Tutte e tre, a rotazione.

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Paolo Attivissimo, anche lui sempresialodato, ha cominciato una rubrica-bestiario tutta di email che riceve dai varî complottisti e malati denigratori – un po’ sul modello di hatemail with Dawkins – in cui riporta i teoremi allucinati di coloro che lo accusano delle peggiori nefandezze nel suo lavoro “al servizio della disinformazione”. Questo è come si conclude la mail della prima puntata:

Ma non ha rimorsi di coscienza quando se ne va a dormire? non pensa a quante persone ha portato per sempre sulla strada sbagliata? del buio e dello schiavismo?
Lei è mandato dalle forze Nato, Usa, o semplicemente pagato da politici per disinformare su internet?
Ci piacerebbe chiarire questo enigma.

Nel titolo la risposta di Attivissimo.

grazie a Jai

Sempre sia lodata Ryanair

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A me sapete chi mi sembrano? A me mi. Sapete chi? Quei bambini – quanto mi facevano rabbia – che si portavano il pallone nuovo da casa, e poi non ci volevano giocare, non lo volevano sciupare, meglio usare quello sgonfio,  solo-sull’erba-ma-non-sull’asfalto, eccetera.

Non so se capita anche a voi: io leggo spesso, in giro, di gente che ce l’ha con Ryanair. Che si lamenta della scomodità, del fatto che ti facciano Tpagare qualunque extra. ti trattano da cani, le gambe non ci stanno, gli aeroporti sono lontani, il servizio clienti non esiste, ti devi stampare tutto tu, cancellano un sacco di voli, tanto altro ancora. Ogni volta mi metto le mani fra i capelli, perché accanto alla comprensibile incazzatura di colui al quale è capitata una disavventura e che ha tutto il diritto ai suoi 5 minuti di sfogo, fioriscono un sacco di «hai ragione!» «è vero!» «pago un po’ di più ma almeno ho il servizio!» «eh, signora mia!».

Questa gente non ha capito una cosa: quale è la funzione di quella cosa lì. A cosa serve Ryanair. A cosa servono i voli low cost. A risparmiare. A portare le tue due braccia, le tue due mani, e ogni tanto anche la tua testa, in un altro posto spendendo pochi soldi. Come il pallone dei bambini di cui sopra, è tutta una questione di funzione. Il pallone serve a giocare, non a tenerlo in bacheca o fare il fico con gli amici perché è bello e luccicante. Cioè, c’è anche quello, per chi vuole: ma non ti puoi lamentare se compri un telefonino e quello non ti fa l’uovo alla coque.

I voli low cost sono voli low cost. Costano low, basta. La loro filosofia è riassumibile in: noi ti portiamo da qua a là a poco e tu non ci rompi i coglioni. Vuoi stare comodo? È un altro servizio. Puoi averlo, ma non da noi. Nel frattempo ci sta un mondo intero di persone che possono viaggiare, e tanto, solo grazie a questa strepitosa innovazione – e ve lo dice uno alto 1.92 che ogni volta corre per prendersi i posti sull’uscita d’emergenza.

Oh, ci mancherebbe: ognuno spende i soldi come gli pare e piace. Basta che non si senta il cavaliere di una battaglia contro l’ingiustizia fra chi può permettersi di viaggiare a prezzo pieno e chi invece non può. Perché se c’è una cosa che l’ha assottigliata quell’ingiustizia lì, è proprio la comparsa delle compagnie aeree low cost, con tanto di scomodità annesse. Il giorno in cui saremo tutti ricchi, Ryanair andrà in bancarotta. Nel frattempo, è una delle cose che ha reso la mia vita più bella. In cinque anni ho visto tanti posti, quanti ne avrei potuti vedere in cinquanta o cento.

Davvero: io ringrazio la buona sorte di essere nato nella generazione di Ryanair, se penso a quanto era grande l’Europa quando ero piccolo, e quant’è piccola ora che sono grande, mi vengono i lucciconi e mi viene da scusarmi con quelli che sono nati cent’anni fa.

Un pomeriggio con Zeman

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Marcare a uomo? Non dirò mai a un mio calciatore di giocare solo per controllare un avversario.

Oggi pomeriggio ho visto il calcio. C’era una sola squadra che volevo andare a vedere allo stadio quest’anno, molto più della mia Fiorentina: il Foggia di Zeman. Chi si interessa anche un poco di calcio sa chi è Zdenek Zeman, qualcuno lo ama, altri lo odiano. Io lo amo. Per gli altri (QUI una puntata di Report che riassume in 15 minuti la sua storia), basti sapere che è il simbolo dell’onestà e del gioco pulito – fu lui il primo a denunciare seriamente il sistema-doping nel calcio, ricevendone un ostracismo che dura tutt’ora. È un personaggio irrinunciabile. E soprattutto è un offensivista.

Le squadre di Zeman giocano bene, incredibilmente bene, e attaccano sempre. Se stanno perdendo attaccano, se stanno pareggiando attaccano, se stanno vincendo – indovinate un po’ – attaccano. Perciò fanno una caterva di gol e ne subiscono un’altra caterva. Per questa ragione non gli va sempre bene: chi tifa una squadra di Zeman sa di mettere alla prova le proprie coronarie. Puoi perdere 3-0 e riuscire a rimontare o vincere 3-0 e farti recuperare. E così, fra i detrattori, si è guadagnato la nomea di perdente. Ma come dice lui: «Il risultato è occasionale, la prestazione no».


Perciò questa data me l’ero segnata sul calendario: per di più nel primo stadio italiano calcato da Gabriel Omar Batistuta. Non è una partita di Serie A, neanche di Serie B: ma chissene. Volevo vedere il calcio. E l’ho visto.


È finita 0-4 per il Foggia, con altri quattro gol annullati (giustamente), e una dozzina d’azioni che potevano finire in gol. È finita quattro a zero, ma poteva finire dieci a due. La cosa più incredibile è il calcio d’inizio. Appena l’arbitro fischia, si vedono otto maglie rossonere che si sparano in avanti. Descriverlo non si può, bisogna vederlo. Io non mi sono mai divertito così allo stadio, neanche quando la Fiorentina giocava in Champions League. E so che questa è la cosa che farebbe più piacere a Zdenek.

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EDIT: ecco le immagini della partita, purtroppo ci sono soltanto un quarto delle azioni da gol. Al minuto 3.17, per qualche fotogramma, ci sono anche io (in basso a sinistra) che esulto dopo il quarto gol.

Contro il patriottismo

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Il patriottismo è l’ultimo rifugio dei farabutti
Samuel Johnson

Con un po’ di ritardo ho visto Benigni a Sanremo che ha detto la solita scemenza sul patriottismo che è bene, mentre il nazionalismo è male. I diversi riferimenti alla Lega, a Bossi, chiamato in causa come quello che sarebbe contro il patriottismo. In realtà Bossi è il più patriottico di tutti, solo che di una patria più piccola, che sente più sua. Se non siamo d’accordo con la Padania non è perché abbiamo l’ossequio dei nostri confini, ma proprio perché i confini non ci piacciono e crearne degli altri neppure.

In realtà nessuno ha mai spiegato quale sarebbe questa differenza fra patriottismo e nazionalismo, se non quanto a intensità: generalmente, se hai una notevole predilezione per il Paese in cui sei nato è nazionalismo, se ce l’hai un po’ all’acqua di rose è patriottismo. Altre volte è semplicemente questione di quanto ci stia simpatica l’azione o la persona in questione: se l’approviamo è patriottismo, se non l’approviamo è nazionalismo.

Il punto è che è proprio scemo avere un’alta stima d’una cosa solo perché c’è capitata per caso. Sono fiero del mio codice fiscale. Sono orgoglioso di portare il 42 di piede. Fa ridere, eh? Le persone che dicono d’essere orgogliose – o fiere – d’essere nate in un posto, direbbero lo stesso se fossero nate in un altro. Ci sono davvero tante cose nel mondo che amiamo perché ci piacciono: la nostra musica, il proprio piatto preferito, il posto più bello che conosciamo, una poesia dal tono giusto. Ma amare un pezzo di terra solo perché ci è capitato di nascerci è davvero sciocco: non è merito tuo, né suo. Una volta chiesero a un presidente tedesco se amasse la sua patria: lui rispose «no, amo mia moglie».

Le regole del gioco

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Tutte le persone per bene avrebbero preferito battere la Francia con Zidane in campo. Ed è vero, senza di lui in quegli ultimi dieci minuti, e per i rigori, è stata tutta un’altra partita. Per diverse ragioni: Zidane se l’era conquistata quella finale. Di più: era stato votato ed eletto il miglior giocatore dei mondiali. Era il leader della squadra, e senza Zidane quella compagine valeva molto meno. Tantopiù che, per un giocatore così anziano, voleva dire finire la sua carriera così.

È chiaro, tanti di noi – e, anche io, lo ammetto – hanno  avuto un moto di gioia quando l’arbitro ha tirato fuori il cartellino rosso. Però, almeno un po’, ce ne siamo pentiti. Sappiamo tutti che sarebbe stato più bello, più pieno, vincere regolarmente contro Zidane. Ma non è che abbiamo fatto nulla di irregolare. Noi. D’altronde, l’arbitro mica ha espulso tutta la squadra avversaria, soltanto un giocatore che aveva tirato una testata.

Mica è colpa nostra: lo sai come funziona questo gioco, se decidi di giocare. E una testata a Materazzi – che, te lo dico, non è che stesse così simpatico a tutti – non la puoi dare. Ci sono delle regole, e vanno rispettate. Puoi essere il miglior giocatore del mondo, anche Maradona quando diede una pedata ai mondiali dell’82 fu espulso (e, comunque, Zinedine: checché tu ne dica, non sei mai stato Maradona). Niente di più: sono le regole del gioco.

Perciò sì: il 6 aprile c’è la prova TV, per appurare se la testata l’hai data. Vai, e fatti processare.

Auguri di San Valentino

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Ricopio quello che ho scritto l’anno scorso. Vale anche oggi:

Tanti auguri. Agli unici innamorati al mondo che non possono permettersi di non sopportare questa festa. Che non hanno il diritto di sogghignare dei lucchetti a Ponte Milvio o farsi venire l’urticaria per le strade tappezzate di cuori di peluche rossi. Di ridere delle scritte per terra, o di considerare kitsch le scatole di cioccolatini a forma di cuore.

In Arabia Saudita festeggiare San Valentino è vietato dalla legge. Ti viene a prendere la Polizia per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio. Non è uno scherzo, si chiama così. Perché amarsi è un’idea occidentale.

A tutti coloro per i quali volersi bene è – necessariamente – un atto rivoluzionario, a loro, buon San Valentino.

Contro questo femminismo

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Io mi considero un femminista, pensate un po’. Ma sono disgustato da questo femminismo dannoso – e prima ancora di questo – sbagliato, sbagliatissimo.

Ci sarà sul palco qualcuno che dirà che:

Né la dignità di Ruby né quella delle altre donne può essere intaccata dall’aver fatto sesso con un anziano per soldi, perché non c’è nessun concetto di dignità che possa essere associato al sesso.

E ci sarà lì in mezzo qualcuno che dirà le cose che scrive Francesco?

Ogni volta che oggi una donna dice di essere indignata “in quanto donna” pone concretamente le condizioni per perpetuare idee sessiste nella mentalità di questo paese.

Ci sarà qualcuno che dirà che questo:

È un concetto orribile di politica, perché valuta come unico sprone possibile quello egoista – cancellando, di fatto, l’idea che esista un metro per il giusto e lo sbagliato – facendo assurgere la difesa della categoria a indirizzo etico, e il potere di rappresentanza a diritto al diritto. E ciò è anche più meschino perché sottintende un’idea persino peggiore: che un omosessuale faccia quelle battaglie non perché le ritiene giuste, ma perché omosessuale. In fondo, se fosse eterosessuale, che gli importerebbe?

La volete finire di sindacalizzare, di balcanizzare, il rapporto uomo-donna? Un mondo sessista è pessimo mondo anche per gli uomini. È un mondo dove vivo malissimo anche io, per mille ragioni che vi posso spiegare una per una, se avete cuore di ascoltarmi.

Ed – anche se non fosse un mondo che danneggia anche me (ma lo è) – è un mondo dove vivono male tante persone, tante donne, a cui voglio bene. Molto di più di quanto ne voglia a dell’altra gente sconosciuta e che mi assomiglia solo perché incidentalmente si è ritrovata un coso fra le gambe o un po’ di barba: smettetela, di essere fissate anche voi con quell’unica caratteristica che i nostri nemici considerano importante. Siete delle camerate. Siete quel pochissimo contrarie che vi basta per essere uguali, uguali, uguali al cameratismo che tutti spregiamo. Siamo al vessillo del cameratismo di genere.

Sai che c’è? Oggi ci sono le partite, la Serie A: io penso che le donne che oggi andranno allo stadio a urlare «chi non salta juventino è» stanno contribuendo a sfatare – a modo loro – il cliché del perché-perché-la-domenica-mi-lasci-sempre-sola molto di più di coloro che sfileranno contro un vecchio sfigato convinto, quanto loro, che la dignità di una persona si compri assieme alle sue tette.

Sarà che oramai mi sono abituato a stare lontano dall’Italia, che non percepisco “l’anomalia”. Che non riconosco il costante sentimento d’emergenza per il quale – sono certo – in tanti mi risponderanno che il fine giustifica i mezzi. Che non è ora il momento per i distinguo. Anzi, che se non ora quando?

Ma, scusate, si vive tanto meglio in un Paese nel quale a dire “quelle troie” e “in galera!” sono i fascisti.

Ma i dittatori mai

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Horreya, libertà. Il dittatore se n’è andato.

In questo tùrbine di previsioni sbagliate, di analisi andate a farsi friggere 12 ore dopo essere state solennemente emesse, di gente – inclusi noi tutti – che non ce ne azzecca una, c’è forse una sola cosa che possiamo dire con certezza: che questo momento ce lo ricorderemo, come se ci fossimo tutti dentro. Che la storia siamo noi, e nessuno – di quelli che sono veramente loro – si senta offeso.

E se lo ricorderanno specialmente quelli della mia generazione, per i quali è la prima grande rivoluzione di popolo. Siamo cresciuti nella kantiana Europa delle democrazie, “rivoluzione” è una parola che ci è sempre suonata burlesca o esagerata, seppellita nello zaino del liceo: la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Americana. E poi la Rivoluzione Russa, quella Culturale cinese. Chissà se un giorno metteremo la maiuscola anche a questa rivoluzione egiziana.

Di cose ne abbiamo vissute: quelli che hanno due o tre anni più di me si ricordano la fine del Dio che fallì a Berlino nell’89, il crollo in farsa di un regime metodico e perverso. La gente ritrovatasi libera quasi per caso, dopo che per decenni le rivoluzioni erano state ammazzate dai carri armati, in Primavera a Praga, o a Budapest dodici anni prima. Neanche quello bastò a far finire la Storia, come qualcuno scrisse. Abbiamo visto tante piazze e tante rivoluzioni abortite o per metà: in Libano c’erano i cedri, in Iran tante dita verdi. La piazza più grande del mondo è Piazza Tienanmen. Questi sono i primi che ce l’hanno fatta, davvero. I primi in un Paese grande un milione di chilometri quadrati, molto di più di qualunque posto dove siamo potuti andare in Erasmus.

Sappiamo che dopo aver gridato «libertà!» c’è ancora tutto il resto da non perdere. Ci hanno raccontato che spesso le rivoluzioni muoiono nei loro Khomeini oppure fanno nascere il terrore dei Robespierre. Sappiamo che chi disse popolo disse veramente uno animale pazzo, che a Piazza Venezia si urlava «viva il Duce!» e Hitler-è-salito-al-potere-democraticamente. Non sbagliano quelli, e io sono fra questi, che si preoccupano per i diritti delle donne, degli omosessuali, che mescolano speranza e timore, per quello che potrebbe succedere se queste piazze ricolme si riveleranno più interessate alla felicità in Cielo che a quella in Terra.

L’abbiamo imparato a cariche di disillusione: i popoli delle rivoluzioni non sempre hanno ragione. Ma i dittatori non ce l’hanno mai.