I Topoi

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Siccome curriculum non è una parola italiana, e non risponde alle regole della lingua italiana, va intesa come una parola straniera, come un prestito importato da fuori che ormai fa parte del nostro lessico. I prestiti non si declinano.

Matteo Bordone, che quando si tratta di scemate e nervosismi ci azzecca sempre, ha scritto un post contro chi dice “curricula” come plurale di “curriculum”, e così via. Chi mi ha incontrato almeno una volta sa che in queste cose ci sguazzo; chi mi ha incontrato almeno due volte sa che questa dei forestierismi latini incomprensibilmente declinati al plurale è una battaglia anche mia, da sempre, per le ragioni che scrive Matteo e quindi rimando alla sua lettura.

C’è una cosa da aggiungere, però, e che Matteo omette: e cioè che la regola dà torto a lui (e a me), nel senso che essa vuole che i forestierismi non vengano pluralizzati, tranne per le lingue classiche (per “regola” si intende il consenso della maggior parte dei grammatici e storici della lingua, per esempio si veda qui). Lo dico perché mi sono un po’ impaurito vedendo un sacco di gente che – citando l’autorità di quel post – ha cominciato a dare dell’ignorante a destra e a manca.

Questo eccitamento nell’aver trovato un modo di spregiare il secchione della porta accanto – ha! finto colto! radicalchic! – mette un po’ di angoscia, perché le regole si contestano (e poi cambiano) dopo averle studiate e capite: e in questo, come negli altri casi, chi la applica non è un ignorante, ma al massimo un po’ conformista. Insomma, teniamo presente che la nostra è una battaglia di retroguardia.

Come dire: la regola dà ragione a loro. Poi è una regola analogica e trombona, quindi la vogliamo cambiare.

28 Replies to “I Topoi”

  1. beh, quando si parla di lingue classiche, come direbbe uno che conosco, “so ‘na sega”… per me, anche “topoi” potrebbe tranquillamente essere un plurale di topo (ma se c’è un topoi, c’è anche un toprima?)

    (ila ila spero mi voglia scusare per la demenzialità di questo commento)

  2. Finche` non sentiro` qualcuno parlare di “viri” invece che di virus, continuero` a sentirmi autorizzato a dire “i curriculum” senza problemi 😉

  3. Ogni volta che passo da Lugano, dove abitavo fino all’anno scorso, e vedo i cartelli con scritto “Hotels” mi viene l’orticaria.
    Le parole straniere entrate a far parte della lingua italiana non riesco proprio a vederle/sentirle coniugate.
    Sono con voi in questa “lotta”!

    C’è da dire però che i termini “referendum” e “media” sono si di origine latina, ma, a quanto so, vengono rispettivamente dal francese e dall’inglese. Medium comunque si sente in giro, ogni tanto, sapete qual’è la posizione dei linguisti? (sempre che le due premesse siano corrette)

  4. Oscaruzzo scrive::

    Finche` non sentiro` qualcuno parlare di “viri” invece che di virus, continuero` a sentirmi autorizzato a dire “i curriculum” senza problemi 😉

    Se non erro virus in latino è un termine irregolare ed è “singularia tantum”, un termine senza il plurale.
    Usare viri come plurale è errato dato che è il plurale di vir (uomo)

    p.s.
    magari mi sbaglio, e chiedo scusa in anticipo, ma visto il tipo di thread sono intervenuto perchè son curioso di sapere se ho ragione 🙂

  5. @ Oscaruzzo:
    In latino “virus” non ce l’ha il plurale, quindi non credo sentirai dire “i viri” tanto presto, o almeno lo spero. 🙂

    Per me la chiave del post di Bordone sta nelle parole “volutamente elitaria”. Provo un brivido ogni volta che posso dire topoi – il che accade, nella vita reale, pressappoco mai.

  6. @ Flavio Pas:
    la posizione dei linguisti è che “qual è” si scrive senza apostrofo. spero non vorrete cambiare anche questa regola.
    la lingua è una cosa democratica. è legittimo che ci sia chi voglia cambiare una regola e chi voglia mantenerla. è legittimo anche che forme e regole cambino anche senza una “coscienza” da parte di chi la cambia (ma soltanto attraverso l’uso inizialmente erroneo che poi diventa uso dominante).
    ciò detto, a giugno 2012, a me sembra che curricula sia più usato di curriculum, anche se – a voler seguire la regola – essendo curriculum parola ormai saldamente impiantata nella lingua italiana (come sport, virus, hotel, goal, tournee, stage etc.), può benissimo fare plurare inviariato.
    Bordone, poi, non è quello che fa il maestrino sull’Uso della lingua inglese? Ah, giusto: correggere l’inglese fa molto trenta-quarantenne moderno e cosmopolita, mentre l’italiano è roba noiosa, lenta, pomposa, snob.

  7. Grazie, Giova’, dalla tua ex-tutor (preferita).
    E’ tutta la mattina che litigo per affermare l’alternanza curriculum/curricula singolare/plurale

  8. Roberto scrive::

    Bordone, poi, non è quello che fa il maestrino sull’Uso della lingua inglese? Ah, giusto: correggere l’inglese fa molto trenta-quarantenne moderno e cosmopolita, mentre l’italiano è roba noiosa, lenta, pomposa, snob.

    Stai diventando come quelli che mettono radical-chic ogni cinque parole, è un rischio.

  9. Allora

    Cominciamo col dire che a me pare che il punto di vista dell’Accademia della Crusca sia fondamentalmente: “Ma fate un po’ come vi pare, tanto…”

    Po’ continuiamo col dire che virus è neutro in -us (sì, ce ne sono, pochi ma ce ne sono, come pelagus), e che il problema tanto non si pone perché è singulare tantum.

    Infine rimane il fatto che le regole grammaticali sono altra cosa da quel che dite voi (curiosamente questo post arriva dopo quello di L. Sofri, sullo stesso argomento). Queste non sono leggi, bensì convenzioni sociali, che distinguono tra loro i vari registri e i vari contesti.
    Per esempio, in un testo ufficiale io non comincerei mai con allora, non scriverei poi con un’apocope inventata da me, che fa più parlato (“po'”) e forse userei anche più congiuntivi. Ma qui sì. E qui posso anche scrivere che penso che non serve poi tanto il congiuntivo, mentre in un testo accademico sarei più timido e direi che non penso che servA. Ho sbagliato, prima? No, mi stavo rifacendo ad un altro registro, e morta lì.
    Le regole grammaticali sono dentro di noi, e le rispettiamo in maniera automatica. Se non le rispettiamo, è solo perché o non conosciamo la lingua o perché in realtà stiamo usando un registro improprio. Ad esempio, una regola ferrea della lingua italiana è la concordanza tra sostantivo ed aggettivo: la macchina nera, i gatti selvatici, la penna rossa. A nessuno, se non ad uno straniero che le regole non le ha ancora assorbite, verrebbe in mente di dire la macchina nero, i gatti selvatiche, ecc.
    Se sentite dire ad un barese che ha “uscito la torta dal forno” potete sentirvi straniti (a me capitava così) perché non sapete che nella locale variante dell’italiano “uscire” è transitivo. Oggi mi viene comodo (come anche le espressioni tipo “Oggi voglio essere offerto il pranzo da te!”, che qui sono perfettamente grammaticali, NEL LORO REGISTRO).

    Faccio anche notare che alcune delle regole qui menzionate non riguardano neanche la lingua in sé, ma la sua ortografia: la differenza tra “qual è” e “qual’è” o tra “provincie” o “province” esiste solo nella lingua scritta, e si sbagliano spesso proprio perché sono foneticamente identiche.

    Tutto questo ci dovrebbe portare un po’ di serenità: parliamo come mangiamo e usiamo le regole solo per la mutua chiarezza, invece di farne degli accessori da mettere in società.
    Ma invece no! Dobbiamo rompere le palle agli altri e sentirci sempre sotto giudizio! Per cui se permettete io mi faccio delle grasse risate a vedere quelli che da un parte fustigano i non-prescrittivisti e poi sbagliano l’ortografia…lasciate perdere il vostro fanatismo, liberatevi delle vostre catene e vivete felici!

  10. @ uqbal:
    Non sono d’accordo. Una lingua con delle regole è una lingua ricca, e una lingua ricca è una lingua che è più bello parlare, e che non ti imprigiona nel farti dire cose che non vorresti (come è il caso dei cliché linguistici).

    L’importante, come sempre, è la consapevolezza: come dici tu, ci sono diversi registri. Non solo, ci sono anche diverse lingue. Usare “uscire” o “scendere” – scendo il cane che lo piscio – in forma transitiva, semplicemente, non è italiano. Questo mica vuol dire che in dialetto non possa essere usato: a me capita spesso di parlare il romano o il fiorentino, e mi piace.

    Ma l’importante è sapere qual è l’italiano, e quando lo si vuole fare, essere in grado di farlo.

  11. @ Giovanni Fontana:

    Sì che lo è, e non ci puoi fare niente. Se la gente lo dice, esiste. Ed è indiscutibilmente italiano. Puoi dire che è gergale, brutto, sub-standard, locale, quel che ti pare. Ma non puoi dire che non è italiano.

    Stai ragionando in termini prescrittivisti, e invece dovresti metterti di fronte alle lingue naturali come di fronte ad un fenomeno atmosferico. Non è che siccome alla sera il cielo è rosso, tu dici che quello non è cielo, perché il cielo è notoriamente azzurro.

    Se fosse come dici tu, allora ci sarebbe un registro della lingua e un codice. Invece questo è proprio quel che l’Accademia della Crusca non è più, perché a) la linguistica moderna s’è resa conto che tutto questo non ha senso, b) perché ci ha pure provato, a partire dal ‘500, ma non ha ottenuto altro che di influenzare un po’ una ristrettissima parte della già ristretta produzione scritta.

    Forse non mi sono spiegato bene su un altro punto: E’ IMPOSSIBILE, se non a sforzo, per una persona parlare non grammaticale. Se lo facessimo, non ci capiremmo, come infatti non capiamo spesso gli stranieri. O quelli che hanno preso una botta in testa e farfugliano senza dire niente di intellegibile perché qualcosa nel cervello si è danneggiato.
    Prova a guardare una qualsiasi scritta (un libro, un titolo, un blog): riesci a NON leggerla? Allo stesso modo ti è impossibile non parlare grammaticale, perlomeno nella tua lingua madre.
    Non so se l’esempio è neurologicamente e scientificamente giusto, ma credo sia una discreta approssimazione.
    Scommetto che stai provando a dire qualcosa di non grammaticale (tipo sbagliare le concordanze, usare verbi sbagliati, cambiare l’ordine delle parole): faticoso, eh?

    Poi io non ho detto che nel campo delle convenzioni, soprattutto ortografiche (campo in cui alcuni Paesi hanno effettivamente un atteggiamento prescrittivistico, come la Schreibreform tedesca), io propongo l’anarchia: semplicemente, atteniamoci ad un buon senso di funzionalità, per cui perder tempo a decidere se scrivere é o è mi sembra davvero inutile.

  12. Aggiungo una cosa, Giovanni: i bambini imparano a parlare non a scuola, studiando analiticamente la ratio (supposta tale) della lingua, ma da soli.

    In “How the mind works” Pinker parla di ricerche che hanno fatto epoca e che hanno rilevato un fatto sorprendente (all’epoca): gli immigrati parlano la lingua “ospite” in maniera non grammaticale, giustapponendo le parole più o meno a senso e intercalando alla lingua ospite la lingua loro. Il risultato è ben poco grammaticale, ed è anche poco comprensibile.
    I loro figli invece, usando lo stesso impasto lessicale, quasi “per magia” tirano fuori da SOLI una lingua creola che è grammaticale, coerente e comprensibile.
    Ma io sono un “amatore”, i linguisti veri queste cose le sanno spiegare molto meglio.

  13. uqbal scrive::

    Sì che lo è, e non ci puoi fare niente. Se la gente lo dice, esiste. Ed è indiscutibilmente italiano.

    scusami, ma c’è qualcosa che non va

    sono sostanzailmente d’accordo sul fatto che l’uso stesso della lingua la muta nel tempo

    ma questo non può costituire un’automatismo, o meglio ancora, (secondo me) l’automatismo si può innestare quando l’uso ha una considerevole diffusione al punto che la “nuova forma” diventa comprensibile a tutti

    se l’uso resta limitato a una cerchia di gente non è una modifica alla lingua, ma è un dialetto

    il concetto di cerchia non è solo da intendersi come circondario geografico, ma può ovviamente valere anche e soprattutto nel caso di gruppi culturali

  14. @ Franco Rivera:

    No, il dialetto è un’altra cosa (fondamentalmente è una lingua, ragion per cui gli Italiani dal punto di vista dei linguisti sono bilingui -italiano e dialetto locale): “scendi il cane che lo piscio” non è milanese, né alcun altro dialetto. E’ italiano.
    Solo che l’italiano non è un oggetto facilmente definibile o concluso: è come un colore che sfuma verso gli altri colori. L’italiano della rai è diverso da quello parlato in mezzo alla strada, ma sono entrambi italiano. L’italiano parlato in mezzo alla strada in centro è diverso da quello della strada in periferia, che a sua volta è diverso da quello parlato in campagna ed è diverso ancora da quello parlato nella valle vicina. Ma sono tutti italiano.
    E’ un continuum, all’interno del quale ci sono molte cose, e che alla fine trascolora in altro, certo (ad un certo punto, dal lombardo si passa al piemontese, ma lentamente…).

    Quello che intendi tu al limite è un gergo. Però, se io sento parlare due ingegneri o due medici, è probabile che non ci capisca una mazza (nel caso dei medici però probabilmente diventerei ansioso), ma quelli starebbero parlando inequivocabilmente italiano. Un italiano tecnico e specializzato.

    Alé, facciamocene una ragione. La lingua e la linguistica sono forse un po’ più complicate rispetto alle nostre banali semplificazioni…

  15. uqbal scrive::

    No, il dialetto è un’altra cosa (fondamentalmente è una lingua, ragion per cui gli Italiani dal punto di vista dei linguisti sono bilingui -italiano e dialetto locale): “scendi il cane che lo piscio” non è milanese, né alcun altro dialetto. E’ italiano….

    no, non è italiano, o meglio sono parole italiane messe insieme e prive di significato per chi non conosce la forma gergale

    io nel mio discorso ho parlato di dialetto non come “lingua” codificata, ma come slang facente capo a un gruppo più o meno ridotto di persone

    lo scopo di una lingua articolata è quello di trasmettere informazioni (e anche concetti astratti) in modo comprensibile da una persona all’altra, se si usa l’italiano distorcendolo in modo incomprensibile non si trasmette una informazione, si parla e basta, non ti pare?

    p.s.
    sinceramente: non ho idea di cosa voglia dire “scendi il cane che lo piscio”, anche se l’ho sentito citare da altri

  16. @ franco rivera:

    Il problema è che il dialetto E’ una lingua codificata. E non è un gergo (che è la lingua di un ristretto gruppo specialistico).

    “Scendi il cane che lo piscio” è una espressione che a Milano e in molte altre parti di Italia significa, in Italiano standard, “porta giù il cane, così lo faccio pisciare”. E’ italiano substandard, ma nondimeno italiano: un linguista non dà giudizi di valore.

    Si tratta semplicemente di rendersi conto che la linguistica forse è un po’ meno scontata e un po’ più affascinante di quanto le professoresse di Italiano ci hanno fatto credere.

  17. uqbal scrive::

    Alé, facciamocene una ragione. La lingua e la linguistica sono forse un po’ più complicate rispetto alle nostre banali semplificazioni…

    Vabbè, dài, questa frase è un po’ una sciocchezza. Quante volte l’hai sentita dire da persone che non sapevano quello di cui parlavano? Se le cose sono più complicate, le si affrontano per quello che sono. Se uno è in grado di stabilire che qualcosa è più complicato sarà anche in grado di sciogliere, o almeno evidenziare, questa complicazione.

    uqbal scrive::

    Stai ragionando in termini prescrittivisti,

    Come fa qualunque grammatico, almeno in parte, fa. È inevitabile che ci sia una misura di prescrittività in qualunque lingua, altrimenti aajhfjagngaegnjegnea è una parola italiana perché l’ho appena scritta.

    Ma non è neanche questo il punto di quello di cui stiamo parlando.

    uqbal scrive::

    Non so se l’esempio è neurologicamente e scientificamente giusto, ma credo sia una discreta approssimazione.

    Diciamo che mescoli due cose che non hanno molto a che fare, ma sono entrambe vere.

    uqbal scrive::

    I loro figli invece, usando lo stesso impasto lessicale, quasi “per magia” tirano fuori da SOLI una lingua creola che è grammaticale, coerente e comprensibile.

    Si era una cosa su cui aveva ricamato anche Chomsky – lui avendo secondo me torto, tu dici cose sensate, ma non ho capito come questo dirima il punto in questione.

    uqbal scrive::

    “scendi il cane che lo piscio” non è milanese, né alcun altro dialetto. E’ italiano.

    Se per “italiano” si intende l’italiano standard – perché mi sta venendo il dubbio che sia soltanto una questione nominalistica –, come fanno tutti i linguisti, non lo è certamente. È invece parte di alcuni dialetti del sud, già a Latina per esempio, scendere è transitivo.

    Un tedesco che dica “abbio prenduto” non sta parlando italiano, anche mostra di aver introiettato alcune regole importanti della morfologia verbale.

    franco rivera scrive::

    io nel mio discorso ho parlato di dialetto non come “lingua” codificata, ma come slang facente capo a un gruppo più o meno ridotto di persone

    No, in linguistica un dialetto è una para-lingua alla quale mancano alcune caratteristiche per avere lo status di lingua: queste cose possono essere analogiche, come ad esempio una storia o una letteratura codificata, oppure più interne alla lingua, come una grammatica strutturata o una chiara diacricità (distinzione) dalle altre lingue (es, il romanesco è molto vicino all’italiano, che sarebbe il fiorentino emendato).

    Quindi, per fare un esempio, il friulano è una lingua, il sardo è una lingua, mentre il milanese è un dialetto. Ma è una differenza di status, non di diffusione (ci sono lingue che sono riconosciute come tali anche se non le parla nessuno, o pochissimi, come l’illirico o il sanscrito).

    uqbal scrive::

    E’ italiano substandard, ma nondimeno italiano: un linguista non dà giudizi di valore.

    Anche questo non è vero, non penso che neanche il più integralista dei descrittivisti lo direbbe, quantomeno non nel senso in cui lo intendi tu: qualunque catalogazione fatta da un grammatico incontra inevitabilmente dei giudizî di valore, altrimenti neppure esisterebbe il concetto di errore grammaticale, né un elemento distintivo fra una lingua e l’altra.

    È vero che il concetto di errore è sfumato, come ad esempio nei quattro gradi di che polivalente, ma questo non inficia il concetto stesso (cosa vuol dire essere sano? Se hai il raffreddore sei sano? Se sei in sedia a rotelle a 110 anni sei sano? Eppure sai definire perfettamente cos’è una persona malata.)

    uqbal scrive::

    Ma io sono un “amatore”, i linguisti veri queste cose le sanno spiegare molto meglio.

    (a latere, io sarei anche laureato in queste cose (filologia e linguistica romanza): non che conti molto, non lo dico per squalificare la tua opinione – che, anzi, dimostra un’ottima padronanza della materia, direi ben più di Luca che in quel post tradisce un po’ di superficialità, come qualche volta gli capita – ma per dire che non è che sto parlando “a sentimento” e senza avere la minima idea di ciò di cui parlo: la verità è che è una discussione vecchia duecento anni, e tutte le posizioni sono legittime, se le se definisce coerentemente)

  18. Giovanni

    Non sono d’accordo con te. E la cosa e’ un po’ un problema perche’ su alcuni punti la cosa non puo’ essere risolta con un ragionamento, ma con una bibliografia.
    Ad esempio: che il linguista sia giudizi di valore e’ mostruosamente falso, ma come te lo dimostro se non citando qualche autorita’?
    Che i dialetti non siano lingue, guarda, per certi versi lo penso anche io, e questo fa incazzare mia sorella, che e’ linguista sul serio. Per me sono lingue quelle che riescono a coprire qualsiasi ambito della vita umana, dall’articolo scientifico alle chiacchiere al bar. Per dialetto intendo una lingua che invece orami ha perso il treno della completezza. Ma non e’ una definizione scientifica, e’ semplicemente una mia approssimazione. Mia sorella si incazza se lo dico perche’ giustamente mi ricorda che un dialetto ha una grammatica altrettanto rigida, funziona allo stesso modo di una lingua, impegna le stesse aree del cervello allo stesso modo. Tipicamente, una definizione polemica ma giusta di lingua tra i linguisti e’ questa: “Una lingua e’ un dialetto con una marina ed un esercito”.
    Uno dei punti fondanti della linguistica moderna quindi e’ proprio questo: non si puo’ piu’ dire che il latino e’ una lingua razionale, l’inglese pure, le lingue indie sono balbettamenti, e chi parla dialetto e’ stupido perche’ non rispetta la grammatica. Semplicemente usa un’altra grammatica.

    Ed e’ ancora piu’ mostruosamente falso che tutti i grammatici siano prescrittivisti. Prescrittivista vuol dire che ti dice come devi parlare. Nella questione “curriculum” ti direbbe “devi scrivere cosi’ – o cosa’- in forza di tale regola!”. E’ quel che la risposta dell’Accademia evita accuratamente di fare; non e’ un caso che la risposta dica “in genere”, “nell’uso”, “ma talora si dice anche”: non ti stanno dicendo come si deve parlare, ma semplicemente come correntemente si parla.
    D’altronde, i grammatici ricavano le regole non dalla loro testa, ma dalla registrazione degli usi reali, dai quali traggono delle astrazioni.

    “Abbio prenduto” sarebbe la neo-invenzione di uno che sta imparando l’italiano: attestazioni in numero di 1, come la tua nuova parola incomprensibile. I casi del “scendo il cane…” invece, di attestazioni ne hanno tante. La linguistica e’ una scienza anche statistica.
    Ne sanno qualcosa gli Inglesi che ormai sanno che le infinite varieta’ del loro inglese figlie del loro colonialismo possono essere catalogate, ma non giudicate.
    E infatti, quel che sto ripetendo quasi ossessivamente e’ che per il linguista l’errore grammaticale non esiste, non nel senso che intendiamo noi (lo sarabbe abbio prenduto, perche’ e’ un unicum).

    Anche io sono laureato in lettere (il che spiega come mai abbia tanto tempo da passare sui blog), anche io ho studiato linguistica. Posso dire che la linguistica delle facolta’ di lettere italiane praticamente non e’ linguistica, ma, nella migliore delle ipotesi, “storia della lingua” e piu’ spesso “storia della letteratura-con-un-altro-nome”?

  19. uqbal scrive::

    E la cosa e’ un po’ un problema perche’ su alcuni punti la cosa non puo’ essere risolta con un ragionamento, ma con una bibliografia.

    Beh, possiamo anche andare sulla bibliografia: io mi ci diverto, eh!

    Comunque ho l’impressione che tu abbia letto velocemente il mio ultimo messaggio perché hai risposto a delle cose che non ho detto.

    Io non ho detto che:

    uqbal scrive::

    Ed e’ ancora piu’ mostruosamente falso che tutti i grammatici siano prescrittivisti.

    Bensì che “qualunque grammatico, almeno in parte, fa. È inevitabile che ci sia una misura di prescrittività in qualunque lingua, altrimenti aajhfjagngaegnjegnea è una parola italiana perché l’ho appena scritta”. In altre parole che c’è una commistione – variabile – di prescrittività e descrittività in qualunque linguista, anche il più integralista. E questo è dimostrato dal tuo stesso riconoscere che:

    uqbal scrive::

    “Abbio prenduto” sarebbe la neo-invenzione di uno che sta imparando l’italiano: attestazioni in numero di 1, come la tua nuova parola incomprensibile. I casi del “scendo il cane…” invece, di attestazioni ne hanno tante.

    E cioè che c’è un grado di prescrittività (altrimenti parola incomprensibile/abbio prenduto=scendo il cane). Nel momento in cui fai notare la differenza di attestazioni stai, appunto, dicendo che non c’è soltanto la componente descrittiva (altrimenti ahfnfanfafa sarebbe parola italiana per il solo fatto che io la scriva).

    Nel dire che “abbia prenduto” è un errore grammaticale perché è un unicum stai riconoscendo che c’è un punto di descrittività oltre il quale non va (se ci sono due occorrenze non è più un unicum? se ce ne sono tre? E quattro? E così via)

    [nella fattispecie precisa, poi, il fatto che le attestazioni di “scendo il cane” siano tutte concentrate in un’area circoscritta dovrebbe venire a bagnare i miei fiori]

    Come non ho detto:

    uqbal scrive::

    Che i dialetti non siano lingue,

    O meglio, l’ho detto nella tautologia che è la definizione stessa di dialetto vs lingua, ma ho aggiunto – contestando ciò che scriveva Franco e venendo nella direzione di ciò che scrivevi tu, che:

    uqbal scrive::

    un dialetto è una para-lingua alla quale mancano alcune caratteristiche per avere lo status di lingua: queste cose possono essere analogiche, come ad esempio una storia o una letteratura codificata, oppure più interne alla lingua, come una grammatica strutturata o una chiara diacricità (distinzione) dalle altre lingue (es, il romanesco è molto vicino all’italiano, che sarebbe il fiorentino emendato).

    Quindi, per fare un esempio, il friulano è una lingua, il sardo è una lingua, mentre il milanese è un dialetto. Ma è una differenza di status, non di diffusione

    Come vedi, scrivo che la differenza è di status, e aggiungo che ci sono alcune ragioni storiche (assieme ad altre interne alla lingua.)

    Certo che arrivare a dire che le ragioni siano solo

    uqbal scrive::

    “Una lingua e’ un dialetto con una marina ed un esercito”.

    È un integralismo dall’altra parte, ed è contraddetto da mille esempî (uno dei quali è proprio l’illirico che non ha un esercito – anzi, manco esiste più! – mentre il lombardo ce n’ha avuto uno per un sacco di tempo).

    Certamente ci sono ragioni storiche, ma ce ne sono anche di linguistiche: date appunto dalla mancata distintività da altre lingue, oppure da una minore strutturazione. Il fiorentino, ad esempio, è una lingua della penisola italiana che ha regole di evoluzione dal latino più coerenti con l’etimologia (con alcune eccezioni, come il raddoppiamento fonosintattico dopo “come”).

    uqbal scrive::

    Posso dire che la linguistica delle facolta’ di lettere italiane praticamente non e’ linguistica, ma, nella migliore delle ipotesi, “storia della lingua”

    Quindi, tu dici, la linguistica è solo la linguistica generale? Perciò De Mauro è un linguista mentre Serianni non lo è? Oppure non lo è neppure De Mauro perché redige un dizionario?

  20. Adunque.

    Se tu stai dicendo che ogni grammatico almeno in parte è prescrittivista, io ti rispondo, nuovamente, no: molti non lo sono per niente, soprattutto quelli seri. E forse ho un esempio chiaro. Immagina un linguista che scopre una nuova tribù di indigeni della giungla nell’Amazzonia più profonda, che parlano una lingua mai sentita prima. Ovviamente ne vuole sapere di più e vuole comunicare la sua scoperta, e la sua prima idea è di scrivere una grammatica di questa nuova, strana lingua.
    Che fa? Parla con i nativi, prende appunti, registra le forme che incontra e le incasella in tabelle e liste. Sta prescrivendo qualcosa? No, sta descrivendo, che è tutto diverso. Sente diversi indigeni che dicono “scendi il cane che lo piscio!” praticamente tutti i giorni, perfettamente compresi dagli altri indigeni. Poi scopre che nei libri e nelle scuole degli indigeni questo tipo di espressione non si usa mai.
    Nel suo libretto scrive “In questa lingua “scendere” è un verbo transitivo nel parlato ma non nello scritto e il verbo pisciare significa urinare, ma nella lingua parlata può assumere valore causativo”. Voilà. Non scriverà mai: “Questi selvaggi non si rendono conto che il loro verbo scendere non deve, ripeto NON DEVE essere usato transitivamente, perché è intrinsecamente sbagliato!”. Faccio preventivamente notare che non è il caso di farne una questione di distribuzione geografica (“Lo usano solo in una zona”), perché anche l’Italiano è pieno di forme non letterarie (substandard) diffuse ovunque (“gli” per “le” come compl. di termine, “a me mi”, ecc.).

    Poi in nostro grammatico nel diario scrive: “Oggi un selvaggio è venuto da me e non faceva che ripetermi “aajhfjagngaegnjegnea” facendo strani gesti. Questa parola non l’ho sentita usata da nessun’altro e non sembra voler dire niente. O meglio, lui sostiene che vuol dire “ciao”, ma quando ho provato a salutare gli altri così, m’hanno guardato molto strano. Forse è straniero e parla un’altra lingua, o forse è un po’ matto. Vabbè”.

    Per il dialetto, tu hai detto che è uno slang. No, non lo è, è una lingua, che ovviamente è incomprensibile, se uno non la conosce. Lo slang invece è un insieme di parole e di espressioni tipiche di un gruppo molto ristretto e omogeneo, molto spesso con intenzioni esoteriche, e quindi volutamente incomprensbile (un codice).

    Nel parlare di differenza di status (che vorrebbe dire? In quale scala?) dici che il dialetto sarebbe poco strutturato. Permettimi: è una fesseria: i dialetti sono strutturatissimi e hanno regole tanto articolate quanto quelle di qualsiasi lingue. Oppure tu il napoletano o il veneziano o il triggianese pensi di poterteli parlare come pare a te? Troverai stuoli di amatori di quei dialetti che verranno da te a dirti dove sbagli.
    Ed è una grandissima fesseria anche quella della distintività: dal momento che lo spagnolo è molto più vicino all’italiano del napoletano, o del genovese, lo spagnolo è un dialetto italiano. E invece no, spero concorderai su questo.
    Che ci voglia una letteratura per essere lingua, ancora, è forse, permettimi di nuovo, l’errore più grosso: il latino è esistito per secoli prima che un Greco costringesse i Romani a dedicarsi alla letteratura. Ed è pieno di lingue che i linguisti vanno descrivendo a destra e a sinistra del tutto prive di letteratura.

    Poi, la definizione che ti ho dato tu la chiami integralista: in base a che?
    Il senso di quella definizione è soltanto, comunque, illustrare un fenomeno che in sociolinguistica è addirittura banale: i centri di potere generalmente impongono la loro lingua fin dove arriva il loro controllo, implicando una differenza di status con le altre lingue sulla base di affermazioni ideologiche. Così i Greci ritenevano la loro una lingua, e tutto il resto un balbettamento. Così i cari vecchi Europei pensavano che la flessività del latino e del greco fosse un elemento di intima superiorità di queste due lingue rispetto alle altre. Così il fiorentino è diventato l’italiano (e Bembo c’entra qualcosa). Ma sono chiacchiere: nessuna lingua è superiore ad un’altra, e ci possono essere differenze sociali, ma non di valore intrinseco.

    Le “regole di evoluzione dal latino più coerenti con l’etimologia” sono una tua invenzione, e non ho chiaro cosa voglia dire. Ma sta sicuro che il fiorentino non è più vicino al latino degli altri dialetti, e che tale vicinanza non è un valore in sé (altrimenti dovremmo parlare tutti sardo, che è estremamente conservativo e coerentissimo con il latino).

    De Mauro è un linguista, e nei dizionari mette le parole che trova attestate nell’italiano standard, e di certo non dice lui quali parole vanno usate (tant’è vero che ci mette anche le parolacce…).
    Poi De Mauro e Serianni insegnano linguistica e grammatica. Nelle facoltà italiane la linguistica che si fa assomiglia molto alla filologia. La linguistica vera spesso la trovi nei dipartimenti di psicologia o nelle facoltà di scienze naturali, visto che ormai questa disciplina è tutt’uno con la matematica, le neuro-scienze, la psicologia, ecc. ecc.

    Buon fine settimana!

  21. Arrivo un po’ tardi, ma spero che il mio commento venga letto. Da linguista devo dire che Uqbal ha ragione quasi su tutto, soprattutto sul fatto che una laurea in lettere non e’ assolutamente l’equivalente di una laurea in linguistica (che, tra l’altro, non so neanche se esite in Italia -io la mia carriera accademica l’ho fatta nel regno unito dove ci sono dipartimenti e lauree solo di linguistica). Anche se ci sono alcuni elementi di linguistica nella filologia romanza, sono spesso esigui, o solo di linguistica storica, o, spesso, completamente sorpassati (a volte si studiano cose che equivalgono a insegnare Lysenko invece di Darwin in un dipartimento di biologia).

    Sulla questione della definizione di lingua e dialetto. Qui si intrecciano due problemi: 1) il significato comune di ‘dialetto’ e ‘lingua’ e’ diverso da quello tecnico usato dai linguisti 2) buttate qua e la ci sono delle definizioni negative di dialetto che i linguisti non condividono. Andiamo con ordine:
    1) in senso comune con la parola ‘dialetto’ ci si riferisce a cose come il Barese, il Sardo, il Romanesco, etc. Invece, quando i linguisti parlano di dialetto, parlano di varieta’ regionali o sociali di una lingua (e infatti, normalmente, si usa la parola ‘varietà‘ piu’ che dialetto). Ad esempio, l’inglese americano e l’inglese britannico sono entrambi dialetti dell’inglese. All’interno del dialetto americano ci sono poi altri subdialetti come l’inglese di New York o l’African American English, e cosi’ via. Per ritornare sul caso italiano, un linguista direbbe che esistono numerose varietà o dialetti dell’Italiano: l’italiano standard (si, anche lo standard e’ un dialetto), l’italiano di roma, l’italiano di bari, etc. Oltre a queste varietà di italiano, molti italiani parlano anche la lingua locale, ossia il barese, il milanese, il sardo, etc. Quando un barese dice ‘ho uscito il libro dalla borsa’ non sta parlando la lingua barese, perche’ in lingua barese si direbbe diversamente (so trasit u libr, o una cosa del genere). Sta parlando una varietà locale dell’italiano, ossia l’italiano barese. Ovviamente, nessun linguista direbbe che si tratti di italiano standard. Non perche’ ci sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato, ma perche’ semplicemente, per ragioni storiche, la varietà barese non e’ diventata la varietà standard. E nessun linguista direbbe che sia appropriato usare l’italiano barese (o l’italiano milanese) in situazioni in cui e’ richiesto l’italiano standard, come ad esempio in compiti scritti, o sui giornali, all’universita’, etc. Quindi sì, un linguista esprime giudizi di valore, ma sono giudizi basati su principi di sociolinguistica, non strutturali. Ossia, non c’e’ nulla di inferiore o meno chiaro nell’italiano di Napoli rispetto all’italiano standard.

    2) Fontana scrive:

    “No, in linguistica un dialetto è una para-lingua alla quale mancano alcune caratteristiche per avere lo status di lingua: queste cose possono essere analogiche, come ad esempio una storia o una letteratura codificata, oppure più interne alla lingua, come una grammatica strutturata o una chiara diacricità (distinzione) dalle altre lingue (es, il romanesco è molto vicino all’italiano, che sarebbe il fiorentino emendato).”

    Mi dispiace, ma qui non si tratta di posizioni tutte legittime o di cose che si discute da duecento anni, e sta facendo affermazioni sulla linguistica non vere. In linguistica la posizione e’ una sola, e non ci sono dubbi. Con eccezione, in parte, dei pidgins, tutte le varietà e i dialetti parlati nel mondo e nella storia dell’umanità hanno una “grammatica strutturata”. Ce l’ha il barese (sia la lingua che la varietà dell’italiano) come ce l’ha la lingua Pira’ha, l’urdu, l’inglese o il latino.
    Inoltre, la vicinanza o meno ad un’altra lingua non e’ assolutamente un criterio di definizione. Il norvegese, il danese e lo svedese sono mutualmente comprensibili, eppure le consideriamo lingue. Il galiziano e il portoghese sono anch’essi molto simili, eppure li consideriamo lingue. Lei scrive:

    “Quindi, per fare un esempio, il friulano è una lingua, il sardo è una lingua, mentre il milanese è un dialetto.”

    Questo e’ un mito che tutti gli italiani ripetono, ma e’ completamente falso. Non trovera’ nessun linguista che sottoscriva a questa opinione. Il sardo non e’ piu’ diverso dall’Italiano che il napoletano, ed e’ meno simile all’italiano di quando non lo siano tra loro il galiziano e il portoghese.
    La questione e’ che stabilire quanto due lingue siano simili e’ praticamente impossibile. Ad esempio, per molti italiani e’ piu’ facile capire lo spagnolo che il lucano. Vogliamo allora dire che lo spagnolo e l’italiano non sono lingue diverse? E con il portoghese e lo spagnolo come facciamo, dato che i portoghesi dicono che per loro e’ abbastanza facile capire gli spagnoli, ma gli spagnoli dicono che non capiscono niente del portoghese?

    Come dice lei, la differenza e’ di status. Per casualità storiche e politiche, alcune lingue sono diventate lingue nazionali, e altre lingue no, e quindi abbiamo iniziato a chiamarle dialetti. Se l’italia fosse rimasta divisa, adesso la Sicilia potrebbe essere uno stato indipendente con il siciliano come lingua ufficiale, e nessuno starebbe a discutere se il siciliano sia una lingua o no. Similmente, se la norvegia e la svezia fossero un unico paese con lo svedese come lingua ufficiale, staremmo a dire che il norvegese e’ un dialetto dello svedese. Come vede, le ragioni delle differenze di status sono SOLO storiche, politiche e sociali, e non hanno nulla a che vedere con “ragioni interne” alla lingua. E’ per questo che i linguisti spesso dicono che i le lingue sono dialetti con un esercito. E per quanto riguarda il fiorentino e il latino, non capisco perche’ cita l’evoluzione dal latino. La vicinanza, o coerenza, o relazione con il latino non sono criteri di definizione di una lingua.

    Essendomi formata accademicamente nel Regno Unito non conosco quali siano gli autori italiani che scrivono di linguistica per i non addetti ai lavori, ma se volete leggere un’ottima spiegazione della distinzione tra prescrittivismo e descrittivismo, quest’articolo di Steven Pinker per Slate e’ molto chiaro: http://www.slate.com/articles/arts/the_good_word/2012/05/steven_pinker_on_the_false_fronts_in_the_language_wars_.html

  22. “Siccome curriculum non è una parola italiana, e non risponde alle regole della lingua italiana, va intesa come una parola straniera, come un prestito importato da fuori che ormai fa parte del nostro lessico. I prestiti non si declinano.”

    “Come dire: la regola dà ragione a loro. Poi è una regola analogica e trombona, quindi la vogliamo cambiare.”

    Dunque, prima ci si appella a una regola per sostenere di avere ragione, poi si scopre di aver torto e allora ci si appella alla regola trombona per cambiarla (se invece dava ragione sarebbe stata regola trombina?).

    Della serie “Abbiamo ragione anche quando abbiamo torto, e quando ci smentiscono (come il caso del commento di Manuela) facciamo finta di non aver sentito.

  23. Il mondo evoluziona ed evoluziona anche il linguaggio in tutte le parte del mondo,sono straniera e me rendo conto di quello,quando sono tornata al mio paese dopo parecchio tempo ho trovato molte parole nuove e questo per dire un esempio.Teresa J.

  24. Grazie per il vostro articolo, mi sembra molto utile, provero’ senz’altro a sperimentare quanto avete indicato… c’e’ solo una cosa di cui vorrei parlare piu’ approfonditamente, ho scritto una mail al vostro indirizzo al riguardo.

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