Concorso – la cena del cretino

In questi due giorni mi sono arrivate tantissime email, e sto piano piano rispondendo a tutte (quindi non vi preoccupate ché una risposta arriva) in mezzo ai mille affaccendamenti per la partenza.

Ho pensato a questo: visto che molti mi hanno proposto d’incontraci, come fossi una celebrità, ma anche come fossi – quale sono – un cretino, l’idea è la seguente: la cena del cretino, che poi sarebbe il pranzo del cretino, ma non tornerebbe col film.

Come funziona? Non dirò a nessun amico, né nessuna madre/padre/sorella/cugino, di venirmi a prendere all’aeroporto. Chi vuole, fra tutti i lettori, simpatizzanti, sicarî, animali addomesticati, api maie, viene e ci si va a fare tutti insieme una mangiata. Dove? Io direi ad Ariccia, dove si mangia bene e si spende poco (ho un posto dove una volta feci qualcuna delle mie scemate, tipo giochi a cui alla fine parteciparono tutti gli avventori, e il gestore mi chiese – per favore – di tornarci, promettendomi di poter mangiare “per sempre” tutto quello che voglio a 10 euro: e si badi bene, non “a vita”, ma “per sempre”!), ma comunque sono aperto a tutte le proposte: una volta che ci incontriamo si decide a maggioranza, e se siamo pari ne ammazziamo uno (in caso possiamo chiedere l’aiuto dei sicarî convenuti).

Ovviamente il tutto a rischio e pericolo, magari non viene nessuno e mi prendo il mio bel pullman per Ottaviano, la mia bella metro per Flaminio, il mio bel trenino per Labaro, e il mio bel bus per Colli d’Oro.
Se invece qualcuno c’è, ci facciamo una bella mangiata, ci divertiamo un primo pomeriggio, vi porto sulla salita-che-sembra-una-discesa dove tu metti una biglia e invece di scendere sale, e ci facciamo qualche bella foto che metto sul blog, e chi ha un blog mette sul suo blog.

Quando? Beh, avevo pensato di proporvi di venire al mio arrivo a Ouagadougou, in Burkina Faso, ma poi ho riflettuto che vi sarebbe stato un po’ ostico raggiungerlo (pelandroni! Ho sempre sognato di usare questa parola), quindi facciamo quando torno a Roma.
E cioè? Io arrivo a Fiumicino giovedì 12 novembre alle 12.40 con Air Algerie (faccio scalo ad Algeri), e ci vediamo all’uscita del Terminal C: il mio numero di telefono è 3281682797, così non ci perdiamo. Poi lo ripeterò, più in là, ma intanto chi vuole mangiare tanta porchetta e bere il vino de li Castelli se lo segni.
E per chi non è di Roma? Beh, non pretendo tanto! Ma se qualcuno vuole approfittarne per farsi un giro nella capitale posso offrire un materasso per terra in camera mia.

Unica regola: nessuno mi dica “io vengo”, voglio davvero rischiare di rimanere lì come uno stambecco.

Marrazzo, la cacca e il culo

Le cose migliori, su Marrazzo, le ha scritte Malvino:

“A me piacciono i trans – avrebbe dovuto dire – e ogni tanto, quando mi va, vado a letto con uno di loro”. Pagandolo? “Non sono contro la prostituzione – avrebbe dovuto dire – e penso che ciascuno sia libero di vendere il proprio corpo, se è maggiorenne e non vi è costretto”.
Ma andare a letto con un trans “Non consento ad alcuno di giudicare i miei gusti sessuali – avrebbe dovuto dire – e tanto meno di criminalizzarli, perché vado a letto con individui maggiorenni e consenzienti. Fatti miei, è il mio privato”.
E allora perché venircelo a raccontare? “Perché non mi ritengo ricattabile – avrebbe dovuto dire – e oggi mi hanno chiesto del denaro in cambio del silenzio su quanto ho qui rivelato”. Piero Marrazzo non l’ha fatto: si è ritenuto ricattabile e ha pagato i suoi ricattatori.

Cosa fa di una persona come Marrazzo un individuo ricattabile? Il fatto che abbia usato l’autoblù per cose private? Il fatto che abbia omesso di denunciare un reato? No. Tutto quello che ne è venuto fuori è incentrato sulla censura – mi vengono i brividi ad associare questa parola a un comportamento sotto le lenzola – morale, per la conduzione di un campione non approvato di vita sessuale.
Intendiamoci, rispetto all’individuo stesso, il fatto che una persona abbia tradito un patto di fedeltà con la moglie è grave – e scontarlo perché “gli uomini sono fatti così” avrebbe il sapore stantìo di quella visione sciupata per cui il sesso ha lo sciocco gusto delle cose proibite, come quando da bambino dicevi cacca o culo sentendoti oscuro e diabolico. Concetto per nulla raro, e di cui è un ottimo esempio, prima fra tutti, la centrifuga berlusconiana.
Ma, importante, esclusivo metro e giudice di questa infrazione può essere solo e singolarmente la moglie: l’unica vittima deliberata di questa defezione.

Questo malinteso senso della gravità delle cose, non mi stanco di dirlo, è colpa di una invertita idea di etica – pressoché appaltata dalle religioni – per cui esistono dei crimini senza una vittima; per cui c’è qualcosa di “immorale” nel fare alcune cose anche se queste non danneggiano gli altri. È l’idea che la misura del bene o del male sia in qualche modo postulata lì in alto, e non risieda nell’infrazione dei diritti o della felicità altrui.

Voglia il Cielo scusarci se proviamo a fare del bene, qui in Terra.

Il Burkina Faso, il Grande Fratello, e mia nonna

Ieri ho scritto due cose che hanno fatto sì che molte persone mi scrivessero, per la maggior parte gente che già conoscevo, chiedendomi e facendomi commenti.
Allora forse è il caso di aggiungere qualche parola su entrambe le cose.

La prima è la notizia della partenza per il Burkina Faso: intanto no, non vado ancora una volta per dei mesi. Vado per due settimane a organizzare un incontro di Alto Livello al quale parteciperanno molte First Lady africane e ministri per la parità di quei paesi. La conferenza è messa in piedi, insieme al governo del Burkina Faso, dalla Cooperazione italiana,  da alcune agenzie ONU, e principalmente da Non c’è Pace Senza Giustizia. Il titolo è “per la totale messa al bando delle mutilazioni genitali femminili”.

Non c’è Pace Senza Giustizia è un’organizzazione non governativa con la quale ho iniziatoa collaborare da qualche mese.
Effettivamente questo è un cambio abbastanza radicale nel mio approccio: se c’è una cosa che aveva accomunato le mie esperienze di volontariato, con i bimbi in Palestina, al tendone dei senza tetto, in Abruzzo dopo il terremoto, o a insegnare italiano agli immigrati, era il tentativo di fare le cose “dal di dentro”, in mezzo ai fatti.
Mi sono però sempre più reso conto di una cosa: gli sforzi dal basso sono genuini, coraggiosi, e in una misura funzionano, ma un impegno più politico, con più risorse, delle volte riesce a fare anche di più: cambiare le cose con la volontà politica, ché spesso non basta “cambiare il mondo per cambiare le leggi” perché delle volte bisogna anche cambiare le leggi per cambiare il mondo.

Così ho provato a vedere quale fosse il modo per cominciare a lavorare “dall’alto”. Sapete che quello che considero il più grande scempio, nel mondo, è la privazione dei diritti delle donne, e quello che considero il più grande scempio, fra le privazioni dei diritti delle donne, sono le mutilazioni genitali femminili. Così ho conosciuto Non c’è Pace Senza Giustizia e ho iniziato a dare una mano lì. Sono bravissimi. Se dovessi, un giorno, avere diecimila euro da dare in beneficienza li darei subito a Non c’è Pace Senza Giustizia, perché ho visto il lavoro che fanno e l’approccio con cui lo fanno. Mi sembra una delle poche associazioni che sta, davvero e sempre, dalla parte di chi subisce un sopruso.

Questa incontro a Ouagadougou è quello che segue l’incontro simile tenutosi al Cairo l’anno scorso e cinque anni prima, in cui le First Lady dei varî stati si sono impegnate a dare una legge e un’applicazione a tale legge in ogni singolo stato. Piano piano le cose cambiano, e gli stati dell’Africa che si dotano di una legge sono sepre di più: ora diciassette. Speriamo che dopo questo incontro, siano ancora di più. L’incontro è dall’8 al 10 di novembre, e io starò lì per un paio di settimane a cavallo di quella data. Poi sarò di ritorno a Roma.

L’altra cosa è il Grande Fratello, e su questo volevo commentare le email che ho ricevuto solo in un modo: non sono un eroe.
Né un antieroe. Non ho fatto nulla di eroico, ma soltanto quello che mi è sembrato più sensato, e ciò di cui avevo voglia, in quel momento.
Accetto al massimo – ogni scarrafone, eccetera – di essere l’eroe di mia nonna, che – senza dirmi che legge il mio blog, né a cosa si riferiva – mi ha scritto un’email che diceva solo così:

sei un eroe.Grazie per non avermi dato questa umiliazione.   ti abbraccio

Credo che molte altre nonne, diversamente, si sarebbero dispiaciute di non poter vedere il proprio nipote in televisione.
Se non ho firmato quel contratto, forse, è anche merito della nonna Vittoria, di essere cresciuto con lei.

Distanti saluti al Grande Fratello

Nel senso di saluti da lontano. Ho letto che ieri è cominciato il Grande Fratello.

INTRODUZIONE
Oggi vi racconto una cosa che non ho raccontato al tempo per un insieme di ragioni, prima delle quali è che non avevo tanta voglia di ascoltare pareri altrui, o più precisamente non avevo voglia di ascoltare pareri impegnati nel convincermi a cambiare idea: una brutta ragione la mia, insomma, ma ogni tanto capita.

Capita dunque questo: la volta che avevo fatto la scemata dello stendino in Piazza del Popolo, quel minuto spazietto di celebrità che aveva attirato – più di quanto meritato, a dire il vero -, aveva catalizzato su di me un’attenzione impropria: c’era stato il piccolo servizio del tg3, il breve intervento a Condor, le pagina sul boxino morboso di Repubblica, pezzi sui giornali locali e qualche intervista su altre radio.

L’EMAIL
In quei giorni lì mi aveva scritto anche una persona, molto cortese, dalla “Endemol che realizza il Grande Fratello” chiedendomi “Sei inorridito o incuriosito?” e aggiungendo poi: “Ci interesserebbe incontrarti. A te interesserebbe incontrare noi?”.
Tutto in modo molto gentile, perfino più di un certo limite, chiudendo la mail aggiungeva che, se non avevo voglia di rispondere, “noi teniamo d’occhio il blog” e “Verremmo a trovarti in piazza”.

Io avevo risposto che no, non ero intimorito. E che non avevo quel tipo di pregiudizî. Che avevo parlato con chiunque di qualunque cosa, perché non avrei dovuto parlare con loro? Ma che il Grande Fratello è “un programma che non seguo”, che “non pens(av)o di essere il candidato più adatto a entrare nella casa” e che “insomma, penso che il Grande Fratello non lo farei”.
Non sono uno duro e puro, o che la televisione è il diavolo. Magari in un altro frangente della mia vita avrei detto di sì, però ora ho altri progetti. E poi il Grande Fratello mi sembra una cosa soprattutto noiosa. Cinque mesi senza sapere nulla del mondo, senza poter parlare con le persone a cui vuoi bene. E non mi sarei trovato a mio agio in certe dinamiche morbose. Insomma, il mio rifiuto era un rifiuto molto minimalista, non eroico. Se mi avessero offerto di fare le Iene, che pure non è per me il massimo dell’intrattenimento, probabilmente avrei accettato.

LE TELEFONATE
Pensavo che la mia risposta li avesse dissuasi, anche perché una volta mi era capitato di vedere in un centro commerciale di Trieste la fila che c’era per i provini. Come dire: perché dovrei interessargli proprio io?
Per qualche giorno, difatti, non ho risposta; poi però, diversi dì dopo, mi richiamano una volta, e poi altre due. Mi dicono che «non devo avere paura di loro», io dico loro che non ho paura, ma che non vorrei far perdere loro del tempo. Perché il programma, davvero, non ho voglia di farlo. Ho altri progetti, dico loro. È davvero un momento in cui ho un sacco di altre cose da fare. Loro mi dicono: «guarda che sei sempre in tempo a rifiutare, vieni e ci facciamo una chiacchierata». Io ci penso: effettivamente cosa ho da perdere? Nulla, anzi, è sempre stata una mia curiosità vedere come funzionano questi reclutamenti.

Dico loro che, al limite, vado per vedere come funzionano queste cose, ma che al Grande Fratello non ci andrei, quindi farei loro perdere tempo: mi dicono che certo, non è un problema «tanto di tempo ne abbiamo». L’importante è che io non sia impaurito da loro.
Non nascondo che pensavo anche che, magari, avrei potuto convincerli a farmi fare qualcos’altro: chessò, lavorare con la Gialappa’s Band. Non era questione di principio, non che il classico binomio ricco&famoso mi ripugnasse, anzi, il contrario.

L’INCONTRO
Così in una mattina d’agosto mi ritrovo a salire le scale di questi studî cinematografici, le cui pareti sono piene di poster con l’occhio simbolo del Grande Fratello. Anche tutte le indicazioni sono scritte su manifesti così, con una freccia. Arrivo lì, mi accoglie una ragazza che mi accompagna su una verandina dove c’è un tavolo e una sedia. Mi porge una penna e un malloppo di fogli. «Firmi questo», mi dice. Rientra e mi lascia solo con quel contratto.

Io comincio a leggere, “il contraente si impegna a” e poi un sacco di cose che riguardano “il trattamento della sua immagine”, Italia 1 e Canale 5. Più che vado avanti più che mi domando “ma che ci sto a fare qui?”. La parola “immagine” torna mille volte, lì dentro ci sono scandite mille condizioni e clausole sul maneggiamento della propria apparenza, e delle proprie apparizioni: mi rendo conto di sentirmi enormemente fuori luogo. Non è il posto per me. Restituisco la penna alla signora e la ringrazio, le dico che non mi interessa. Prova a dissuadermi, mentre raccolgo le mie cose. Io, molto timidamente, le dico che – davvero – le sono grato, ma vorrei andare via. Mentre cerca di insistere, ancora una volta, esce da una porta un signore più anziano: con il taglio della mano le fa “basta”, come dire “peggio per lui”. Io le sorrido, le stringo la mano. Poi, per andare verso l’uscita, passo davanti al signore, sorrido anche a lui e gli dico «buon lavoro», supero la porta ed esco dagli studî, soddisfatto di non essermi forzato. Sensazione che conservo tutt’oggi. Qui finisce la storia.

In ogni caso è molto probabile che, magari, gli sarei stato antipatico, e che insomma – qualunque scelta avessi fatto – non mi avreste visto al Grande Fratello.

Lunedì degli aneddoti – XV – Servizî segretissimi

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

Servizî segretissimi

Il Mossad, quello israeliano, è considerato il servizio più segreto del mondo. Quello più efficiente, che è dietro a qualunque cosa. Se c’è qualcosa di poco chiaro, nel mondo, state sicuri che c’è sempre qualcuno che se ne esce con «è stato il Mossad!». Del resto, essendo un servizio segreto, meno le proprie attività  vengono rese pubbliche, più vuol dire che sta funzionando: e così chiunque ha buon gioco a dire che c’è dietro un complotto: «è il Mossad!» «Ma non c’è nessuna prova!» «Appunto!». Appunto.
È vero, però, che il Mossad ha – forse anche più della Cia, che si è spesso limitata a sovvenzionare dittatori – orchestrato azioni inverosimili, e perciò – quale cosa se ne pensasse – spettacolari: dal raid di Entebbe, al bombardamento del reattore di Osiraq, passando dalla cosidetta Lista di Golda Meir, fino ad arrivare al celeberrimo rapimento di Eichman. Tutte azioni pianificate o orchestrate dal Mossad assieme, ovviamente, alle divisioni dell’esercito israeliano.
La storia del Mossad non è fatta solo di successi però, e non tutti i suoi funzionarî hanno sempre dato prova della massima arguzia. Come quella volta, una decina d’anni fa, a Ginevra: il servizio segreto israeliano aveva mandato una sua cellula in Svizzera per monitorare un presunto uomo legato a Hizballah, il tutto ovviamente all’insaputa delle autorità elvetiche, note per la propria neutralità. Il capo di questa cellula aveva a disposizione quattro uomini, cioè, non tutti uomini, anche una donna. E qui veniamo al punto. Avevano pianificato tutto, il giorno in cui l’uomo sospettato non sarebbe stato a casa per tutto il giorno, e avevano deciso di intrufolarsi, in tre, e mettere delle microspie per tracciare le sue conversazioni. E gli altri due? Beh, gli altri due dovevano star fuori a fare i pali, e cioè a controllare che non arrivasse la polizia. Però quelli del Mossad non erano mica stupidi. Due persone lì davanti, a girellare intorno, avrebbero destato sospetti. Come fare a evitarlo? Beh, grande idea, viene al boss. Li mettiamo dentro una macchina – un uomo e una donna – ad amoreggiare, più normale di così!
Bella l’idea, ma il tipo non aveva fatto i conti con il contegno di una donna, molto perbene e molto svizzera, che non approvava: la signora chiamò la polizia denunciando due giovani che, davanti al proprio domicilio, si comportavano “in modo poco consono”.
Così, fra un bacio e l’altro, arrivò la polizia e il piano del Mossad andò in fumo.

[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui]

Vuoi indicare un aneddoto per un prossimo lunedì? Segnalamelo.

E grazie, Pasteur

Oggi ho fatto nove vaccini per malattie con dei nomi altisonanti. Una specie di visita per la profilassi contro la Malaria, il vaccino contro la Febbre Gialla (le metto tutte maiuscole così fa più effetto), contro il Tifo, contro epatite A e B, contro il colera, e infine il trattamento contro la diarrea del viaggiatore, che forse di tutte le cose “del viaggiatore” è quella meno cool.
Ci pensate? Ho un po’ di tutti questi virus dentro il corpo!

Vado in Burkina Faso, dove Fausto Coppi prese la malaria che lo uccise. Ma non vado a correre in bici, quindi non vi preoccupate. In questa settimana pre-partenza vi racconterò dove vado e a fare cose cosa, partendo da questo e questo.