Riconciliazione

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Oggi nel Regno Unito è un giorno importante e denso di significato: in questo momento si sta tenendo l’ultima marcia di protesta per la commemorazione del Bloody Sunday, il giorno di trentanove anni fa in cui l’esercito britannico sparò sui dimostranti indipendentisti a Londonderry – uccidendone quattordici.

Sei mesi fa si è conclusa l’inchiesta – indetta addirittura dodici anni fa da Tony Blair con il fine di accertare i fatti – che ha inequivocabilmente mostrato le responsabilità dei militari: i primi a sparare, e contro persone che non recavano loro alcuna minaccia. L’innocenza di quei ragazzi è sempre stato uno dei punti cruciali reclamati nella manifestazione tenutasi ogni anno nell’anniversario di quel giorno.

È davvero commovente il video della piazza di Derry che, sei mesi fa, ascolta il primo ministro inglese scusarsi con parole chiare e forti: «quello che è successo è ingiustificato e ingiustificabile (…) il governo è in definitiva il responsabile per la condotta delle proprie forze armate, e per questo a nome del governo, effettivamente a nome del Paese, chiedo profondamente scusa»:

Quell’atto di riconciliazione è stato fondamentale per chiudere un capitolo, e ora – quasi quattro decenni dopo – non c’è più bisogno dell’annuale manifestazione del 30 gennaio. Era una domenica anche quel giorno.

Egitto

Dice bene Luca Sofri:

Se solo non si fermassero per pregare ogni paio d’ore e smettessero di gridare “Allah è grande”, mi sentirei più solidale ancora.

Speriamo non finisca come in Iran trent’anni fa.

Oggi in Medio Oriente

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Oggi a diversi angoli del Medio Oriente (e Nord Africa) – la regione del mondo con più dittature e meno diritti – stanno succedendo tante cose, tante manifestazioni: in Tunisia ci sono manifestazioni contro il nuovo/vecchio governo, in Egitto decide di migliaia stanno protestando contro Mubarak, in Libano i manifestanti stanno protestando contro il nuovo governo messo in piedi da Hizballah.

Il Guardian sta facendo una diretta, congiunta, di tutto quello che sta succedendo. È un giorno di grande speranza, ma anche di grande paura sia per quello che può succedere ai manifestanti sia per quello che può venire fuori dalle manifestazioni, specie in Egitto.

Come augurio, posto questa foto che potrebbe diventare l’emblema delle manifestazioni dei giorni scorsi in Tunisia:

Un commento ai Palestine Papers: le colpe d’Israele

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Sono trapelati dei documenti segreti sulle discussioni di pace in Medio Oriente. I documenti sono di origine palestinese, e raccontano gli ultimi trattati di pace dalla loro prospettiva.

Sul Post c’è una sintesi molto chiara che vi consiglio. Le cose più importanti che sono venute fuori possono essere derubricate sotto tre capitoli:

1) la vicinanza di USA (e Inghilterra) a Israele
2) la doppia faccia dei leader di Fatah, “amici” degli israeliani in privato e nemici in pubblico
3) la disponibilità dell’ANP a inedite concessioni sul rientro dei profughi e, soprattutto, Gerusalemme

Mentre il primo punto era noto a tutti e il secondo punto era una malalingua che necessitava solamente di una conferma (ciò non toglie che causerà non pochi problemi all’ANP), il terzo punto è di una rilevanza enorme.

Le concessioni sui profughi se le aspettavano tutti e, per quanto l’opinione pubblica palestinese non sia d’accordo, è l’unica strada percorribile: far immigrare 6 milioni (o 4 e mezzo) di persone, soltanto il 5% delle quali abitava nell’attuale Israele, significherebbe la fine d’Israele ed è perciò una condizione che non accetteranno mai. C’è però da dire che i numeri del rientro simbolico proposto erano nettamente favorevoli a Israele: si era sempre parlato in termini di 100 o 150 mila persone in dieci anni, l’ANP aveva offerto un limite a 5 o 10 mila. Difficilmente un rientro simbolico potrebbe essere più simbolico di questo.

Su Gerusalemme, e più in generale sulle colonie, la situazione è ancora più significativa. Il mantra israeliano è sempre stato “a Camp David-Taba 2000-1 vi abbiamo offerto tutto, e avete dimostrato di non volere la pace”. Naturalmente le cose sono un po’ più sfumate di così, ma il nocciolo aveva  senso. Il problema è che, stanti queste nuove rivelazioni, negli ultimi anni e in particolare nel 2008 la leadership palestinese è andata molto vicina a fare, lei, le proposte che erano state fatte dagli Israeliani (o dall’amministrazione Clinton) a Camp David-Taba.

Molto semplicemente: dai palestinesi non ci si può aspettare di più. Una tale flessibilità non si era mai riscontrata durante il processo di pace – Qurei dice proprio «è la prima volta nella storia che facciamo queste concessioni». In tal senso la conclusione di Camp David può essere ribaltata: questa è la dimostrazione che Israele non vuole la pace. È come se, dal 2002, Israele avesse deciso che parlare del processo di pace fosse inutile – “diamogli stabilità e crescita economia e si accontenteranno”, sembra essere la filosofia di Netanyahu. Come se, dalla costruzione del Muro e dalla conseguente fine (virtuale) degli attentati suicidi, gli israeliani considerassero i palestinesi sprovvisti di qualunque merce di scambio. In altre parole, come se Israele non fosse interessata alla pace.

Gli esiti di queste pubblicazioni non sono così prevedibili come sembrano dire tutti: mentre è vero che Hamas guadagnerà enormemente in consenso, quale sarà la risposta israeliana non è chiaro. L’opinione pubblica – sempre terrorizzata dalla questione demografica – potrebbe considerare questa come una grandissima occasione mancata, spingendo il proprio governo verso una posizione più dialogante. L’augurio è che gli israeliani non debbano, in futuro, pentirsi del cinismo dimostrato dai proprî governanti – ma anche l’opinione pubblica, almeno nella media, ha le sue colpe per questo atteggiamento assieme rinunciatario e arrogante.

Quanto al fronte palestinese è un disastro. Il 99.9% delle persone non è d’accordo con queste concessioni – la grande maggioranza non è d’accordo con l’esistenza d’Israele, figuriamoci – e anzi le considera oltraggiose: Hamas griderà, sta già gridando, a Fatah come ai traditori del popolo palestinese e ne otterrà ulteriore consenso. Fatah subirà una bella botta, così qualunque moderato.

Rispetto alle prime fasi post-rivelazioni ho progressivamente cambiato idea: l’ANP era pronta a fare delle concessioni certamente impopolari, forse tradendo il proprio mandato, ma se quella era l’unica via per la pace, occorreva percorrerla. Sono i paradossi della storia: se Abu Mazen fosse riuscito a raggiungere la pace, lo staremmo celebrando come un vincitore – un eroe della pace – come era stato per Sadat. Non ci è riuscito, e questo ne farà uno sconfitto, attirandogli ulteriore impopolarità. Ma non ha perso solo lui: abbiamo perso tutti, Israele per primo.

*** L’offerta sarebbe stata di tutti gli attuali insediamenti intorno a Gerusalemme est, a eccezione di Har Homa e quelli che costeggiano la green line. Come detto, mai nessuna leadership palestinese aveva offerto così tanto. Certamente rimanevano questioni da discutere, anche sulle colonie: ciò che viene detto da Condoleeza Rice – ovvero che nessun governo israeliano cederà mai Ma’ale Adummim – è una verità che tutti sanno (35 mila persone a pochi km da Gerusalemme); diverso il discorso per Ariel, 20 mila persone nel bel mezzo della Palestina, che – si è detto talvolta – sarebbe servita agli israeliani come moneta di scambio per la rinuncia ad altre concessioni. Ma ci si può lasciare sfuggire un’occasione così.

Razzismi

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Ci sono due modi in cui nel corso dell’ultimo mezzo secolo abbiamo smesso di trattare le persone come cittadini. Uno è attraverso il razzismo. Il razzista dice «non sei un cittadino, non hai pieni diritti in questa società perché hai un diverso colore di pelle, sei uno straniero» etc. Il secondo è il multiculturalismo. Il multiculturalista dice «ti trattiamo non come individuo e cittadino, ma come mussulmano, hindu, sikh, o nero».

L’ironia è che il multiculturalismo era stato sviluppato come tentativo di combattere i problemi creati dal razzismo; ma ha ricreato molti degli stessi problemi trattando le persone non come cittadini ma come membri di gruppi, e formulando delle politiche in relazione a quei gruppi e non alle necessità di ciascun individuo.

Con le ali sotto i piedi

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Ve lo ricordate Paolo? Quello che era andato a piedi da Terni a Cambridge, la Francigena Contromano? Bene, è ripartito. Invece di andare a piedi, però, si è provvisto di un altro mezzo. Questo:

Lo scooter anziché i piedi? La prossima volta prenderà il treno? Sarà invecchiato? No, posso rassicurare tutte le sue fan – ne ha tante anche su questo blog – che l’ultima volta che l’ho visto era belloccio come sempre e come il sole.

Per ora torna a Cambridge, passando per un’altra via. Poi – sfuggente com’è – ne farà cento altre. Questa volta lo potete seguire dall’inizio: il feed è qui.

Bambini che provano la tecnologia di vent’anni fa

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Io sono quasi un nativo digitale, nel senso che ho avuto computer o simili fin dall’infanzia. Credo che il mio primo computer sia stato un 286, e dovrò avere avuto intorno ai sei o sette anni. C’è stato un momento in cui, sul computer, avevo praticamente tutti i giochi che fossero stati mai creati.

Sono passati vent’anni, per alcuni degli oggetti anche trenta, e molte di quelle cose non esistono più. In questo video dànno la parola all’esperto, cioè a dei bambini che hanno 6 o 7 anni ora, chiedendo loro che diavolo siano quegli oggetti lì.

E poi mi è venuto in mente: ma ci pensate che un giorno si perderà completamente la nozione che l’icona usata per salvare nella maggior parte dei programmi è un floppy?

grazie a Ilaria

Che di berlusconismo ne ho già abbastanza

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Quando il fumo di questa guerra civile si sarà abbassato, e torneremo a vedere le cose più lontane del nostro naso, ci ricorderemo – spero – che non c’è nulla di male nella prostituzione, che due persone consenzienti possono fare del sesso quando vogliono soldi o non soldi, che il limite della maggiore età per stabilire quando una persona è consenziente è un limite necessario ma artificiale, che – come uno non impara di botto a guidare a 18 anni e un secondo – c’è una differenza fra una bambina di undici anni e una ragazza di diciassette e tre quarti.

Ci ricorderemo – spero – che la rispettabilità di quella ragazza non è stata offesa da questa vicenda («andate a marchiare qualcun altro», vi risponderebbe!); che né la dignità sua né quella delle mille altre coinvolte può essere intaccata dall’aver fatto sesso con un anziano per soldi, perché non c’è nessun concetto di dignità che possa essere associato al sesso. Non c’è nessun legame, come ce n’era soltanto nei giorni bui del castigo dei costumi, i giorni che si vivono tutt’oggi nei Paesi dove la dignità di una donna è fondata sulla sua castità e adempienza all’immaginario del maschio patriarcale di cui Berlusconi e il suo “piacere per la conquista” è il primo e il più rivoltante esempio.

Ci ricorderemo – spero – che quella ragazza non è indecente, come penserebbe Berlusconi, per aver ricevuto soldi in cambio di sesso, ma per averne ricevuti in cambio di bugie. Che, come scriveva Bordone, “il corpo è suo, può fare intravedere le tette a chi vuole. E se siamo davvero dei progressisti, in questa vicenda dobbiamo difendere con fermezza un solo diritto fondamentale: quello di Ruby a fare quello che le pare con chi desidera. Qualunque valutazione sul suo comportamento, qualunque giudizio in merito, è moralista, colonialista, peloso, pretesco, maschilista”.

Ci ricorderemo – spero – che il motivo (che ne racchiude i mille altri) per cui è triste sporco e disarmante che Berlusconi sia alla guida del Paese non è nell’aver commesso un reato, peraltro piuttosto veniale, in nome di una legge introdotta al tempo da questa maggioranza bacchettona e che tutti noi avevamo giustamente criticato. Ma che l’oscenità è quella delle espressioni più luride, del meglio donnaiolo che frocio, delle donne nel carnet come titolo di merito; dell’idea ridicola per cui dovremmo essere invidiosi di questa miseria, delle menzogne continue a cui aggiunge sempre un implicito “e se anche fosse… sono un figo perché ho scopato”, neanche avesse tredici anni.

Ci ricorderemo – spero – che Silvio Berlusconi è un personaggio disgustoso perché è l’incarnazione perfetta di quella mentalità fatta di una simile “concezione dozzinale e meschina del rapporto uomo-donna, dell’ironia da caserma fascista. Del suo essere portatore insano e orgoglioso di quell’insieme di sessuofobia e sessuomania che è quella malintesa virilità, il latin lover nella peggiore delle accezioni di questo concetto: quello che ha paura del sesso e se ne vergogna, la considera una cosa insana, ma al tempo stesso ha un’ossessione; la mente sempre puntata lì all’infrazione della norma – ovviamente soltanto nelle orecchie degli amici al bar, che ascoltano le tronfie spacconerie di un millantatore in punta di cazzo”.

Spero tutte queste cose, perché altrimenti l’inesorabile giorno in cui finalmente Berlusconi sarà finito, lascerà un’Italia plasmata dalla sua immagine, come temo che accadrà sulla giustizia. E non parlo delle televisioni, ma di un Paese uniformemente reazionario, dove i progressisti sono diventati codini conservatori, lasciando i codini conservatori tali e quali, abituati come sono alla loro doppia morale. Qualcuno ce ne scampi, ché non voglio vivere con le conseguenze – contrarie e uguali – del berlusconismo per altri cinquant’anni.