Ieri ho postato su Facebook questa foto, ho scritto: “L’unica persona che conosco che riesce a portare sulle spalle il mio peso e quello del mondo (non so quale dei due sia più pesante!) mantenendo il sorriso. Buona fortuna Maestro Firas, per la tua nuova vita”. Firas è partito per Atene, dove starà un mese prima di prendere un volo per la Svezia, il suo Paese di destinazione.
È quello che sta succedendo in questi giorni a molti siriani che sono arrivati qui in Grecia prima del 20 marzo del 2016, quando l’accordo fra la Turchia e l’Europa è entrato in vigore. Gli afgani e le persone arrivate dopo quella data non hanno questo diritto e devono chiedere asilo in Grecia. Ma, almeno per i siriani che erano a Katsika, qualcosa si muove. Molti di loro hanno ricevuto la loro chiamata e altri la riceveranno nelle prossime settimane, dopo 15 mesi in uno stato di perenne attesa. Chi invece ha un parente di primo grado in Europa (figlio minorenne, marito o moglie), per la gran parte in Germania, e ha fatto domanda per il ricongiungimento familiare dovrà aspettare ancora moltissimo. È di pochi giorni fa la notizia che la Germania accetterà soltanto 70 persone al mese per i prossimi anni per il ricongiungimento familiare, a questo ritmo dovranno aspettare anche tre anni prima di tornare a vivere con le persone cui vogliono bene. Provate a immaginare cosa vuol dire essere separati dalle persone che si amano per più di quattro anni.
Almeno per le persone come Firas, però, questa lunga attesa – che è come una drammatica e del tutto casuale chiamata alle armi, per chi suona la campana – sta arrivando al termine, e questa è una bella notizia. Firas era il direttore della scuola del campo di Katsika, un’esperienza molto importante che ha dato a tutti i bambini che erano nel campo la possibilità di continuare con la loro educazione quando, per tanti mesi, non c’era alcun supporto dalle grandi organizzazioni o dallo Stato greco. Firas era quello che si svegliava la mattina e andava a suonare la campana della scuola per il campo. Firas era la persona che organizzava gli incontri con gli insegnanti, molti volontarî ma soprattutto molti abitanti del campo, che provavano a dare un po’ di normalità a quei bambini. Firas era l’anima di quella scuola. Più di tutto il resto, Firas è ormai un amico.
Non ho mai visto Firas triste. L’ho visto sorridere, come scrivevo. L’ho visto arrabbiato, qualche volta; l’ho visto scherzare, giocare, prendersi in giro. Ma no, non l’ho visto mai triste, nonostante tutto, nonostante mesi e mesi di vita in una tenda. E ovviamente non l’ho mai visto piangere, neppure di gioia, quando è nata sua figlia Mary, la sua primogenita, una delle bambine nate nel campo profughi di Katsika. L’ho visto piangere ora, per la prima volta, quando sono andato a salutarlo prima che prendesse il bus per Atene. Gli ho portato la campana della scuola – la si vede in quel sacchetto nella foto – che avevo conservato per lui. Quando ha aperto il sacchetto e l’ha vista è scoppiato in lacrime, immagino quanti ricordi gli siano passati davanti. Gli ho promesso che lo andrò a trovare in Svezia e, insieme a Mary, suoneremo quella campana.
p.s. In molti mi hanno chiesto cosa sto facendo io ora che il campo ha chiuso, in questi mesi abbiamo cominciato un piccolo progetto assieme a un gruppo di volontarî che era a Katsika, presto ne scriverò!