In realtà sei un demagogo, e neanche dei migliori

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Lo spietato dipinto di Luigi Castaldi su Antonio Di Pietro è una di quelle cose così letterariamente perfette. Quando senti che, alla fine, tutto si rimette a posto.

Solo i fessi possono credere in ciò che da sempre vorresti dar da credere, talvolta nella parte del villico sanguigno, talvolta nei panni del fiero tribuno. In realtà sei un demagogo, e neanche dei migliori. Non hai nemmeno un grammo di cultura liberale e, quando dici “democrazia”, non si fa troppa fatica a capire che stai parlando di un populismo esteticamente diverso da quello di Berlusconi, ma della stessa sostanza. Della cultura in generale, meglio lasciar perdere. In fondo anche tu hai nel fondo l’immarcescibile diffidenza verso tutto ciò che è vera intelligenza, optando per la furbizia degli ignoranti integrali. E in questo probabilmente nemmeno sai quanto somigli a Berlusconi: sei figlio della sua stessa Italietta, poi avete preso strade diverse, lui quella aziendale e tu quella clanica. Siete due facce della stesso familismo, della stessa destra prepolitica e antipolitica, della stessa subcultura da strapaese: in lui meglio mascherata, in te fiera di mostrarsi al naturale.

In difesa di chi passeggia coi maiali

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Ve ne potrei elencare diecimila di sciocchezze fatte da Calderoli e dalla Lega. C’è tutto l’arco del negativo, dall’idiozia alla deliberata criminalità: lo spray sugli immigrati, le sparate sugli spari ai barconi, il reato di clandestinità, la denuncia da parte dei medici, le idiozie delle ampolle, la discendenza dai celti, le canzoncine contro i terroni, eccetera eccetera (eccetera eccetera).

Sono tutti i motivi per i quali, nel vecchio giochino, misi Bossi come l’ultimo degli ultimi, spreferito addirittura nei confronti di Storace e Berlusconi. La Lega è il peggior partito dell’intero arco costituzionale, e vanto l’aver fatto fuggire (per manifesta inferiorità, dico io, per manifesto disprezzo, dice lei) una leghista dopo una discussione con il sottoscritto.

Perciò potete immaginare quanto sarei lieto (sarcasmo) che il PD facesse un qualunque tipo d’intesa, anche un trattato di non belligeranza con quel partito.

Però, in questi giorni, sento diverse persone citare – come misura e spregio del male della Lega – Calderoli che fa pascolare il suo maiale su un possibile luogo di edificazione di una moschea. Quello che fa pascolare il suo maiale. Che già solo a leggere ‘sta frase uno si domanda: e che c’è di male? Di tutte le cose elencate sopra, tanta gente – anche miei compagni d’anticlericalismo – trova grave ed esemplare della Lega quel fatto lì. L’unico in cui, invece, la presunta offesa dipende dall’offendibilità dell’interlocutore, e non dalle canagliate dei leghisti.

Ma siamo matti? Abbiamo deciso di accettare il metro per il quale se un maiale pascola in un posto, quel posto non è più edificabile? Se Calderoli vuole fare la sua campagna contro la costruzione di una moschea, ha tutto il diritto di fare una cosa legalissima e innocua. E se quelli (mussulmani, ebrei, sikh, scientologisti) son talmente matti da rinunciare al loro progetto per un ridicolo dogma infondato, sono del tutto fatti loro. Se domani volessero aprire una sede della Lega, e un leghista se ne uscisse con un “non vogliamo edificare su un terreno dove ha passeggiato il cane di un terrone”, cosa pensereste? Io so cosa penserei, ma sopratutto so cosa farei: telefonerei a tutti i miei amici del sud cane-muniti, e li inviterei a fare una bella passeggiata assieme.

Cos’è? Siamo laici solo quando ci sono di mezzo preti e Vaticano? Io non son mai tenero con i cattolici, però mi sembra che un giorno i nostri vicini di casa potrebbero venirci a chiedere il conto di tutti i doppî standard che facciamo – e non avrebbero mica tutti i torti. Se una farmacia si rifiuta di vendere profilattici perché è contro i loro principî, qual è la prima reazione che hanno tanti di noi? Bene, domani andiamo a fare una distribuzione gratuita di profilattici lì davanti (cito questa vicenda perché è un fatto accaduto).

Il principio è molto semplice: le idee infondate (in realtà tutte le idee) non possono richiedere un’impermeabilità alle critiche o alle sfide. La libertà di pensiero non risiede soltanto nel mio diritto a pensare quello che voglio, ma anche nel tuo diritto a contestarmi ciò che penso. Perché se non si sfidano i dogmi, rimarranno sempre lì, intatti, come la Terra che è al centro dell’Universo. E invece no – ed è così che ha sempre progredito il mondo, per fortuna.

UK explained

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Se siete di quelli che quando giocavano a nomicosecittà e usciva la “o” evitavate di mettere “Olanda” fra i Paesi, perché il Paese si chiama “Paesi Bassi”, mentre l’Olanda è solo una delle province. Se dite Moldavia anziché Moldova, se sapete che il capo di stato di Andorra è Sarkozy, a metà con un vescovo spagnolo. Insomma, se siete dei nerd geografici come lo sono io, apprezzerete questo video che vi spiega tutto quello che c’è da sapere del Paese in cui vivo, che non è l’Inghilterra, neanche la Gran Bretagna, bensì il Regno Unito. E se – come spero – sapevate già tutto questo, non rimane che guardarlo per fugare il dubbio se i territorî del Commowealth facciano parte della Corona, e qual è la definizione ufficiale di quell’ottusissima Isola di Man.

 

Il partito della paura

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Leggo in giro di tanti che dànno ai referendum un significato politico: è l’Italia che finalmente si ribella a Berlusconi. Un segnale, un messaggio, addirittura un viatico per le dimissioni: la dimostrazione elettorale che il Paese non è più con il PDL, con la Lega, con le loro politiche di egoismo e speculazione sui peggiori istinti della gente.

Secondo me non c’è niente di più falso. Non che il Paese abbia abbandonato Berlusconi e la Lega – questo lo spero –, ma che l’esito di questo referendum ne sia la cartina al tornasole. Il prototipo dell’italiano medio, quello che ce l’ha con gli immigrati, che se ne frega del prossimo, quello che ai “peggiori istinti” dà libero sfogo, quella persona ha chiaramente votato per il sì. Naturalmente ci sono molte altre persone che hanno votato sì in maniera ragionata e con le migliori intenzioni, ma è fuor di dubbio che il largo partito delle paure irrazionali – quello che un partito progressista non potrà mai inglobare – abbia votato per il sì. Parlo del nucleare perché secondo me è il quesito che ha portato le persone a votare (qualcuno pensa che un referendum sul legittimo impedimento avrebbe mai raggiunto il quorum?), ma in parte si può dire lo stesso sul secondo quesito.

Provate a immaginare l’elettore leghista, il tipico NIMBY, che è fedelmente iscritto al Partito della Paura (in fondo la Lega potrebbe chiamarsi così), il quale a ogni sbarco di immigrati – sorry, clandestini – a Lampedusa si convince di più a votare la Lega. Quella persona lì, che basa sull’irrazionalità degli spauracchi il proprio voto, domenica scorsa è corsa alle urne, ed è corsa per votare contro il nucleare: dopo Fukushima, figuriamoci. Ed è ovvio che continuerà a votare la Lega che nutre queste sue inclinazioni al rigetto irrazionale, al conservatorismo come riflesso condizionato.

Lo ripeto: non ci sono dubbi che fra i 25 milioni di persone che hanno votato sì al nucleare, c’era una bella parte di persone di sinistra che ha deciso di votare così per legittima scelta ragionata. Ma c’erano anche tanti altri, c’era Forza Nuova che ha fatto un’aggressiva campagna per i quattro sì e non è per questo meno Forza Nuova (anzi, lo è di più), c’erano Zaia e Storace che hanno convintamente sostenuto il sì e non per questo sono meno Zaia o Storace (anzi, lo sono di più), e c’era tanta gente che ha votato contro il nucleare per l’irrazionale paura della catastrofe, e non per questo alla prossima elezione si disiscriveranno dal partito della paura, ma anzi, lo andranno a votare ancora più convinti.

Insomma, io penso che ci sia tanta Italia che ha smesso di stare dalla parte di Berlusconi fra chi ha votato “no” o non è andato a votare. Sul nucleare, specialmente, ne sono abbastanza certo: tutti i “no” che conosco erano molto informati – potreste dire lo stesso del sì? Di più: di tutti i miei conoscenti che erano per il “no” non ce n’è uno che simpatizzi per Berlusconi. Provate a chiedere al gelataio, quello con cui avete fatto mille discussioni vane, che sapete essere berlusconiano e che non riuscirete mai a convincere dell’inadeguatezza di Berlusconi, nonostante i numerosi argomenti a cui lui non ha mai risposto razionalmente: provate a chiedergli cosa ha votato al referendum. Scommettiamo che ha votato sì? Se sbaglio, ve lo offro io il gelato.

A meno che non si creda alla vecchia storia della Lega come costola della sinistra, le persone che bisogna convincere per riprendere il governo del Paese non sono quelle iscritte al partito della paura, quelle non le convinceremo mai. Ma è gente che – a torto – ha creduto in un Berlusconi innovatore, davvero liberale anziché personalista, a un personaggio meno ridicolo di quello che invece si è rivelato; e ora ha smesso, o ha iniziato a smettere, di crederci. Persone che – assieme a tante altre che non hanno mai votato Berlusconi – questo referendum l’hanno perso.

Il cuore e il pugno

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Vorrei tanto trovare il tempo di leggere questo libro:

Eric Greitens era un talentuoso studente universitario quando una domanda postagli da una donna bosniaca gli cambiò la vita. Era l’estate del 1994, lui era partito per i Balcani per lavorare nei campi profughi. Era su un treno e, quando incontrò la donna, lei gli chiese: «perché l’America non sta facendo nulla per fermare la pulizia etnica, gli stupri, le uccisioni?». Greitens pensava che fosse proprio quello che stava facendo.

«Pensavo di stare dando un vero contributo, ma quando arrivai in Bosnia mi resi conto che la domanda di quella donna era la domanda che tutti avevano in testa. Ricordo di un ragazzo, in uno dei campi, che mi disse: “non mi fraintendere. Apprezziamo questo rifugio per la mia famiglia, e apprezziamo il cibo che ci viene dato, e il fatto che ci sia un asilo, e tutte queste cose, ma se le persone davvero tenessero a noi, farebbero il possibile per proteggerci”».

grazie a Max

Le scommesse si pagano

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Ricordate la scommessa sul ballottaggio di Milano? Il premio per chi fosse andato più vicino all’esito finale era un post su questo blog sul cui contenuto non avevo facoltà di veto o modifica. Francesco D ha sbagliato del solo 0,09% e si è guadagnato il premio. Gli ho scritto:

Hai vinto. Ti spetta un post. Una sottile disquisizione politica? La foto della tua modella (o il tuo modello) preferito. Un messaggio di sensibilizzazione per la fecondazione assistita dei fenicotteri nani della Papua Nuova Guinea? Un insulto al tuo professore del liceo? Hai carta bianca.

Niente fecondazione assistita. Solo l’embedding di questo video:

Berlusconi è ‘na chiavica

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Mi sono scoperto nuclearista qualche giorno fa. Dopo averne letto il più possibile in giro, e aver confrontato varie opinioni e dati. Bisogna sempre ricordarsi che le opinioni seguono i ragionamenti, e non viceversa, perciò – trovatomi davanti a delle ragioni migliori delle mie – non ho potuto fare altro che una cosa: cambiare idea. La declinazione più precisa è che sono per il nucleare dopo le rinnovabili, cioè preferisco il nucleare agli idrocarburi perché questi ultimi fanno più male e inquinano di più. Dove sole, acqua e vento non riescono (per ora) ad arrivare voglio che arrivi il nucleare e non petrolio gas e carbone. So di saperne sempre poco, e so che è possibile che ricambi idea di fronte ad altri e migliori ragionamenti. Questo qui, però, non è un post sul nucleare, ma su Silvio Berlusconi.

Oggi l’Economist esce con questa copertina: una che dice sostanzialmente che Berlusconi è una chiavica, e ha mandato a puttane un Paese. La scelta dell’immagine è perfetta, secondo me. È la più classica di quelle facce che conosciamo bene, quando Berlusconi è impegnato nelle sue eroiche imprese da piazzista. Sta facendo una battuta, probabilmente c’entra qualche eterosessuale che è stato sodomizzato (ah-ah-ah, risate registrate), quasi sicuramente qualche donna che è stata circuita a fare del sesso (ih-ih-ih, risate registrate). È una trovata quasi dantesca, quella dell’Economist: parlare di Berlusconi con il linguaggio di Berlusconi. È proprio la sua nemesi che abbiano scelto una parola volgare, una parola berlusconiana –  a memoria direi che è la prima volta che viene usata in copertina –, un’espressione che si rifà a un gergo chiaramente sessuale e cameratesco per far passare il concetto del mandare in malora.

Con la mia nuova coscienza di nuclearista, ho fatto una nuova (vecchissima) considerazione sul fatto che – forse – la più grande colpa di Berlusconi, prima ancora che l’aver fatto cento cose indegne, è di non averne fatta una meritevole – neanche per sbaglio. Pensateci, per voi antinuclearisti la sua rinuncia al nucleare è stata una grande vittoria, per alcuni anche un sotterfugio, ma comunque il verdetto – sul campo – che una battaglia era stata vinta. Pensate cosa voglia dire per una persona, come me, che si è scoperta favorevole al nucleare, e poteva riporre qualche speranza che – almeno questo – un governo che sosteneva questa politica da ben prima di me, prendesse la propria strada.

Invece, se c’era bisogno di un’ulteriore prova – lo so, non ce n’era bisogno –, Berlusconi ha dimostrato di non avere nessun piglio politico, nessuna posizione, niente di niente che non sia il proprio interesse personale. Sei un liberale? Credi nel nucleare? Sono cose impopolari, in Italia, ma tu sei lì per questo: ti prepari, e fai la tua onesta battaglia per guadagnare il consenso. Credi nelle tue idee, e le cerchi di spiegare alle persone, provando a convincerle delle tue motivazioni. Rischi qualcosa. Sfidi anche l’impopolarità. Ripeto, sei lì per quello. Invece basta una manifestazione, come era stato per l’Articolo 18, un confronto con un qualunque rischio, che qualsivoglia iniziativa che non sia strettamente legata al suo personale interesse svanisca come un riflesso automatico. Il capitale politico speso esclusivamente per il proprio approvvigionamento.

Quando Margaret Thatcher andò al potere nel Paese in cui vivo, fece praticamente tutte le cose che chi non la voleva lì aveva temuto: liberalizzò tutto ciò che c’era da liberalizzare, affrontò i sindacati con un’aggressività indefessa e li annientò, andò in guerra contro l’Argentina – confermando tutti i timori dei suoi avversarî. Sfidò l’impopolarità, perché pensava che quelle cose fossero giuste, e in parte la storia ha dimostrato che avevamo torto noi e aveva ragione lei. Con Berlusconi non può succedere niente di simile, non potrà mai accadere che ti dimostri che aveva ragione, perché – nei fatti – non ci crede nemmeno lui nelle cose che sostiene.

Per questo trovo che la definizione dell’Economist sia perfetta, che molto più che diabolico sia un quadro ridicolo. Più grottesco che maligno. Berlusconi è ‘na chiavica. Un furbetto del quartierino assurto a furbetto del quartierone, e chissà per quanti anni – quando la nottata sarà passata – ci chiederemo come sia stato possibile. Una volta Thomas Friedman scrisse di Saddam Hussein la definizione più azzeccata: “un incrocio fra Don Corleone e Paperino”. Ci ho messo un po’ di tempo, ma ho finalmente capito che Berlusconi non è nient’altro che un incrocio fra Paperino e Paperino.

Cinque ragioni per andare al mare

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per il Post

Non avevo idee molto chiare su questi referendum, qualche tempo fa, quindi nelle scorse settimane ho letto più opinioni possibile sui quattro quesiti. Ho trovato – sai che novità – che la chiave per distinguere le persone che ragionano da quelle che non lo fanno è la più banale: chi ci ha ragionato ti spiega che sono temi complessi, e ha dei dubbi. Chi riesce ad articolare tutti e quattro i proprî voti nello spazio di uno slogan, è inutile da ascoltare per farsi un’opinione.

C’è una cosa, però, che anche tutte le persone-che-ragionano davano per scontata, talvolta con una solennità secondo me fuori luogo: che sarebbero andati a votare. Anche quelli che erano per quattro No spiegavano che andare a votare era la cosa giusta da fare, anzi, l’unica cosa giusta da fare. Nella più ragionevole, fra le recensioni che ho letto, Francesco ha formulato il concetto in un chiaro “io non baro”. Non ho incontrato una persona che dicesse «io non vado a votare per far saltare il quorum». Bene. Sono contento di questo senso civico e del rispetto delle regole, però – secondo me – rinunciare al voto non è necessariamente barare.

Difendo la scelta del non voto alle elezioni, pur non praticandola, e difendo la scelta del non voto al referendum, anche se – a questo giro – sono per andare a votare (Sì, No, No, Sì). Tuttavia, mi sembra del tutto ammissibile, e ragionevole, che qualcuno la pensi diversamente. Ci sono almeno cinque ragioni (non cumulabili) per non andare a votare:

1) La posta in gioco è troppo alta
Il dilemma etico è: voglio che sia fatta la volontà della maggioranza o che sia fatta la mia (anche contro la maggioranza)? Perché è inevitabile: ci sono alcune cose che per noi sono più importanti della legge della maggioranza. Tutti useremmo questa strategia per qualcosa che ci sta veramente a cuore. Se domani fosse indetto un referendum per instaurare la pena di morte – lo so che non funziona così, ma seguite il principio – e foste consapevoli che col vostro voto (quale che sia) la pena di morte sarebbe instaurata, andreste davvero a votare? E se non è la pena di morte a convincervi, sicuramente ci sarà qualcos’altro: la non punibilità dello stupro coniugale, l’infibulazione, la condanna a morte per gli omosessuali, etc (tutte cose supportate da più del 50% delle persone, in alcuni Paesi). Molto semplicemente: tutti valutiamo alcuni principî come più importanti del consenso. Naturalmente ognuno avrà poi una (buona/cattiva/pessima) opinione delle priorità altrui, ma questo è parte del gioco: ed è diverso pensare che qualcuno stia barando dal pensare che ha priorità che non condividiamo.

2) La posta in gioco è troppo bassa
È l’argomento opposto al precedente. Due dei quattro quesiti, due dei tre temi, nucleare e legittimo impedimento, hanno subito una variazione rispetto al momento in cui erano stati proposti, e hanno perso molto del loro significato. Il quesito sul nucleare proponeva di abolire una legge che è già stata abolita, quello sul legittimo impedimento propone di abolire una legge che è stata modificata dalla Corte Costituzionale e resa molto più digeribile. Nella pratica, per alcuni, questi due voti sono sostanzialmente irrilevanti. Chi si era interessato ai referendum in particolare per questi due temi potrebbe decidere ragionevolmente di non votare.

3) Sono contro i referendum
Molto semplicemente, si può essere contro il referendum come istituzione. Io stesso non li amo moltissimo. Altri potrebbero spingere questa diffidenza fino a volerne l’abolizione. Ci sono persone che preferiscono una forma più rappresentativa e più mediata di democrazia, una che non prevede plebisciti. Se si è contro l’istituto referendario, non si va a votare. L’ovvio auspicio è che falliscano tutti: naturalmente, qui, coerenza richiede che questo principio non venga meno alla prossima consultazione.

4) Sono contro questi referendum
Ad altri possono piacere i referendum ma non quando sono fatti su argomenti così tecnici che richiedono competenze che il grande pubblico potrebbe non avere. In effetti, in questi giorni, ho sentito più di una persona lamentarsi del fatto che tutti sono diventati degli esperti di fisica nucleare o di management delle risorse idriche. Queste cose, si dice, vanno lasciate agli esperti (quelli veri). È da notare che la persona che non va a votare in opposizione a un referendum su questo tema, può benissimo essere la stessa che pensa di non saperne abbastanza, in un certo senso a maggior ragione.

5) I promotori hanno barato
L’argomento segue questo corso: non si è giocata una battaglia onesta – il fronte dei “sì” ha mentito sia sull’acqua che sul nucleare, facendo passare slogan non veri, e la partita non si gioca in campo neutro. Tante persone andranno a votare pensando che si stia davvero votando per l’acqua pubblica o per l’energia “verde” . In realtà si discute, gli altri lo sanno, della gestione dell’acqua (l’acqua, naturalmente, rimane pubblica). Come ha scritto Pietrino, fare campagna per “l’acqua pubblica” è come se dall’altra parte si fosse fatta campagna contro la “nazionalizzazione dell’acqua”. Allo stesso modo, associare il rifiuto del nucleare alle energie rinnovabili è una scorrettezza. Tutti sono per le rinnovabili, la scelta è fra nucleare e idrocarburi. Il nucleare ha diversi problemi irrisolti, quello delle scorie prima di tutto, come riconoscono anche i fautori: quello che sostengono è che petrolio gas e carbone inquinino di più. Dipingerla come una battaglia per le energie rinnovabili e contro l’energia sporca è una menzogna, perché il rifiuto del nucleare passa necessariamente attraverso una predilizione degli idrocarburi. Come ha ben sintetizzato Stealthisnick, “il punto è che per [gli antinuclearisti] le rinnovabili dovrebbero diminuire la quota del nucleare, mentre [per i nuclearisti] dovrebbero diminuire la quota degli idrocarburi”.

Insomma, non tormentate il vostro amico che ha deciso di non andare a votare e ve ne spiega per bene le ragioni. E, soprattutto, risparmiateci la battaglia degli avatar su Facebook!

Scienziati e clero

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Traduzione in fondo.

«Funziona così» «No no» – «Funziona così, e ne ho le prove» «No no» – «Funziona così, e ho delle prove straordinariamente convincenti» «No no» – «Funziona così e ho prove talmente staordinariamente convincenti che sta diventando un problema di credibilità per te» «No n...ehm, aspetta un momento: fammi vedere» – «...» – «...» «Non è magnifico il disegno di Dio?»

Unreasonable Faith