Mercoledì 31 dicembre / bonus

Il diavolo e l’acqua santa – Diario dalla Palestina 119

A Betlemme hanno annullato qualunque festa o celebrazione per il capodanno in segno di lutto per Gaza. Il mio proposito per l’anno nuovo può essere questo o quello, ma so che tanto rimarrò il solito anti-comunista, cazzarone, mangiapreti – tuttavia:

Due anni fa – a quest’ora – ero a Cavriago, in piazza Lenin, davanti all’unico busto di Lenin ancora in piedi al di qua della cortina di ferro. L’anno scorso in un tendone della protezione civile, insieme a un gruppo di barboni che – semel in anno licet insanire – non erano ubriachi. Quest’anno in un convento di suore, che raccontano barzellette zozze censurate, e altre su sé stesse: c’è quello che va in paradiso, e vede che è tutto sporco, maltenuto. Allora scende giù al purgatorio ma è sempre abbastanza sporco mal tennuto. Vabbè, chiaro, alla fine scende all’inferno e lì è tutto pulito, lindo e – stupito – domanda al tenutario: ma.. perché è tutto così in ordine? E lui: non lo sai che le suore tengono tutto in ordine?

Immaginatela detta al cenone di San Silvestro, dalla provinciale delle suore in Terra Santa, e farà ridere anche voi.

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Mercoledì 31 dicembre

La guerra che non c’è – Diario dalla Palestina 118

Per quanto il campo sia un campo di battaglia anche per la storiografia, una questione che ha sempre contato tanto – nelle guerre combattute da Israele – è stata la differenza di motivazione: se fino al ’73 Israele ha combattuto quattro guerre per la propria sopravvivenza, dalla due guerre in Libano, alle due intifada – si dice – quella coesiona data dal dover combattere per la sopravvivenza propria, dei propri figli, e del proprio popolo è venuto a mancare.

Se a Tel Aviv o a Gerusalemme, l’intera popolazione era in mobilitazione per respingere i nemici, nelle varie capitali arabe – si racconta – non c’era alcun clima di emergenza. A Damasco, a pochissimi chilometri dal Golan, e quindi dal fronte, la vita della città andava avanti. Si passava il tempo nei caffè. Un cifra che mi ha sempre stupito è stato il numero di soldati siriani morti nel ’67, in quella che è stata una vera disfatta per tutti i paesi arabi, Siria inclusa: neanche cento. È un dato emblematico, e raramente ci si riflette.

Ci ho ripensato oggi, quando un bel buco nella suola della scarpa, combinato con la pioggia, mi ha imposto l’acquisto di scarpe nuove, e il mio numero di piede (49), mi ha imposto di oltrepassare il muro e andare in cerca di un paio di scarpe della mia super-misura in uno di quei centri commerciali che hanno tutto quello che non richieda troppa fantasia.

L’avevo già visto a Gerusalemme, ma la visione di come la vita continuasse normalissima, senza nessuno sconvolgimento, con qualche misura di sicurezza in più – ma niente di troppo diverso da quello che c’è di solito – con quello che sta succedendo a Gaza, è stata un’immagine abbastanza forte.
Effettivamente in Europa ci si immaginano i carri armati al centro commerciale, invece tutto quello che si vede è la normale vita, e una buone dose di indifferenza: si dice che gli israeliani – giocoforza – ci siano abituati a “vivere in guerra”, ma quella che si respirava oggi era piuttosto indifferenza.

Caffè, anzi “espresso”.

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L’immagine della tranquillità:

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Famiglie, coppie, la vita prosegue normale:

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C’è anche chi acquista gioielli:

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Volevo fotografare una Kippà, ma non è venuta molto bene:

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E i bambini giocano nelle aree ricreative:

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Mi son reso conto che, al di là dell’indifferenza che obiettivamente indispone, questo post che voleva far vedere come la vita avanti normalmente – un’osservazione tanto banale – è uscito fuori un po’ moralista. Non era intenzione.

Qualche tempo fa in Israele una pubblicità-progresso, per la prudenza alla guida, diceva che dal ’48 a oggi le vittime della strada in Israele sono state di più che le vittime di tutte le guerre combattute da Israele sommate alle vittime degli attentati.
È un punto di vista anche quello.

Martedì 30 dicembre

L’albero – Diario dalla Palestina 117

Durante le vacanze di Natale, mia madre – maestra, oltre che cattolica molto osservante – e mia sorella –  studentessa, oltre che mangiapreti professionale – mi sono venute a trovare.

Così mia madre ci ha messo a disposizione tutta la sua maestria da maestra, per costruire un albero di Natale fatto di cartone, stoffa, filamenti, fiocchi, colla e bottoni. Ecco qualche foto:

Mia madre ormeggia con la punta, mentre Lana e Ghaida costuiscono i fiocchi:

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Mentre anche Ahlam e mia sorella si industriano, e Antonio scruta il campo fotografico, Rowan fa la linguaccia all’obiettivo:

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Qui uno zoom su Lana e Ghaida:

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Particolare dell’albeto:

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E infine una foto collettiva, assieme all’albero terminato con tanto di stella:

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Lunedì 29 dicembre

Se i bambini hanno capito tutto – Diario dalla Palestina 116

C’è un bambino, alla scuola francese di Gerusalemme, i cui genitori sono entrambi arabi-israeliani e la madre è mezza francese. Ciò significa che a casa la lingua praticata è solamente l’arabo. Lui, però, ha in odio l’insegnamento dell’arabo, o meglio, non sopporta il maestro che insegna lingua araba.
Dunque l’altro giorno è andato dall’insegnante in questione e gli ha detto: «Ho deciso che non devo più fare arabo». Allora il maestro gli ha chiesto: «E perché..?» E lui: «Perché mio padre è ebreo, e mia madre francese».

Così, per mettere un po’ di buon umore, oggi.

Domenica 28 dicembre / manifestazione

Oggi non lavoro, oggi non mi vesto – Diario dalla Palestina 115

Oggi è lutto nazionale in Palestina, e le manifestazioni di protesta fioccano quasi spontanee. Tutti i negozi sono chiusi, tutto è chiuso, i mezzi di trasporto, bus, taxi o service non corrono.

Ovviamente con la disorganizzazione tipica di qua, alcuni dei bambini non sono venuti, molti altri sono venuti ugualmente (magari a piedi, da casa loro). Qualche foto della manifestazione di oggi:

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Ci sono incitazioni alla guerra santa, una bandiera di Hamas, molte Palestinesi, un paio di Fatah, ma soprattutto, tantissime, del FPLP che sarebbe il partito più o meno comunista di palestina, che un tempo era molto più forte, ma che nei campi profughi intorno a Betlemme è ancora molto presente.

Altre foto – il retro del corteo:

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All’incrocio della strada per Beit Jala:

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Salendo per Cinema:

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Si sbandiera:

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Grida e balli:

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Il cordone di apertura, una specie di servizio d’ordine:

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Macchine manifestose:

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(la data – per giunta sbagliata – sulle foto è perché i bimbi avevano aggeggiato sulla macchina fotografica)

Un breve video:

Domenica 28 dicembre

E poi arrivò la guerra – Diario dalla Palestina 114

Non è vero che se Israele non ammazzasse 200 persone a Gaza i palestinesi accetterebbero lo Stato altrui; non è vero che queste azioni rendano Hamas più forte, non è vero che l’odio arabo è nato per la violenza israeliana. Non è vero che se si incontrassero le parole e non gli eserciti, la pace sarebbe più vicina.
Tutte queste cose sono le cose che penserebbero persone normali in un conflitto normale, ma qui è tutto incomprensibile, impossibile da prevedere. Tutte queste, sono cose che vorrei tanto pensare.

Ma tante volte è stato addirittura il contrario: spesso sono state le dimostrazioni di forza a portare la pace. Spesso sono stati i peggiori uomini, ex-terroristi come Begin, a fare passi da gigante; e da entrambe le parti. L’Egitto non avrebbe mai riconosciuto Israele senza la disfatta – e le devastazioni e i morti e i profughi – del ’67. Israele non avrebbe mai accettato di rinunciare alla conquista del Sinai, quantomeno a Sharm el-Sheik, se non fosse stata per la dimostrazione – nel ’73 – che gli arabi non sarebbero stati disorganizzati per sempre. Quando Israele si ritirò da Gaza, sulle macerie delle sinagoghe ci furono canti, balli, Allah Akbar: non era la prima mano tesa dopo tanti anni, era la prova della debolezza israeliana, il primo passo verso la salvifica distruzione dell’intruso.

***

Oggi, dopo questo eccidio, la pace è più lontana di ieri? L’odio per Israele è maggiore di ieri? Beato chi lo pensa.

In Palestina c’è un odio per Israele e per gli ebrei che non so descrivere, che si respira quotidianamente: che non è ingigantito dalle crudeltà dell’esercito – come potrebbe essere peggiore di com’è? Tassisti, i tassisti più cordiali al mondo, si congratulano con un mio amico tedesco perché “Hitler era tedesco!”. Pregiudizî peggiori, che mi vergogno a riferire alle persone che tengono a me – in Italia – per non sentirmi dire «ma che ci sei andato a fare?». Non conosco un palestinese – o forse soltanto uno – che mi abbia detto che accetterebbe l’esistenza di uno stato chiamato Israele.

E la cosa è tanto più assurda perché in tutti gli altri campi ho incontrato un’umanità quasi sacrale, persone che mi vogliono – davvero – bene, nonostante non condividano nulla di quello che penso, credo, non credo, mangio, mi vesto, vado in bici.
Il trionfo dell’umanità che io amo, e professo. Which I worship.

***

Ma, mi dico da solo, questo che c’entra?

Sento sempre soltanto quelle argomentazioni, nella voce dei benintenzionati: ma non si può pensare che l’unica ragione per non abbandonarsi alla ferocia sia una considerazione strategica, che sul tavolo delle decisioni conti soltanto la tattica di bandiera.
C’è una bella differenza fra uno stato-etico che decide sulla giustizia di ogni azione, e uno stato che decida di non abdicare all’etica, nell’applicare le decisioni della maggioranza.

Quello che i malvolenterosi chiamano idealismo, le persone di volontà buona lo chiamano politica.

La democrazia non si può arrendere a essere soltanto il trionfo della maggioranza, di un’opinione pubblica indifferente e egoista, come oggi quella israeliana, che avrebbe richesto azioni persino più incisive. Il concetto filosofico di democrazia, da almeno vent’anni, comprende un’attenzione all’altro, ai diritti umani, allo straniero, per il diverso: se lo andiamo – giustamente – ripetendo per l’Iran, per l’Iraq, vale anche per Israele.

Bisogna riconoscere che non abbiamo una risposta alla domanda “cos’altro può fare, Israele?”. E avere la forza di dire che Israele non deve fare niente. Non deve fare quello che ha fatto ieri, e visto che nessuno ha un’alternativa credibile, moltissime volte, non deve fare nulla. Che a un lancio di razzi non ci deve essere risposta: non perché questo inasprirebbe il conflitto, ma tanto di più perché è sbagliato.

Israele è molto più potente, e questo non è un dato indifferente: ha l’onere e la responsabilità del potere. Perciò deve cominciare ad assomigliare a quell’oasi di libertà e di giustizia che millanta di essere. Deve considerare i morti altrui come propri, valutare l’uccisione di un estremista mussulmano come verrebbe valutata quella di un estremista ebreo (è vero, questi ultimi sono molti meno: embè?). Quello di oggi dovrebbe essere un giorno di lutto per la morte di 200 connazionali.

Ed è questa malafede, quella che hanno reiterato tutti i governi israeliani, l’enorme scarto che passa fra l’essere così, e l’essere “i buoni”.

***

E so che ho scontentato tutti.

Venerdì 26 dicembre

Il pallone è la più bella cosa – Diario dalla Palestina 113

Una cosa che ho portato dall’Italia è un sacchettone con tutte le maglie da calcio che ho comprato negli anni: molte, si vede, sono della Fiorentina o hanno a che fare con la Fiorentina, mentre altre vengono da viaggi di parenti o amici che mi portavano indietro una maglia della squadra locale. Mi ricordavo quanto i bambini, specie i maschi, si fossero divertiti una volta che avevo attaccato una targhetta sulla loro schiena con un nome di un calciatore italiano per loro impronunciabile: c’era Quagliarella, c’era Zaccardo, c’era Ambrosini, e così via.

Così ho pensato che sì, avere le maglie d’ordinanza sarebbe stato molto meglio, e con mia somma sorpresa le femmine sono state persino più voraci ad accaparrarsene: siamo andati a giocare nel giardino di un convento, posto in cima alla collina di Beit Jalla, che si chiama Cremisan, dove producono anche il (pessimo) vino palestinese più conosciuto:

Si va in taxi, un po’ “schiacciati”:

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L’uscita dal taxi è particolarmente festosa:

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Mentre la distribuzione delle maglie è, altrettanto particolarmente, concitata:

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Con le maglie indosso si fa un giro del giardino:

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Ma ora si è pronti per giocare, ecco una squadra, con regolare foto di gruppo:

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Ma poi il dramma – il pallone scavalca la recinzione e crolla di terrazzamento in terrazzamento, giù in fondo in fondo.

Il sottoscritto si offre per andare a recuperare il pallone, intanto tutti i bambini seguono la spedizione arrampicati sulla recinzione:

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L’operazione riesce! Ecco il tanto bramato pallone:

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E una bellissima foto di Rowan:

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E… Ratatouille?

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Giovedì 25 dicembre

Buon compleanno! – Diario dalla Palestina 112

Come succede in tutti i paesini d’origine dei personaggi celebri, arrivato il giorno del compleanno del VIP in questione, sono tutti a festeggiare: succede a Corigliano per Gattuso, a Pacentro per Madonna, e a Betlemme… per Gesù Cristo!

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Mercoledì 24 dicembre / sera

La messa di mezzanotte – Diario dalla Palestina 111

Folla abnorme, Abu Mazen, troppi uomini sull’altare, nessuna donna:

La chiesa:

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L’arrivo dell’officiante:

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L’organo:

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La folla che non è riuscita a entrare in chiesa:

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