BURKINI E BRUTTE NOTIZIE
Mea culpa maxima. A seguito di una discussione su burkini e licenziamento per gli operai che non bevono durante il Ramadan, su di un social network, mi sono fatto trasportare in un polverone di pareri sulla condizione della donna nell’Islam che non avevo nessuna voglia di partecipare a creare, tantomeno ieri: proprio nell’infausto giorno in cui vengo a sapere che una mia cara amica – e compagna di tanti giorni – in quelle terre è stata costretta a sposarsi.
È stata forse la risposta a questo senso d’impotenza a farmi imbarcare nella discussione, nonostante fossi convinto di non doverlo fare, perché sapevo come sarebbe andata a finire. È andata a finire peggio, con l’essere accusato di voler “spogliare le donne mussulmane” per lussuria, e la reiterazione del concetto scandaloso per cui sia sensato che soltanto le donne si occupino dei diritti delle donne.
Non dovevo iniziarla quella discussione.
Però siccome sono recidivo, e confido un po’ di più nella ragionevolezza di quella manciata di ospiti del mio blog, ci riprovo qui al calduccio: tentando di partire da qualche spunto che mi sembra importante
LA TEORIA
Il problema teoretico non c’è: un mondo senza persone che rischiano la vita per un dio immaginario è un mondo migliore. Anche un mondo senza burkini, hijab, etc è un mondo migliore. Perché? Per un motivo semplice, perché è un simbolo chiaro – e chiunque neghi questo non ha letto una riga del Corano – di sottomissione, e di proprietà, della donna all’uomo. Più precisamente è lo spostamento dell’autocontrollo sessuale maschile, dal corpo dell’uomo stesso al corpo della donna. Gli uomini non possono fare nulla, se un corpo di donna li “provoca”. Il teorema della colpevolezza della ragazza stuprata perché in minigonna.
Questo è tanto ovvio quanto vero, e chi lo nega è o un laico a senso unico (leggasi contro la Chiesa Cattolica) oppure ha un malinteso concetto di laicità: la laicità non è l’imparzialità del giudizio, ma è il fondare su dei fatti – anziché su un qualunque tipo di allucinazioni – la propria valutazione. Fra una persona che sostiene l’efficacia della medicina, e uno che sostiene l’efficacia della preghiera, una persona laica dà ragione al primo, non è certo imparziale.
LA PRATICA
Dopodiché c’è un problema strategico, in cui tutte le opinioni sono valide: sono più le donne che, con un divieto, andrebbero in piscina togliendo questo velo, oppure sono di più quelle che con un divieto del genere rinuncerebbero ad andare in piscina restando imprigionate in casa da mariti o fratelli? Penso che, in questo caso, succederebbe la seconda cosa: quindi non è una cosa positiva vietare tale abbigliamento. L’inflessibilità ha senso se è al servizio del bene degli individui, altrimenti l’inderogabilità di un principio è solamente lo specchio di Narciso di una società senza altre risposte che quelle identitarie.
Farei un discorso diverso per la regolamentazione del bere durante il Ramadan: credo che molti mussulmani alla fine cederebbero – anche perché c’è più tolleranza sulle infrazioni alla regola imposte da altri. Penso, tuttavia, che non sia compito dello Stato tutelare una persona dai proprio comportamenti autonocivi, e fino a quando queste persone facessero bene il proprio lavoro non ci sarebbe nulla da dire. Ovviamente firmando un’impegnativa dove ciascuno si assume la completa responsabilità degli attentati alla propria incolumità: dopodiché ognuno può farsi male come vuole, per le ragioni che vuole, basta che non faccia male agli altri.
Voi che ne pensate?