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Francesco fa un post in cui spiega perché le obiezioni sull’illegalità – sull’incostituzionalità – della guerra in Libia non stanno in piedi, in particolare l’obiezione alla partecipazione dell’Italia nel conflitto. Leggendolo mi è venuto un dubbio sull’interpretazione dell’ultima parte dell’Articolo 11 (quella sulle limitazioni della sovranità), così sono andato a studiarmelo un pochino.
Vediamolo tutto:
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
La guerra, quindi, si rifuta – ripudia – in due casi:
1) come “strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, dove semmai in Libia le libertà si punta ad accrescerle;
2) come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, e quello che stava succedendo in Libia non era certamente una controversia internazionale.
In sostanza, ciò che si ripudia è l’utilizzo della guerra per la conquista di altre terre (come era scritto in una prima redazione dell’articolo).
In Libia è stato tutto il contrario: si è intervenuti con una risoluzione delle Nazioni Unite che specificava chiaramente la tutela dei civili libici quale unico cardine attorno al quale muoversi (e difatti è stata criticata per questo).
Nella seconda parte dell’Articolo 11, invece, si chiarisce quando la guerra è consentita. È importante notare che “consente” è un verbo sia transitivo che intransitivo, qui usato nella sua forma intransitiva (un po’ più arcaica, con un significato del tutto simile al più comune “acconsente”): e difatti si dice che l’Italia “(ac)consente ALLE limitazioni” non “consente LE limitazioni”, come sarebbe se s’intendesse “consente/approva” anziché “consente/acconsente/permette”. Perché è importante? Per capire la frase successiva.
L’Italia acconsente “alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Le limitazioni in questione si riferiscono alla sovranità italiana, non a quella degli altri Paesi – come non avrebbe senso nella Costituzione italiana. L’unico vincolo imposto, difatti, è quello delle “condizioni di parità con gli altri Stati”, il cui soggetto è chiaramente l’Italia, la quale accetta le limitazioni della propria sovranità, a patto che non sia in una condizione subalterna (un esempio recentissimo della messa in pratica di questo principio è la bocciatura da parte dell’Unione Europea del reato di clandestinità: perché la Corte di Giustizia europea può bocciare una legge italiana? Perché l’Italia, in condizione di parità con gli altri Stati, ha acconsentito a questa limitazione della propria sovranità).
Quindi quand’è che in materia di guerra e pace l’Italia acconsente alla limitazione della propria sovranità? Proprio, come è specificato nella frase successiva, nel “promuove[re] e favori[re] le organizzazioni internazionali rivolte a[llo] scopo” di garantire “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Il riferimento alle neonate Nazioni Unite, o all’appena defunta Società delle Nazioni, è chiaro.
Tradotto in rustica romana lingua, dunque, l’articolo 11 è perciò favorevole due volte alla partecipazione italiana in Libia: la prima, quando dice che ripudia le guerre mirate a conquistare e violare le libertà, e la seconda quando dice che accetta di limitare la propria sovranità in questioni di guerra e pace, quando a domandarlo sono gli organismi come le Nazioni Unite: che è esattamente quello che è successo in Libia.