Lunedì degli aneddoti – VII – Rockall

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

Rockall

Le rivendicazioni territoriali sono fonte di molte e colorate storie: fra tutte merita una menzione la vicenda di Rockall, uno scoglio nell’Atlantico. Per ragioni petrolifere, l’isoletta è contesa da tanti: Irlanda, che è la terra ferma più vicina, l’Islanda, le cui acque territoriali si spingono molto a sud, la Danimarca che ha la sovranità delle isole Far Øer anch’esse non lontane da Rockall. E ovviamente il Regno Unito, che dai tempi dell’Impero rivendica qualunque roccia galleggiante in mezzo a qualunque mare.
Una volta Rockall attirò le attenzioni di Greenpeace: per protestare contro un piano britannico di trivellazioni il movimento ambientalista “occupò” la roccia, reclamando l’interruzione del progetto in cambio della “liberazione”.
La risposta del Governo Britannico fu mefistofelica: a Greenpeace fu conferito, formalmente, il permesso di stare lì, disinnescando così ogni arma di ricatto e dando spessore alla propria rivendicazione.
Quando poi dei giornalisti ne chiesero conto, la risposta fu: “siccome la Gran Bretagna è un paese libero, e siccome Rockall è territorio britannico, hanno tutto il diritto di stare lì”.

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[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica]

Viva le cipolle giarrettane!

Trovandomi in una delle zone più rurali della Sicilia, e recuperando internet solo per cinque minuti al giorno – e non avendo il tempo, quindi, di scrivere nulla – posso soltanto rimandare alla lettura di qualcosa che vi è sfuggito nell’ultimo periodo. Ecco, se c’è un post che ho scritto negli ultimi tempi che, se non avete letto, vi direi di leggere è quello sul San Paolo senza arbitrio. Forse l’ho scritto troppo scherzoso, ma io una risposta la chiedevo davvero!

Certezza della pena

Ma che è una notizia? Già mi fanno storcere il naso le risse sugli sconti di pena per buona condotta: fanno parte della legge (che, ricordiamo, non è punitiva). Ma in questo caso, davvero, dov’è la notizia oggi? Gianni Guido avrebbe finito di scontare la sua pena ventennale il 26 agosto 2009, cioè oggi. Lo si sapeva ieri, lo si sapeva l’altro ieri, lo si sapeva il giorno prima: ora che è arrivato il giorno previsto per la fine della pena, quale sarebbe questo ulteriore motivo di scandalo?

Lunedì degli aneddoti – VI – La rettorica

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

La rettorica

Carlo Michelstaedter era uno di quei genî che si laurea a 15 anni e mezzo, senza alcuna fatica. Lui finisce per laurearsi a 23, dopo aver girato tre diverse facoltà, in lettere con una tesi dal titolo “La persuasione e la rettorica”. Proprio così, con due ‘t’.
La sua idea, rudemente estratta, era che la rettorica non dovesse convincere gli altri. Che il potere persuasivo delle proprie parole fosse un’offesa alla libertà altrui, e che fosse sbagliato cercare di convincere gli altri delle proprie ragioni. Che ognuno dovesse cercare la propria via in sé, senza il contaminante apporto dei pareri altrui.
Studiando e scrivendo febbrilmente per un anno intero quel librone che sarebbe diventato la sua tesi, si rese conto di come qualsiasi atto espressivo è in sé un atto conativo (persuasivo), di come – anche cercando di non farlo in tutti i modi – il suo scrivere, il suo parlare, avesse un effetto ottundente sul parere altrui. E che, appunto, non fosse possibile esprimere il proprio pensiero senza cercare di convincere l’interlocutore della bontà di esso.
Resosi conto che non avrebbe potuto condurre la propria vita secondo i propri canoni di “non offesa”, e a onor del vero non solo per questo, si suicidò.

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[Qui il primo: Brutti e liberi
qui il secondo: Grande Raccordo Anulare – qui il terzo: Il caso Plutonequi il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti]

Un tonfo in piscina

BURKINI E BRUTTE NOTIZIE
Mea culpa maxima. A seguito di una discussione su burkini e licenziamento per gli operai che non bevono durante il Ramadan, su di un social network, mi sono fatto trasportare in un polverone di pareri sulla condizione della donna nell’Islam che non avevo nessuna voglia di partecipare a creare, tantomeno ieri: proprio nell’infausto giorno in cui vengo a sapere che una mia cara amica – e compagna di tanti giorni – in quelle terre è stata costretta a sposarsi.

È stata forse la risposta a questo senso d’impotenza a farmi imbarcare nella discussione, nonostante fossi convinto di non doverlo fare, perché sapevo come sarebbe andata a finire. È andata a finire peggio, con l’essere accusato di voler “spogliare le donne mussulmane” per lussuria, e la reiterazione del concetto scandaloso per cui sia sensato che soltanto le donne si occupino dei diritti delle donne.

Non dovevo iniziarla quella discussione.

Però siccome sono recidivo, e confido un po’ di più nella ragionevolezza di quella manciata di ospiti del mio blog, ci riprovo qui al calduccio: tentando di partire da qualche spunto che mi sembra importante

LA TEORIA
Il problema teoretico non c’è: un mondo senza persone che rischiano la vita per un dio immaginario è un mondo migliore. Anche un mondo senza burkini, hijab, etc è un mondo migliore. Perché? Per un motivo semplice, perché è un simbolo chiaro – e chiunque neghi questo non ha letto una riga del Corano – di sottomissione, e di proprietà, della donna all’uomo. Più precisamente è lo spostamento dell’autocontrollo sessuale maschile, dal corpo dell’uomo stesso al corpo della donna. Gli uomini non possono fare nulla, se un corpo di donna li “provoca”. Il teorema della colpevolezza della ragazza stuprata perché in minigonna.

Questo è tanto ovvio quanto vero, e chi lo nega è o un laico a senso unico (leggasi contro la Chiesa Cattolica) oppure ha un malinteso concetto di laicità: la laicità non è l’imparzialità del giudizio, ma è il fondare su dei fatti – anziché su un qualunque tipo di allucinazioni – la propria valutazione. Fra una persona che sostiene l’efficacia della medicina, e uno che sostiene l’efficacia della preghiera, una persona laica dà ragione al primo, non è certo imparziale.

LA PRATICA
Dopodiché c’è un problema strategico, in cui tutte le opinioni sono valide: sono più le donne che, con un divieto, andrebbero in piscina togliendo questo velo, oppure sono di più quelle che con un divieto del genere rinuncerebbero ad andare in piscina restando imprigionate in casa da mariti o fratelli? Penso che, in questo caso, succederebbe la seconda cosa: quindi non è una cosa positiva vietare tale abbigliamento. L’inflessibilità ha senso se è al servizio del bene degli individui, altrimenti l’inderogabilità di un principio è solamente lo specchio di Narciso di una società senza altre risposte che quelle identitarie.

Farei un discorso diverso per la regolamentazione del bere durante il Ramadan: credo che molti mussulmani alla fine cederebbero – anche perché c’è più tolleranza sulle infrazioni alla regola imposte da altri. Penso, tuttavia, che non sia compito dello Stato tutelare una persona dai proprio comportamenti autonocivi, e fino a quando queste persone facessero bene il proprio lavoro non ci sarebbe nulla da dire. Ovviamente firmando un’impegnativa dove ciascuno si assume la completa responsabilità degli attentati alla propria incolumità: dopodiché ognuno può farsi male come vuole, per le ragioni che vuole, basta che non faccia male agli altri.

Voi che ne pensate?

‘Na coscienza tutta mia

Un tempo si diceva che Il Foglio fosse, più che un giornale, un grande blog collettivo con delle idee un po’ strambe, e un’insolita apertura ai pareri altrui. Peggio! Hanno chiesto il mio, di parere, su cosa sia la coscienza, e ‘stavolta le idee strambe ce le ho messe io. Dice: ma sei riuscito a scrivere un post mangiapretesco anche per il Foglio? Beh, loro hanno fatto di più: l’hanno pubblicato.

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La ricopio qui:

Io ce l’ho col peccato originale. Questa faccenda che l’uomo sia cattivo e possa essere salvato dalle sovrastrutture etiche non m’ha mai convinto. Anzi, per me è tutto il contrario, che l’uomo è buono e son le sovrastrutture a fregarlo.
Noi saremmo naturalmente portati a voler bene – soprattutto a non voler far male – al prossimo, a tutti gli altri individui che condividono la nostra sorte; sono le varie circoscrizioni al ribasso della nostra specie a permettere l’elusione della Regola d’Oro: “non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. La disumanizzazione del prossimo, perché ha la pelle di un colore diverso, perché crede in un altro Dio, perché ha un’altra patria, rendono il prossimo – appunto – meno umano, disinnescando questo benigno riflesso condizionato.

Dunque sì, c’è davvero quella solita ignota chiamata coscienza, ma quando Madre Natura ce l’ha messa in dotazione non l’ha piazzata nel cuore o nell’anima, l’ha sistemata nel cervello, origine di tutti i beni. In realtà non la si dovrebbe chiamare coscienza, ma neuroni specchio, perché senza di quelli saremmo fregati: quando vediamo una persona stare male, stiamo male. Funzionano, funzioniamo così. E per una ragione semplice: ci conviene. Vivere a contatto con qualcuno che soffre se noi soffriamo, lo rende meno cagionevole all’egoismo. Dite che è una prospettiva gretta e una lirica illusione dell’età della Scienza? Macché, sapere che un seme di bontà è dentro chi ci sta accanto, è molto meglio che immaginarlo alle prese con una morale forzosa costruita per interposta divinità. Siamo buoni, ora dobbiamo dimostrarlo.

E quanto al lirismo dell’illusione, beh, sto con Trilussa:
Io, ne convengo, faccio una pazzia / a commette er peccato origginale: / ma er giorno che conosco er bene e er male / me formo una coscienza tutta mia. / Sarò padrone e schiavo de me stesso, / bono e cattivo, giudice e accusato / e, all’occasione, intelliggente e fesso.