Sempre sia lodata Ryanair

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A me sapete chi mi sembrano? A me mi. Sapete chi? Quei bambini – quanto mi facevano rabbia – che si portavano il pallone nuovo da casa, e poi non ci volevano giocare, non lo volevano sciupare, meglio usare quello sgonfio,  solo-sull’erba-ma-non-sull’asfalto, eccetera.

Non so se capita anche a voi: io leggo spesso, in giro, di gente che ce l’ha con Ryanair. Che si lamenta della scomodità, del fatto che ti facciano Tpagare qualunque extra. ti trattano da cani, le gambe non ci stanno, gli aeroporti sono lontani, il servizio clienti non esiste, ti devi stampare tutto tu, cancellano un sacco di voli, tanto altro ancora. Ogni volta mi metto le mani fra i capelli, perché accanto alla comprensibile incazzatura di colui al quale è capitata una disavventura e che ha tutto il diritto ai suoi 5 minuti di sfogo, fioriscono un sacco di «hai ragione!» «è vero!» «pago un po’ di più ma almeno ho il servizio!» «eh, signora mia!».

Questa gente non ha capito una cosa: quale è la funzione di quella cosa lì. A cosa serve Ryanair. A cosa servono i voli low cost. A risparmiare. A portare le tue due braccia, le tue due mani, e ogni tanto anche la tua testa, in un altro posto spendendo pochi soldi. Come il pallone dei bambini di cui sopra, è tutta una questione di funzione. Il pallone serve a giocare, non a tenerlo in bacheca o fare il fico con gli amici perché è bello e luccicante. Cioè, c’è anche quello, per chi vuole: ma non ti puoi lamentare se compri un telefonino e quello non ti fa l’uovo alla coque.

I voli low cost sono voli low cost. Costano low, basta. La loro filosofia è riassumibile in: noi ti portiamo da qua a là a poco e tu non ci rompi i coglioni. Vuoi stare comodo? È un altro servizio. Puoi averlo, ma non da noi. Nel frattempo ci sta un mondo intero di persone che possono viaggiare, e tanto, solo grazie a questa strepitosa innovazione – e ve lo dice uno alto 1.92 che ogni volta corre per prendersi i posti sull’uscita d’emergenza.

Oh, ci mancherebbe: ognuno spende i soldi come gli pare e piace. Basta che non si senta il cavaliere di una battaglia contro l’ingiustizia fra chi può permettersi di viaggiare a prezzo pieno e chi invece non può. Perché se c’è una cosa che l’ha assottigliata quell’ingiustizia lì, è proprio la comparsa delle compagnie aeree low cost, con tanto di scomodità annesse. Il giorno in cui saremo tutti ricchi, Ryanair andrà in bancarotta. Nel frattempo, è una delle cose che ha reso la mia vita più bella. In cinque anni ho visto tanti posti, quanti ne avrei potuti vedere in cinquanta o cento.

Davvero: io ringrazio la buona sorte di essere nato nella generazione di Ryanair, se penso a quanto era grande l’Europa quando ero piccolo, e quant’è piccola ora che sono grande, mi vengono i lucciconi e mi viene da scusarmi con quelli che sono nati cent’anni fa.

Un pomeriggio con Zeman

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Marcare a uomo? Non dirò mai a un mio calciatore di giocare solo per controllare un avversario.

Oggi pomeriggio ho visto il calcio. C’era una sola squadra che volevo andare a vedere allo stadio quest’anno, molto più della mia Fiorentina: il Foggia di Zeman. Chi si interessa anche un poco di calcio sa chi è Zdenek Zeman, qualcuno lo ama, altri lo odiano. Io lo amo. Per gli altri (QUI una puntata di Report che riassume in 15 minuti la sua storia), basti sapere che è il simbolo dell’onestà e del gioco pulito – fu lui il primo a denunciare seriamente il sistema-doping nel calcio, ricevendone un ostracismo che dura tutt’ora. È un personaggio irrinunciabile. E soprattutto è un offensivista.

Le squadre di Zeman giocano bene, incredibilmente bene, e attaccano sempre. Se stanno perdendo attaccano, se stanno pareggiando attaccano, se stanno vincendo – indovinate un po’ – attaccano. Perciò fanno una caterva di gol e ne subiscono un’altra caterva. Per questa ragione non gli va sempre bene: chi tifa una squadra di Zeman sa di mettere alla prova le proprie coronarie. Puoi perdere 3-0 e riuscire a rimontare o vincere 3-0 e farti recuperare. E così, fra i detrattori, si è guadagnato la nomea di perdente. Ma come dice lui: «Il risultato è occasionale, la prestazione no».


Perciò questa data me l’ero segnata sul calendario: per di più nel primo stadio italiano calcato da Gabriel Omar Batistuta. Non è una partita di Serie A, neanche di Serie B: ma chissene. Volevo vedere il calcio. E l’ho visto.


È finita 0-4 per il Foggia, con altri quattro gol annullati (giustamente), e una dozzina d’azioni che potevano finire in gol. È finita quattro a zero, ma poteva finire dieci a due. La cosa più incredibile è il calcio d’inizio. Appena l’arbitro fischia, si vedono otto maglie rossonere che si sparano in avanti. Descriverlo non si può, bisogna vederlo. Io non mi sono mai divertito così allo stadio, neanche quando la Fiorentina giocava in Champions League. E so che questa è la cosa che farebbe più piacere a Zdenek.

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EDIT: ecco le immagini della partita, purtroppo ci sono soltanto un quarto delle azioni da gol. Al minuto 3.17, per qualche fotogramma, ci sono anche io (in basso a sinistra) che esulto dopo il quarto gol.

Contro questo femminismo

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Io mi considero un femminista, pensate un po’. Ma sono disgustato da questo femminismo dannoso – e prima ancora di questo – sbagliato, sbagliatissimo.

Ci sarà sul palco qualcuno che dirà che:

Né la dignità di Ruby né quella delle altre donne può essere intaccata dall’aver fatto sesso con un anziano per soldi, perché non c’è nessun concetto di dignità che possa essere associato al sesso.

E ci sarà lì in mezzo qualcuno che dirà le cose che scrive Francesco?

Ogni volta che oggi una donna dice di essere indignata “in quanto donna” pone concretamente le condizioni per perpetuare idee sessiste nella mentalità di questo paese.

Ci sarà qualcuno che dirà che questo:

È un concetto orribile di politica, perché valuta come unico sprone possibile quello egoista – cancellando, di fatto, l’idea che esista un metro per il giusto e lo sbagliato – facendo assurgere la difesa della categoria a indirizzo etico, e il potere di rappresentanza a diritto al diritto. E ciò è anche più meschino perché sottintende un’idea persino peggiore: che un omosessuale faccia quelle battaglie non perché le ritiene giuste, ma perché omosessuale. In fondo, se fosse eterosessuale, che gli importerebbe?

La volete finire di sindacalizzare, di balcanizzare, il rapporto uomo-donna? Un mondo sessista è pessimo mondo anche per gli uomini. È un mondo dove vivo malissimo anche io, per mille ragioni che vi posso spiegare una per una, se avete cuore di ascoltarmi.

Ed – anche se non fosse un mondo che danneggia anche me (ma lo è) – è un mondo dove vivono male tante persone, tante donne, a cui voglio bene. Molto di più di quanto ne voglia a dell’altra gente sconosciuta e che mi assomiglia solo perché incidentalmente si è ritrovata un coso fra le gambe o un po’ di barba: smettetela, di essere fissate anche voi con quell’unica caratteristica che i nostri nemici considerano importante. Siete delle camerate. Siete quel pochissimo contrarie che vi basta per essere uguali, uguali, uguali al cameratismo che tutti spregiamo. Siamo al vessillo del cameratismo di genere.

Sai che c’è? Oggi ci sono le partite, la Serie A: io penso che le donne che oggi andranno allo stadio a urlare «chi non salta juventino è» stanno contribuendo a sfatare – a modo loro – il cliché del perché-perché-la-domenica-mi-lasci-sempre-sola molto di più di coloro che sfileranno contro un vecchio sfigato convinto, quanto loro, che la dignità di una persona si compri assieme alle sue tette.

Sarà che oramai mi sono abituato a stare lontano dall’Italia, che non percepisco “l’anomalia”. Che non riconosco il costante sentimento d’emergenza per il quale – sono certo – in tanti mi risponderanno che il fine giustifica i mezzi. Che non è ora il momento per i distinguo. Anzi, che se non ora quando?

Ma, scusate, si vive tanto meglio in un Paese nel quale a dire “quelle troie” e “in galera!” sono i fascisti.

Il Medio Oriente in una frase

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Diverso tempo fa avevo pubblicato un’immagine che secondo me rappresentava bene il Medio Oriente in una vignetta. Era questa:

Ora, come qualcuno ricorderà, sono venuto in Inghilterra per specializzarmi nelle cose che avevo fatto fino a ora: Medio Oriente, diritti delle donne, etc. Così sono tornato a scuola per studiare, e fra i corsi che ho scelto ce n’è uno sulle relazioni internazionali del Medio Oriente.

Ecco, ieri qualcuno ha commentato all’inizio della lecture «beh, Egitto, Libano, Tunisia, Yemen, è un bel momento per studiare il Medio Oriente». Il professore, con un po’ più d’amarezza della nostra illusione, ha commentato: «sì, purtroppo lo diciamo tutti gli anni».

Mi sembra il Medio Oriente in una frase.

Bambini che provano la tecnologia di vent’anni fa

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Io sono quasi un nativo digitale, nel senso che ho avuto computer o simili fin dall’infanzia. Credo che il mio primo computer sia stato un 286, e dovrò avere avuto intorno ai sei o sette anni. C’è stato un momento in cui, sul computer, avevo praticamente tutti i giochi che fossero stati mai creati.

Sono passati vent’anni, per alcuni degli oggetti anche trenta, e molte di quelle cose non esistono più. In questo video dànno la parola all’esperto, cioè a dei bambini che hanno 6 o 7 anni ora, chiedendo loro che diavolo siano quegli oggetti lì.

E poi mi è venuto in mente: ma ci pensate che un giorno si perderà completamente la nozione che l’icona usata per salvare nella maggior parte dei programmi è un floppy?

grazie a Ilaria

Hai detto integrazione?

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L’altro giorno ero in ascensore con un po’ di gente fra cui un poliziotto, io non ho quel riflesso di cercare di distogliere l’attenzione – poi essendo spesso il più alto, difficilmente ci fanno caso –, così mi guardavo intorno e ho notato che il poliziotto aveva una spilla con, oltre alla Union Jack, una bandiera francese. Perciò, preso dalla curiosità sul perché un poliziotto inglese avesse la bandiera francese sull’uniforme, semplicemente l’ho chiesto a lui, che mi ha risposto «perché sono francese». Che era al tempo stesso una risposta certamente pertinente, ma incomprensibile dal mio punto di vista (come se mi avesse risposto «tonnarelli all’amatriciana!»).

Io ho fatto una faccia un po’ stranita, perciò quello con tono molto professionale mi ha iniziato a spiegare: è per i cittadini, così che sappiano che possono parlarmi in francese. La polizia di Westminster parla 63 lingue, quella di Londra chissà. La spilla è una bella idea, semplice ed efficace, per favorire l’inserimento degli immigrati.

Intendiamoci, questo non è per dire che il modello d’integrazione britannico – che molti dicono che stia fallendo proprio perché settario – sia un successo, di problemi ce ne sono: il 43% dei mussulmani fra i 15 e i 30 anni vorrebbe l’introduzione della Sharia, ad esempio, e ogni comunità tende a isolarsi sempre più.

Però Londra è la testa di ponte del futuro, quasi certamente la città più internazionale al mondo, e vedere come sarà fra 15 anni ci dirà molto di come sarà il resto del mondo fra trenta. Perciò bisogna essere contenti delle buone idee.

Cose che ho imparato in un posto tremendamente freddo

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L’acqua in fondo a un lago ghiacciato è a 4 gradi centigradi.

I fiocchi di neve hanno veramente la forma di fiocchi.

Quando è troppo freddo, non si possono fare i pupazzi di neve.

La parte del corpo che soffre più il freddo sono i piedi.

La sauna è una delle cose più noiose del mondo.

West Bank story

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C’è un cortometraggio molto carino su Israele e Palestina interpretato in chiave di fast food. Si chiama West Bank Story, facendo il verso a West Side Story, ed è rifatto a mo’ di musical. Gli isralieni hanno Kosher King (KK, da Burger King) e i palestinesi Hummus Hut (HH, da Pizza Hut) e c’è tutta la storia di quel conflitto rifatto in chiave canzonatoria: gli israeliani che costruiscono dei macchinarî super-efficienti per battere la concorrenza, ma lo fanno oltrepassando il territorio palestinese (le colonie), i palestinesi che lo manomettono lanciandogli un sasso contro (l’intifada), gli israeliani che decidono di costruire un muro fra i due fast food, etc etc.

Dura 20 minuti, e lo potete vedere interamente (e gratis) qui: è fatto davvero bene, curato nei particolari che si notano sullo sfondo della storia, oltre che molto divertente (questa scena mi fa ridere ogni volta che la rivedo). Per chi conosce un po’ quelle aree è davvero un must.

Tutto ciò, e soprattutto il fatto che non ne avessi mai parlato sul blog, mi è ritornato in mente quando sono passato da Borough Market qualche tempo fa e ho fatto questa foto ai due banchetti rivali, l’uno accanto all’altro: quello delle salsicce salsicciose e di tutte le cose più carnifere del mondo gestito da un signorone della provincia tedesca, e quello dei vegetariani allegri e rivoluzionarî, gestito da due ragazzotti molto freak. Sembrano convivere amabilmente, anche perché – una cosa è certa – di concorrenza non se ne fanno troppa.

Il giovanotto parigino con la sedia

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Continua la saga dei personaggi nei mezzi pubblici nelle città europee: dopo il vecchino milanese del tram, il giovanotto parigino del notturno.

Autobus notturno, intorno alle 2 di notte. Non è come gli altri notturni che ho preso in altre città, in cui ci sono i soliti tre (che spesso si conoscono): l’ubriacone, il ragazzetto, l’immigrato che si è fatto il culo fino a quell’ora che dorme appoggiato al finestrino, e quello mezzo ubriaco che importuna le ragazze. La puttana, e il turista che s’è perso.

In questo caso è diverso: l’autobus è molto pieno, è la circolare che fa tutta la città, e perciò sono in tanti a fare interi tragitti, e di posti ce ne sono pochi. A una fermata dell’autobus c’è un ragazzo che aspetta seduto su di una seggiolina di legno. Quando – dopo un po’ di aspettare – l’autobus arriva, lui prende la sua sedia, e monta sull’autobus. Fa vedere il proprio abbonamento (non credo ne avesse uno per la sedia), l’autista/controllore non fa una piega. Appena entra, scruta fra la gente in piedi un posticino che faccia al caso suo, lo trova, ci mette la sua sedia, e si mette lì a sedere. L’estro.