La falsa religione della pace in Medioriente

interesse 3 su 5

Capita spesso che qualcuno mi chieda delle opinioni sul conflitto arabo-israeliano, sarà per i mesi passati in Palestina, sarà perché ne parlo spesso. Le mie risposte deludono sempre l’interlocutore, perché – ottimista e ciecamente progressista come sono – questi si aspetta qualcosa di diverso dal mio disincanto. Invece, purtroppo, la mia soluzione è che non c’è soluzione. Più precisamente che la soluzione c’è, la sanno tutti qual è – 95% dei territorî del ’67, Gerusalemme Est, 100.000 profughi, eccetera – ma non la vuole nessuno. È anche inutile discutere se sia giusta o sbagliata, tanto chiunque sa che quella è l’unica pace disponibile: fra 5 anni, fra 100, domani o mai. Il problema è che entrambe le parti vogliono “mai”.

Oggi ho letto un articolo di Foreign Policy, davvero completo – e perciò non brevissimo – che riassume tutte le ragioni per cui la pace è un’illusione. Il titolo The False Religion of Mideast Peace (And why I’m no longer a believer) descrive perfettamente la sostanza vera e gravosa dell’articolo: credere nella pace è diventata una fede, basata più su un wishful thinking che su dei dati veri e proprî. Essere profeti di sventure è la cosa più facile del mondo, mi guardo bene dal farlo, ma ogni tanto le sventure ci sono, e c’è davvero poco da fare:

And I continued to do so, all the way through the 1990s, the only decade in the last half of the 20th century in which there was no major Arab-Israeli war. Instead, this was the decade of the Madrid conference, the Oslo accords, the Israel-Jordan peace treaty, regional accords on economic issues, and a historic bid in the final year of the Clinton administration to negotiate peace agreements between Israel, Syria, and the Palestinians. But for a variety of reasons, not the least of which was the Arab, Palestinian, Israeli (and American) unwillingness to recognize what price each side would have to pay to achieve those agreements, the decade ended badly, leaving the pursuit of peace bloody, battered, and broken. Perhaps the most serious casualty was the loss of hope that negotiations could actually get the Arabs and Israelis what they wanted.

And that has been the story line ever since: more process than peace.

Siccome stiamo parlando di Israele e Palestina vi segnalo altre cose che non meritavano un post ma che mi ero appuntato in passato:

  • Un bell’articolo di Ha’aretz che spiega perché la soluzione dello stato unico non è neanche da applicare: c’è già. Descrive bene l’abulia dell’Israele di oggi, che – in ogni caso – quella soluzione non accetterà mai.
  • Un travelog di Robert Fisk fra Israele e Palestina: Fisk è ottimo quando critica gli israeliani, ed è decisamente troppo (notoriamente) indulgente nel giustificare – quasi su base etnica, e quindi razzista – i palestinesi.
  • Un video particolarmente emblematico – fa rabbia da quanto lo è – del perché israeliani e (ancora di più) palestinesi non si parleranno mai.

7 Replies to “La falsa religione della pace in Medioriente”

  1. L’articolo di Foreing Policy è, nella migliore delle analisi, omissivo.

    Per esempio: perchè Sharon era disponibile a fare degli accordi di pace, e perchè il muro che divide Israele e Palestina ha la forma che ha?

    Risposta: perchè la demografia lavora _contro_ Israele. Uno studio dell’università di Tel Aviv (di un demografo della) concluse come nei prossimi decenni Israele non avrebbe potuto essere contemporaneamente grande, democratico ed israeliano, perchè l’aumento della quota di arabi israeliani avrebbe richiesto dei compromessi. Così, per intanto, spesso la forma del Muro ha inciso nelle zone più arabe.

    Sharon, dico *Sharon*, aveva ben compreso come era necessaria una pace per preservare l’israelità di Israele, e di come la società israeliana fosse stanca di una guerra perenne.

    Per cui è un errore quello di dire che anche tra 100 anni staremo come oggi, perchè è probabile che tra 100 anni Israele sia uno stato arabo.

    E in questa ottica, cinica ma stringente e quindi efficace, che bisogna ragionare, perchè almeno una delle due parti in causa non ha tutto il tempo che vuole.

    Il resto dell’articolo poi dice che gli USA hanno oggi problemi cogenti più gravi, e quindi la pace tra israeliani e palestinesi non è un’urgenza.

    Consentito il parallelo, è come dire che se hai una polmonite allora siccome devi prenderti l’antibiotico altrimenti muori, puoi ignorare un’ulcera sulla spalla destra: solo che l’ulcera rimane lì e alla fine condiziona tutta la tua vita.

    La differenza tra fare politica e tirare è campare consiste nello scegliersi le priorità, piuttosto che subirle.

    Ultimo, Obama sarà pure ammaccato dalla guerra di logoramento sulla riforma sanitaria, ma è una guerra che ha vinto, e se c’è stato un rallentamento dovuto al dover concentrare le energie politiche nella riforma sanitaria, ora le energie stanno riaffluendo, come si vede dalla volontà di fare il mazzo a Goldman Sachs, e qui nuovamente non possiamo dire come saranno destinate nei prossimi anni.

    Quando Obama dice che entrambe le parti sanno che la pace è necessaria e che, in privato, lo ammettono, si sta muovendo su una linea concreta.

  2. @ Paolo:
    Io penso che la questione demografica – autentica ossessione di tutti i governi israeliani – sia vista esattamente all’opposto di come la vedi tu.

    Questa è, cinicamente parlando, la condizione ideale per Israele. Difatti anche i partiti religiosi o nazionalisti cos’è che propongono? La perpetuazione di questo stato, il congelamento eterno degli accordi di Oslo.

    Tutti, tranne i gli haredim più pazzi, sanno che non potranno mai avere Ramallah o Jenin. Sanno anche che, in qualunque accordo di pace, Hebron – pardon, Al Khalil – andrebbe ai palestinesi.

    In pratica questa, con i Palestinesi che sono cittadini di serie b e un numero limitato di arabi israeliani è il no plus ultra, considerando anche che – dopo la costruzione del muro – gli attentati sono stati azzerati.

    È cinico metterla su questo piano, ma è anche la realtà: i palestinesi non hanno più una “fine del terrorismo” da mettere sul piatto delle trattative, e gli israeliani non hanno quindi – ragionando egoisticamente – nessuna convenienza ad arrivare a un trattato di pace.

    Dall’altra parte la Palestina è un posto sempre più ideologizzato, dove il potere di Fatah si regge su un clientelarismo che non può reggere alle spallate degli islamisti – che sono sempre di più, e più oggi che ieri – nel caso di concessioni ardite. La percentuale di palestinesi che accetterebbero i territorî del ’67 – per mia esperienza – è minima.

    Insomma, un bel quadro fosco.

  3. @ Giovanni Fontana:

    Beh, i partiti nazionalisti israeliani, tipo Lieberman, sono un argomento interessante in se, non s’è mai visto nel mondo uno che acquisisce la cittadinanza e propone di toglierla a chi la aveva prima di lui.

    Oggi gli arabi israeliani sono il 25-30% della popolazione (ed hanno eletto quanto? il 5% del parlamento? appunto il tema della democrazia) e continuano a fare più figli degli ebrei israeliani, per cui o Israele rinuncia alla democrazia (questo gli farebbe perdere molti punti con l’Occidente, e di sicuro non è una strada sostenibile a lungo, non può diventare il Sudafrica del 2030) oppure trova un compromesso su due stati (e non “due stati e due popoli”), altro non lo vedo. Non sarà un tema urgente, ma non è un tema eludibile per sempre.

  4. Beh, le ragioni per cui lo stato unico non va mica tanto bene sono piuttosto palesi. Quale ebreo potrebbe desiderare, come coronamento del sogno sionista, di essere minoranza tra gente allevata ai “protocolli dei savi anziani di sion” come testo costituzionale? Direi che prospettiva peggiore e più grottesca di questa non è immaginabile.

  5. ma siamo cosi sicuri che un arabo-israeliano appartenente alla classe media, con un suo status sociale ed economico da difendere sia pronto a fare chissa’ quali concessioni territoriali a chi sta nei territori occupati con le pezze al culo e con gli islamisti che regnano a Gaza? gli arabi sono un mucchio eterogeneo in israele, tra drusi, cristiani beduini e musulmani.ci sono arabi israelinai nella corte suprema, nella knesset, nel’IDF etc. condividere cio’ che si ha non mi pare un imperativo del genere umano.

    se gli arabi-israeliani diventano costituenti importanti in israele, e se l’essere cittadini israeliani li fa sentire parte di qualcosa, se ne traggono benefici pragmatici senza le tante discriminazioni correnti -incluso il non obbligo militare, che ha conseguenze importanti su scholarships ed opportunita di educazione e lavoro post- servizio militare-, e se la tradizione israeliana laica-liberale, non quella religioso-nazionalista che e’ montante negli ultimi 15 anni sia nella societa’ civile che nel’ IDF- rimane forte, o per lo meno non si erode ulteriormente, non avranno incentivi maggiori a permettere il rientro incontrollato della diaspora araba e degli estremisti a gaza o la perdita di territorio di quanto siria, egitto, o giordania non li abbiano ora.

    sotto certi punti di vista e’ una red herring quella della crisi demografica arabo-israelana.

    Israel is better off strengthening a secular approach to law and society, as a theocratic, race-based, jewish state would be a lose-lose predicament in the short and long run.

  6. Paolo scrive::

    o Israele rinuncia alla democrazia

    Israele, in qualche modo, già rinuncia alla democrazia, e questa è data dall’occupazione: c’è una differenza evidente fra i diritti che hanno gli israeliani (anche arabi), e quelli che hanno i palestinesi.

    Il voto dei primi ha potere militare su quello dei secondi. Per questo, come diceva Rosa, l’annessione dell’intera Palestina non può essere presa in considerazione neanche dal più destrorso degli israeliani, perché arabi e ebrei-israeliani diverrebbero pari, con la prospettiva di un’egemonia araba nello spazio fulmineo di vent’anni.

    Questa è la ragione per la quale Israele è nella condizione ideale, a livello territoriale: non potrà mai avere di più, e qualunque accordo sarebbe necessariamente una “concessione”.

    Non dimenticare un’altra cosa: il tasso di natalità è enormemente maggiore fra gli arabi, ed è ancora più alto fra i fanatici religiosi.
    Lo stesso, però, vale anche per Israele: i 3 figli a coppia sono la cifra più alta fra tutti gli stati occidentali – e anche lì, purtroppo, sono i fanatici a fare più figli, mentre sempre più spesso i moderati cercano un modo per andare via.

    Non è un caso che le scorse elezioni, in Israele, abbiano prodotto quella che è – probabilmente – la Knesset più a destra della sessantennale storia israeliana.

    Insomma, questa è un’altra ragione per essere pessimisti: coloro che fanno più figli, sono quelli meno propensi alla pace.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *