«Rosy Bindi è sempre più bella che intelligente»

In un qualsiasi paese civile, un testa di cazzo – perché uno che dice una cosa del genere, davanti a tutti, non è solo un disgustoso omino bieco senza stile, ma è proprio una testa di cazzo – che dice una simile spropositata marchianeria ha finito immediatamente, ma in quel-preciso-istante, la sua carriera politica.

Se c’è una cosa per cui l’Italia è un paese misero bifolco e provinciale, è questa.

Quante volte mi è capitato

Come sapete mi sto impegnando in dei progetti contro alle mutilazioni genitali femminili nell’Africa Occidentale, e spesso mi trovo ad avere a che fare con un atteggiamento – che mi rammarico di dover riconoscere come tipicamente di un certo tipo di sinistra – che nega ogni possibile critica o ogni possibile addebito all’Islam, ma più in generale alle religioni.

Nessuno si stupisce se critichi il liberalismo, se critichi il socialismo, se critichi il nazismo, se critichi qualunque tipo di sistema di idee. Ma le religioni – che potranno essere anche tutte ugualmente fasulle, ma non sono tutte uguali negli effetti sulle persone – beh, quelle non si possono criticare. Ovviamente non parlo di persone – o non direttamente – ma di sistemi di idee: la questione è che dire che il sistema di idee dell’Islam è pericoloso per le donne, o che la società cristiana garantisce meno la felicità delle persone che ci vivono dentro rispetto a un qualche altro culto meno sessuofobico, beh ciò desta scandalo.

Ma questo non è un approccio laico. Questo è considerare le religioni dal punto di vista religioso, e non da quello esterno. Dov’è l’affezionata sinistra anticlericale di una volta?
Il problema non è l’essere d’accordo o no: si può discutere di tutto, possiamo parlare: una società liberale o una socialista garantiscano maggiormente la felicità delle persone? Non so, parliamone. Ma nessuno si sognerebbe mai di invocare la lesa maestà.
Il problema, insomma, è proprio affrontare la questione: perché questo tipo di domanda non è legittima?

Il meccanismo è esattamente questo:

Questo modo di ragionare annichilisce deliberatamente qualunque azione che possa essere messa in pratica a nome delle vittime dell’Islam. Se provi a fare qualcosa a nome delle vittime, cominciando con l’onestà di ammettere chi sta perpetrando il crimine e perché, i critici vengono fuori e dicono: «Hey, ma non sono solo i mussulmani a farlo». Dopodiché questi critici si sentono veramente buoni per aver fatto presente che l’Islam non c’entra nulla e, sì, vanno a casa con l’anima in pace e non fanno nulla per l’argomento in questione. Così nel caso delle mutilazioni genitali femminili, il sinistroide si sente soddisfatto di aver tirato fuori il fatto che non è solo l’Islam a perpetrare questa pratica, e non si imbarca in nessuna azione concreta per aiutare le vittime, e le mutilazioni delle bambine nell’Islam continuano.

La cosa ovvia, che però è così faticoso dire in pubblico è che:

Naturalmente i mussulmani non sono gli unici che perpetrano le MGF. Ovviamente le MGF sono praticate fuori dall’Islam, incluse molte tribù africane non-mussulmane (e anche molti cristiani egiziani, eritrei, etiopi, aggiunge il traduttore). […] Ma il punto chiave è che quello mussulmano è il principale gruppo religioso che pratica questa violenza di genere sulle donne. E la verità è che se sei vittima delle MGF, allora le possibilità che tu viva in una società mussulmana sono molto alte.

Scoprire il Burqa: egoisti, menefreghisti e gli altri

Secondo me questo sondaggio di Repubblica sulla proposta leghista di condannare al carcere chi indossi il Burqa traduce nella pratica ne varie posizioni, schierandole. Disinnesca e – mi sembra – smascheri ogni pretesto ammantato d’interesse, con una semplice divisione in tre – anzi in quattro.

Detto che quello dell’ordine pubblico è – davvero, ammettiamolo – un pretesto. Certo, ci sono molte più complessità di una realtà a quattro (o tre) fattispecie, ma credo che alcune generalizzazioni siano utili quando si discute, e questa sia una di quelle che limita al minimo questi equivoci – ecco quelle che sono le posizioni:

La Lega presenta una proposta di legge che prevede pene fino a due anni per chi indossa il burqa. Siete d’accordo?

Inizio dal non so, che sembrerebbe la più vigliacca, ma non lo è. Quante volte capiterà di non sapere quale sia il mezzo migliore per affrontare i problemi e arrivare a quello che – indubbiamente – è meglio. D’altra parte, se “non sai” perché clicchi sulla pagina del sondaggio per votare?

Poi il. Questa è la posizione sporca di una certa destra virante all’identitarismo (Lega, molti del PDL, i fascisti), ma non mi stupirei che accogliesse anche molti di coloro che son dentro a questa nuova e inedita avventura della sinistra legalitaria (Di Pietro, ma anche alcune frange del PD). shhIl concetto è: siamo meglio noi (che poi dovremmo parlare di chi è questo “noi”) quindi combattiamo loro. L’intento di chi risponda sì a questa domanda è quello di tutelarsi, che sia per ‘sta storia che una sotto al burqa possa portare una bomba (aboliamo i giacconi!) o per tutelare sé tutelando la propria società: insomma chi vota “sì” non è contrario al Burqa perché è un sopruso per quella donna, non pensa di essere contro al Burqa per stare dalla parte di quella donna. E difatti la vuole sbattere il carcere. Insomma, non ce l’ha con la pratica – scandalosa, vergognosa – ma con la persona che la vive. È anche un’ulteriore estensione di quel concetto doppiamente disgustoso per cui «a casa tua fai quello che ti pare, ma a casa nostra comandiamo noi».
Mi domando se costoro non vorrebbero sbattere in carcere anche le donne che hanno subito, consenzienti, l’infibulazione.

freedom for grantedCi sono tanti motivi per rispondere no a questo quesito, la più nobile delle quali è quella che in uno Stato libero ognuno di noi deve poter fare ciò che vuole. Ma, in questo contesto, un “no” di questo tipo fa passare un solo messaggio: «chi se ne strafrega». È questa la vera risposta vigliacca, i problemi degli altri non sono nostri problemi – e in ciò si avvicina pericolosamente al concetto sotteso a chi vota “sì” – o peggio, il burqa non è un problema. Molte di queste persone, se vedessero una scena simile per strada, dovrebbero – cioè non dovrebbero assolutamente, ma questa è la prosecuzione logica del loro sragionamento – ignorare la violenza di un marito che picchia una moglie del sud che se l’è sposato. In fondo quella, di picchiare la moglie, è una loro tradizione.
Sapete che c’è? La mia tradizione, la mia cultura, è quella che mi spinge a provare a impegnarmi per donne e omosessuali – e ogni discriminato – in tutto il mondo. Ora che avete da dire?

C’è poi il sono d’accordo sul divieto ma non sul carcere che è la posizione più facile da prendere. Ma mica che le posizioni più facili siano sempre sbagliate. È la più facile perché, effettivamente, non specifica un’alternativa al carcere: ma di cose formalmente “vietate” in cui non ci si accanisce su chi ne è primo attore e vittima ce ne sono: burkal’aborto, la prostituzione (poi non è detto che in questi altri casi io sia d’accordo con il divieto, ma è un altro post e un’altra storia). A che serve? Probabilmente a poco, ma poco è sempre meglio di niente. “Poco” è mandare un messaggio, per quanto flebile – ma non sottovalutiamo mai, e ascoltate questo mai con tutta la intensità, i messaggi. È un voler dire, che qui, in questo Paese e in questo momento storico, tante persone si sono riunite e hanno deciso che sì, la donna e l’uomo devono avere gli stessi diritti. Che sì, la sede dell’autocontrollo sessuale maschile è nel fottuto corpo dell’uomo e non in quello della donna che non deve “provocare”.
È dire, in una parola: «questa è la cosa giusta, venite con noi».

Mi ha stupito – almeno per ora, con il 39%, vincono i buoni:

Si (158 voti) 32%

(158 voti) - 32%
No (140 voti) 29%

(140 voti) - 29%
Sono d’accordo sul divieto ma non sul carcere (189 voti) 39%

(189 voti) - 39%
Non so (2 voti) 0%

(2 voti) - 0%

Fare la cosa giusta o quella che (forse) funziona?

Secondo me la politica sta tutta qui:

Siamo tutti dispiaciuti per il fatto che Obama abbia rinviato a dicembre la photo-op col Dalai Lama, ma il motivo non è un generico “gli affari” o “i soldi”.  Obama andrà in Cina tra breve per cercare di convincere Hu Jintao a fare delle cose piuttosto importanti che hanno a che fare molto più coi diritti umani he con “gli affari”: il via libera alle sanzioni sull’Iran, le pressioni sulla Corea del Nord e addirittura – ma è solo una voce, per ora – l’invio di un contingente cinese in Afghanistan. Tutte e tre le cose sono molto importanti e rischiano di saltare, con tutte le conseguenze del caso, davanti a un gesto che avrebbe come unica conseguenza rilevante quella di far innervosire la Cina. Mi rendo conto che gli oppressi ne sarebbero confortati, qualora avessero notizia dell’incontro: mi rendo conto anche che non è poco, ma penso sia giusto ricordarsi che non è sufficiente. Poi uno decide cosa gli interessa di più ed è legittimo pensare che sia più giusto o funzioni meglio un’altra strategia. Io non lo so.

Neanche io.

Lunedì degli aneddoti – XII – Salvato due volte

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

Salvato due volte

Per una volta mi concedo un aneddoto che non è un vero aneddoto. Una storia, anche pubblicata con credibilità su varî libri, e di cui si parla da sessant’anni, ma che è soltanto una leggenda. Ho pensato molto se metterla oppure no ma alla fine ho deciso di sì perché è – sarebbe – troppo bella.

La storia ci racconta questo: un tredicenne, Alex, figlio di un pastore scozzese sta pascolando il suo gregge, quando vede che proprio nel lago di fronte a casa sua un ragazzo poco più grande sta annegando. Alex si tuffa per andare a salvarlo e lo porta a riva. Il ragazzo si rivela essere il rampollo di una ricca famiglia della noblità dell’Oxfordshire, che lo ringrazia fino a non sapere come sdebitarsi. Anzi, qualche anno più tardi trova il modo: telefona ad Alex dicendo che i proprî genitori vogliono pagargli i costosi studî in medicina che costituiscono il sogno di Alex, e che – in altro modo – questi non si sarebbe mai potuto permettere. Alex mette a frutto i suoi studî, la sua passione, e il suo talento e viene chiamato come studioso di batteriologia nel più importante centro di ricerche di Londra. È proprio lì che Alex, diventato il celebre Alexander Fleming, per un’occasione fortunosa – ma questa è un’altra storia – scopre la penicillina, il precursore di tutti gli antibiotici. La penicillina comincia a essere utilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale ed è addirittura il primo ministro Winston Churchill, ammalatosi gravemente in Africa nella vecchia Cartagine, uno dei primi a essere curato – e ad avere così salva la vita – con questa nuova medicina miracolosa.
Quel Winston Churchill che era anche il ragazzo salvato in quel lago di Scozia, quarant’anni prima.

Peccato che non sia vero.

[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste – qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia]

La storia è degli sconfitti?

Qualche anno fa mio nonno venne da me, in televisione andava un film sui cow-boy, a dirmi – con il tono di chi dice una verità al tempo stesso occultata e tanto vera – che «gli indiani non erano i cattivi».
«Sì, vero», risposi.
«No, ma non hai capito, sono gli americani che hanno fatto un bel massacro».
«Eh, certo», ancora io.
E lui: «ma come, lo sapevi?».
Ne parlammo un po’ e ci rendemmo conto che quella per lui – cresciuto con i film di James Dean – era una tesi ardita e quasi revisionista, per me – per un misto di non so che: canzoni di De André, telefilm, cose lette sui giornali – era una tesi praticamente assodata: anzi, era l’unica tesi in campo. Perché – mi sono trovato a domandarmi – qualcuno aveva mai sostenuto che gli americani avessero fatto qualcosa di apprezzabile nello sterminare la quasi totalità della popolazione di nativi americani?
E, effettivamente, la risposta è sì: un tempo quella storia l’avevano scritta i vincitori. Gli indiani erano quelli cattivi che volevano ammazzare i cow-boy, e i cow-boy erano quelli buoni che difendevano la brava gente.
Una tesi che, oggi, non credo sostenga nessun bambino delle elementari.

La macchinaOgni tanto ragiono su come cambi la coscienza collettiva: mi sembra, quasi, che ultimamente – in Occidente – sia diffuso un ipercorrettismo logico che scaturisce da quel luogo comune – che la storia la fanno i vincitori. Mi sembra che, oggi più di sempre, sia tanto diffuso quello che in inglese si chiama “white guilt”, e che in italiano non ha una traduzione perfetta: ovvero un senso di colpa collettivo, che definirei paternalista.

Intendiamoci, non è che non pensi che l’Occidente abbia fatto cose terribili – in tutti i campi, nel passato, e anche nel presente – ma mi sembra che un po’ distorciamo la nostra autovalutazione, quasi a sentirci così più buoni – aperti e autocritici: le donne sono sottomesse nei paesi islamici per le occupazioni e le operazioni militari dell’Occidente, l’Africa langue per lo sfruttamento da parte dell’occidente nel passato, Saddam Hussein ha gassato i curdi perché armato dagli americani.
E però in Arabia Saudita non ha mai messo piede un soldato occidentale, la maggior parte degli stati africani era più ricca della Cina trent’anni fa, e nei 35 anni di dittatura baathista dell’Iraq gli americani hanno fornito l’1% (uno percento) delle armi al regime.
È come se uno stronzo non potesse essere africano, asiatico, o con la pelle più scura di un viso pallido.

Non che l’Occidente abbia fatto solo cose buone, ma anzi, la gran parte delle colpe, e sono responsabilità gravissime – il Ruanda più recentemente il Darfùr, ma anche lo stesso Iraq -, vanno ascritte all’Occidente sotto al titolo che ora sembra essere la magica ricetta per risolverli: «facciamoci i fatti nostri».

Tutto questo mi è ritornato in mente perché ho letto un articolo in cui si dice che  – tutto sommato – Montezuma era come Saddam Hussein, e insomma, lo sterminio spagnolo non ha fatto tanto peggio, anzi: e il primo pensiero è stato “Sì, vabbè, che cretinata”. Ma il secondo è stato “Ma…”.

Santoro

Io, perdonatemi, Santoro proprio non lo reggo. Però stasera mi ci sono messo.
Davvero non capisco come sia possibile che – invariabilmente – nelle trasmissioni di Santoro quelli che la pensano come il presentatore, pure quando hanno spudoratamente ragione come oggi, riescono a cantarsela e suonarsela, a fare battute sciocche e autoreferenziali, a produrre discorsi incardinati su concetti banali e falsi, tanto da apparire in torto.

Mentre li seguivo avevo la stessa percezione di quando vedi in TV l’attaccante della tua squadra che prova a dribblare quattro avversari, mentre sull’altra fascia – e tu lo vedi! – c’è un compagno di squadra con un’autostrada libera: «ma che fai???» «ma che dici???» «perché butti nel cesso quest’occasione???».

L’unico che si è salva, e bene, è Michele Emiliano (che conobbi in ben altre situazioni, tempo fa).

Edit: ok, la giovane di Forza Italia è qualcosa di abominevolmente irraggiungibile.