore.

In Arabia Saudita, e in tanti altri posti del mondo, festeggiare San Valentino è vietato dalla legge. Ti viene a prendere la polizia per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio. Non è una parodia, si chiama veramente così. Perché amarsi è un’idea occidentale.

A tutti coloro per i quali volersi bene è – necessariamente – un atto rivoluzionario, a loro, buon San Valentino.

Censura

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Qualche giorno fa hanno bombardato la sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo perché aveva fatto satira sull’Islam. Peggio ancora dell’attentato ci sono state le reazioni – poche, per fortuna, ché in Francia sulla laïcité sono preparati – di chi ha criticato, anziché gli attentatori, i satiristi per esserselo cercato. Questa è la peggiore forma di censura.

Non ne ho parlato prima, perché non avevo nulla da scrivere. Lo scrivo ora per segnalare questa, che è la migliore vignetta sul tema, del consuetamente ottimo Jesus & Mo:

Cristianofobi di tutto il mondo

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Un gruppo di fondamentalisti islamici ha manifestato a Parigi, nel fine settimana, al grido di «Basta con l’Islamofobia». Sotto accusa la pièce di Romeo Castellucci, cofondatore della compagnia Societas Raffaello Sanzio, “Sur le concept du visage du Prophète”. Castellucci è criticato dal movimento Medina, che ha anche assediato il Théatre de la Ville per due settimane, per il contenuto blasfemo dello spettacolo considerato una provocazione culturale e per la testa di Maometto che, nella rappresentazione, «sembra sporco di escrementi».

Quelli che hanno pensato “ah, però che bisogno c’è di offendere?” vadano a leggere l’originale. Si domandino, poi, se non hanno – anche loro – questo problema.

“Scandalo permanente”

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Luca Massaro ha trovato l’ossimoro giusto per definire i privilegi economici di cui gode la Chiesa Cattolica in Italia. Sono invariabilmente lì da tanto tempo che uno finisce per stupirsi se, finalmente, qualcuno lo fa presente.

Ci pensavo l’altro giorno, quando è uscita fuori quella dell’accorpamento – così, come fosse normale specifica – delle feste “non religiose” nella finanziaria, perché quelle religiose sono concordatarie. Ripensavo proprio al concetto del Concordato, che suggerisce che lo Stato italiano sia tenuto a patteggiare qualcosa con il Vaticano. Il Concordato: un convenientissimo accordo unilaterale con cui lo Stato italiano si impegna a garantire diverse cose al Vaticano e in cambio il Vaticano s’impegna a… un bel niente. Il paragone giusto trovatelo voi.

Parliamo di islamofobia

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Islamofobia è una parola che qualifica più chi la usa che chi ne è destinatario. Parlo naturalmente di chi lo fa consapevolmente, perché ci sono molte persone che non hanno mai riflettuto sul portato semantico e ideologico di quella parola (come del resto ho fatto io in passato, anche su questo blog). È per questi ultimi che scrivo questo post.

Islamofobia è una parola fasulla perché cerca di accostare al razzismo il rifiuto di una religione. È una parola clericale, come lo è cristianofobia, che Ratzinger usa tutte le volte che quelli come me fanno richieste sacrosante come la rimozione del crocifisso dalle aule. È una parola che cerca di accusare chi non è d’accordo con te – chi non sottoscrive la tua sottomissione a un dogma – di non esserlo per una paura irrazionale, e non per un più che ragionevole diritto di critica.

Invece il razzismo contro l’Islam non esiste né esiste quello contro il Cristianesimo, perché Islam e Cristianesimo non sono razze. Sono sistemi di pensiero con cui ognuno di noi può decidere di essere d’accordo, oppure no. È come parlare di razzismo contro il Fascismo, contro il Liberalismo, contro il Marxismo, cose che è legittimo non sottoscrivere. Eppure nessuno potrebbe darmi del leghistofobico, nonostante la metà dei post di questo blog siano una critica alla Lega Nord: molto semplicemente, è la mia idea, non è “una paura irrazionale e persistente”.

Un’obiezione sensata potrebbe essere l’antisemitismo, ma anche questa mostra una scarsa indagine di cosa si intenda per antisemitismo. Per ragioni storiche, il Giudaismo è considerato sia una religione che una nazionalità: quale che sia la nostra opinione al riguardo, tale distinzione è un dato di fatto – un ebreo ateo è un ebreo, non esistono cattolici atei. L’antisemita è chi lotta contro l’Ebraismo per questione di sangue, non per ideologia religiosa: ci mancherebbe altro che non si possano criticare gli ebrei ortodossi per la condizione femminile, o per le ridicole pratiche bibliche a cui sottopongono i proprî figli. Chi vi accusasse di antisemitismo per queste legittime critiche farebbe lo stesso uso contraffatto della parola islamofobia.

Questa distinzione fra ideologia ed etnia è fondamentale: essere contro i tunisini o gli egiziani, contro i tailandesi o i filippini, è razzista (forse sarebbe il caso di concentrarci su questa battaglia?); essere contro l’Islam, quindi compresi quelli come John Cristopher Lindh che di arabo non hanno nulla, è – per quanto mi riguarda – l’unica posizione razionale (fino al giorno in cui non ci portano le prove della veridicità di quelle credenze).

Non so quando sia successo, ma è arrivato un giorno in cui abbiamo deciso che le religioni che vanno di moda – in genere Cristianesimo, Islam ed Ebraismo: nessuno mi accuserebbe di scientologyfobia – andassero trattate in maniera del tutto diversa, e privilegiata e pregiudiziale, da qualsiasi altro fenomeno nel mondo.

Non c’è dubbio che oggi questo equivoco sia alimentato principalmente in relazione all’Islam, e non al Cattolicesimo o ai testimoni di Geova (perché vi sarà capitato di scrivere che vi stanno antipatici i Testimoni di Geova, o no?). Se cristianofobia è usato soltanto dal Papa e da qualche teo-con in piena sindrome d’accerchiamento, la parola islamofobia – come dimostra la copertina qui a fianco – è invalsa anche fra persone che, almeno fino a quindici anni fa, nessuno avrebbe mai potuto accusare di clericalismo. Eppure per quanto le religioni non siano uguali fra loro, il principio è lo stesso. È bene spiegare che essere contro l’Islam non vuol dire essere “contro i mussulmani”, per la semplice ragione che – per fortuna – le persone sono molto più che una sola cosa: possiamo non essere d’accordo con le convinzioni politiche dei nostri amici, senza per questo rifiutarli del tutto. Tanto più che l’Islam è composto di almeno tre cose: la Sunna, quindi il Corano e gli Hadith; la tradizione della legge islamica, la Shari’a; e le persone che ci vivono dentro. Si possono considerare infondate, sessiste, violente, le idee espresse nelle prime due senza estendere questa valutazione a coloro che queste idee decidono di ignorarle.

Anzi, proprio in questa distinzione c’è un grande segno di speranza, tanto che se non ci fosse saremmo perduti. Confido spesso – è ciò che muoveva la mia azione in Palestina, e ciò che la muoverà in futuro – nella quantità di persone, di mussulmani, che vivono con dignità e altruismo nonostante i pessimi insegnamenti che sono dentro a un libro (e una teologia) fra i più sanguinosi e immorali che l’umanità abbia mai creato, che – guarda caso – è molto vicino a quello che penso dei cristiani.

Ah, e buon Ramadan a tutti (gli adulti).