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Siccome curriculum non è una parola italiana, e non risponde alle regole della lingua italiana, va intesa come una parola straniera, come un prestito importato da fuori che ormai fa parte del nostro lessico. I prestiti non si declinano.
Matteo Bordone, che quando si tratta di scemate e nervosismi ci azzecca sempre, ha scritto un post contro chi dice “curricula” come plurale di “curriculum”, e così via. Chi mi ha incontrato almeno una volta sa che in queste cose ci sguazzo; chi mi ha incontrato almeno due volte sa che questa dei forestierismi latini incomprensibilmente declinati al plurale è una battaglia anche mia, da sempre, per le ragioni che scrive Matteo e quindi rimando alla sua lettura.
C’è una cosa da aggiungere, però, e che Matteo omette: e cioè che la regola dà torto a lui (e a me), nel senso che essa vuole che i forestierismi non vengano pluralizzati, tranne per le lingue classiche (per “regola” si intende il consenso della maggior parte dei grammatici e storici della lingua, per esempio si veda qui). Lo dico perché mi sono un po’ impaurito vedendo un sacco di gente che – citando l’autorità di quel post – ha cominciato a dare dell’ignorante a destra e a manca.
Questo eccitamento nell’aver trovato un modo di spregiare il secchione della porta accanto – ha! finto colto! radicalchic! – mette un po’ di angoscia, perché le regole si contestano (e poi cambiano) dopo averle studiate e capite: e in questo, come negli altri casi, chi la applica non è un ignorante, ma al massimo un po’ conformista. Insomma, teniamo presente che la nostra è una battaglia di retroguardia.
Come dire: la regola dà ragione a loro. Poi è una regola analogica e trombona, quindi la vogliamo cambiare.