Qualche riflessione sul manifesto di Breivik

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Ho impiegato un po’ di tempo, in questi giorni, nel leggere diversi stralci e commenti al manifesto di Breivik, ne ho tratto qualche considerazione non risolutiva:

* La cosa che mi ha colpito di più è quanto questo documento assomigli a quelli di Hamas. Naturalmente ha dei tratti in comune con tutte le destre del mondo, ma l’equivalenza con Hamas è davvero notevole. Il suprematismo religioso, l’ultraconservatorismo sociale, il vincolo alla propria – statica – cultura, l’ossessione complottista, la sindrome d’accerchiamento, la fobia per l’invasione, il rifiuto del progresso, lo spregio per omosessuali ed emancipazione femminile etc. Davvero, sostituendo con l’equivalente un paio di parole chiave (Israele, Cristiani, Templari), sembrano scritti dalla stessa mano. Naturalmente, come sottolinea il mio amico Marco, la differenza è nel seguito che Breivik e Hamas hanno.

* In questo senso l’accostamento politico-religioso con Hamas, e soprattutto con l’Hamas più recente, è più preciso che quello con Al Qaida o con altre organizzazioni del fondamentalismo islamico che hanno un progetto prevalentemente religioso. Breivik ha compiuto un’azione prevalentemente politica, mossa dal suo spaventoso progetto di società. Il movente non è stato religioso, almeno non in senso stretto: non in molti l’hanno notato, Breivik non ha ucciso un mussulmano o un immigrato, ma ha ucciso dei ragazzi del partito laburista, come Hamas non uccide gli israeliani perché ebrei ma perché israeliani (naturalmente Hamas è antisemita e Breivik odia mussulmani e immigrati, ma non è la condizione autosufficiente).

* Per onestà, devo riconoscere che il mio primo pensiero “ah, vedi che anche i fondamentalisti cristiani fanno gli attentati!” non era molto accurato. Breivik non è un fondamentalista religioso, almeno non nel senso comune che diamo a questo termine: si definisce più volte una persona che crede in Dio ma “non particolarmente religiosa”, dice di non avere una relazione personale con Cristo, e suggerisce addirittura di aver considerato in passato la religione come un rifugio per persone deboli. Insomma: certamente un cristiano, ma non quello che generalmente intendiamo per fondamentalista religioso. È invece ossessionato dall’ideale identitario della religione (“sono culturalmente, socialmente, identitariamente e moralmente cristiano e perciò mi definisco tale”), come una sorta di nuova etnia (in questo senso, si avvicina di più a un razzista), un Sacro Romano Impero, un’Europa arcirinchiusa sulle proprie “radici cristiane” contro il nuovo impero Ottomano.

Non ho molte conclusioni da trarre da queste osservazioni: continuo a pensarci su.

Le piroette di Borghezio e Magdi Allam

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Questa faccenda dell’attentatore norvegese sta replicando nella destra tutte le dinamiche che troviamo nella sinistra scema quando c’è qualche attentato terroristico fatto da mussulmani. In qualche modo, la ragione è sicuramente nella percezione di una sorta di contiguità ideale o causale (cioè la causa che si combatte) con l’autore di quell’atto di terrorismo.

È una cosa che dimostra come il dibattito politico sia mosso, con poche eccezioni, dalla partigianeria. Se lo stesso atto deprecabile viene compiuto da un “amico”, la valutazione che se ne dà cambia completamente, non solo vengono date attenuanti, ma si cercano giustificazioni al di fuori del “proprio” bacino d’idee. Insomma, come farsi guidare dalla bandiera, invece che dalla bussola della propria idea.

Così vediamo Borghezio che suggerisce un cui prodest complottista. Visto che Breivik ha idee molto simili alle sue e la strage le ha obiettivamente screditate, allora si sottolineano “le numerose stranezze esecutive” della strage “realizzata da un individuo lasciato agire impunemente da solo” che fanno “molto pensare”. E fanno pensare “alle finalità oscure di quelle forze mondialiste a cui interessa criminalizzare certe idee”. La riconoscete, è precisamente la lingua di quei rintronati dei cospirazionisti (o, più propriamente, clinicamente malati) per i quali gli attentati del terrorismo islamico sono compiuti dalla Cia.

Un altro esempio di piroetta è quella di Magdi Allam, solitamente grande fautore della responsabilità individuale, che sostiene che Breivik fosse esasperato dal multiculturalismo, ed è la società in cui vive che l’ha portato a questo gesto inconsulto. Precise precise le giustificazioni che non accetterebbe mai – a ragione – come giustificazione del terrorismo islamico.

In sostanza, se tu pensi VivaLeMele e non ti piacciono gli AbbassoLeMele, e uno che pensa VivaLeMele come te fa una cosa sbagliata, la spiegazione è nel fatto che sia tutto un complotto di quelli di AbbassoLeMele per screditare VivaLeMele oppure è la diffusione delle idee di AbbassoLeMele ad aver portato un VivaLeMele a compiere quegli atti. In ogni caso, non è mai colpa tua.

Completamente scemi

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Attraverso un mio contatto su Facebook scopro questo commento dell’aggregatore molto seguito Informare per Resistere, che nel provare a commentare la strage norvegese in chiave anti-israeliana fa uno di quegli autogol che bisogna essere del tutto accecati dall’ideologia per non notare, prima di scrivere una roba del genere.

Cioè: stanno sostenendo che un terrorista (poi, kamikaze?) che lotta per una causa, macchia di violenza e delegittima tutti coloro che combattono, anche pacificamente, per la stessa causa? No davvero, lo dico da volontario che ha lavorato in Palestina, ma sono completamente scemi?

Berlusconi solo con la esse

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Questo tipo di giochi linguistici mi diverte molto. Qualche tempo fa avevo imparato a memoria  i monovocalici in O (ho l’orto) e in I (vidi i ciclisti) di Gianni Micheloni. Così mi sono appassionato anche a questo racconto allitterato, Silvio’s Super Story, ad opera di Francesco Linguiti, ne riporto una parte ma cliccate sul link per leggere il resto. Anzi: Scopro soltanto sommario stralcio. Se sognate sapere seguito, seguite subito spingendo su “Silvio’s Super Story”

Stati stranieri sghignazzano scrutandoci stupiti: “Sono senza speranza”. Sembrerebbe sufficiente, sebbene, sorpresa sorpresa, seguono scandali sessuali. Soubrette scosciate si scoprono senatrici, segretarie sotto scrivanie si scoprono sottosegretarie. Si sa, Silvio si sdebita spartendo seggi, sebbene smentisca spudoratamente. Sua sposa, stufatasi, si separa. Silvio si scatena: seduce signorine sussurrando “Sono scapolo, sono settantenne, sono soldi”.  Scopre squillo Sahariana sedicenne: sono serate straordinarie. Senonché sbirri sgamano suddetta squillo scippare sua socia, subito Silvio sollecita scarcerazione. Stampa si sbizzarrisce.

Segnala Saverio

Terrorista

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Coloro che oggi lamentano l’ipotesi islamista come un pregiudizio non sanno cosa sia un pregiudizio. Non parlo delle critiche a chi l’ha scritta sui giornali prima di averne le conferme, quello è cattivo giornalismo. Parlo della prima ipotesi che abbiamo fatto, noi tutti, quando abbiamo saputo della bomba e della rivendicazione farlocca del gruppo qaedista. Un pregiudizio è una convinzione radicata – irrazionale e non basata su prove o ragionamenti – spesso formata su una paura, senza possibilità di cambiare idea.

Ipotizzare che una bomba in una capitale europea è opera del terrorismo islamico è semplicemente la più ragionevole delle ipotesi, valutando il passato recente di questi episodî e l’ideologia che lo supporta. Quando picchiano un omosessuale a Roma, la prima ipotesi che ci viene in mente è che sia qualcuno legato al neofascismo: e questo mica vuol dire che abbiamo un pregiudizio nei confronti del neofascismo. Se domani sparano a Mina Welby – “Dio” la conservi –, la prima ipotesi che formuleremo sarà che il colpevole sia qualcuno legato all’estremismo cristiano, e questo ben sapendo che ciò non investe di sospetti il nostro giornalaio che ha il poster di padre Pio attaccato nel chiosco. Anzi, chi è ansioso di scagionare la categoria “terrorismo islamico” perché pensa così di scagionare Ahmed, il fruttivendolo sotto casa, è il primo che investe quel legame di legittimità.

Tuttavia, c’è un’altra cosa che potrebbe denotare un pregiudizio nelle reazioni di queste ore. Non è l’uso del termine islamico prima, ma il mancato uso del termine terrorista poi – quando si è scoperta la diversa matrice dell’attentato. Il terrorismo è l’uccisione indiscriminata di civili (quindi, al di fuori della mente criminale, innocenti) per perseguire scopi ideologici. Non c’è dubbio che Breivik sia un terrorista e abbia fatto un atto di terrorismo (mi ricorda un po’, sul fronte opposto, la renitenza all’uso del termine “terrorista” nei confronti di Hamas). C’è l’uccisione indiscriminata e ci sono gli scopi ideologici, nei quali la religione viene prima della politica che viene a sua volta prima della religione, in un circolo vizioso che abbiamo oramai imparato a conoscere e che è, quasi sempre, il sottobosco in cui fiorisce il terrorismo e le ideologie che a esso sono intrecciate.

Perché i radicali (e tutti gli altri) hanno fatto bene

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Una delle conseguenze dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Papa è stata la nascita di una piccola polemica rispetto alla scelta dei radicali di votare a favore del procedimento. L’accusa è quella di aver tradito il costitutivo garantismo che, da sempre, contraddistingue la “galassia radicale”. Secondo me, invece, hanno fatto bene. Cambiare idea non sarebbe un peccato, ma – comunque – non ci vedo nessuna resipiscenza legalitaria.

Le posizioni che critico sono questa questa e questa, che hanno stimolato un piccolo dibattito, e ho visto linkate da diverse persone di cui solitamente condivido l’approccio su questioni di giustizia. L’argomento segue questo filo: le ragioni per l’arresto cautelativo devono (dovrebbero) essere tre: il rischio di fuga, che onestamente non c’è. Quello di reiterazione del reato, neanche. E quello di inquinamento delle prove, su cui si può discutere. Secondo questo ragionamento, mancando – a parere dello scrivente, ma anche dei parlamentari – queste evidenze, mancano le ragioni per l’arresto cautelare. Perciò i parlamentari (radicali e non) hanno sbagliato ad autorizzare la richiesta.

Io ho un’enorme attenzione a questo genere di abusi, all’utilizzo a tappeto della custodia cautelare anche quando essa – a norma di Codice Penale – non avrebbe senso di esistere. Penso che sia una cosa incivile, e che andrebbe affrontata con veemenza. Il problema è che non è di questo che stiamo parlando. E, credetemi, ciò non ha a che fare col fatto che Papa sia del PDL: varrebbe la stessa, identica, cosa se fosse di qualunque altro partito.

I parlamentari non erano tenuti a votare sulla veridicità delle accuse o sulla validità delle misure cautelari – quello è il compito della magistratura, si chiama separazione dei poteri – e difatti non si è votato sull’arresto di una persona ma su un’autorizzazione a procedere. Erano tenuti a valutare se si fosse verificato il famoso “fumus persecutionis”, se le ragioni di questa incriminazione fossero di natura squisitamente politica. È la ragione per la quale l’immunità parlamentare esiste: essa non depaupera il potere giudiziario delle proprie prerogative per consegnarle a quello legislativo. Ma tutela gli eletti dal popolo da potenziali tentativi d’ingerenza della magistratura mirati a sovvertire la legittima azione politica, anziché all’accertamento dei fatti. In questo senso, la separazione dei poteri è esattamente il fulcro della democrazia (non sto dicendo che l’Italia è una dittatura, non sono scemo: sto dicendo che mescolare potere giudiziario e potere legislativo lede le garanzie dello stato di diritto, ed è perciò contrario alle procedure democratiche).

Io non ho un’opinione precisa sulle procedure d’immunità parlamentare: non le considero la vergogna che le considerano in tanti, e sono consapevole che esistono in diversi Paesi civili proprio per tutelare la separazione dei poteri. Tuttavia, se pensiamo che esse abbiano una ragione di esistere, in qualità di tutela dell’autonomia del Parlamento, non possiamo lamentarci che non vengano usate come non devono essere usate – facendole diventare esattamente ciò che coloro che le considerano misure antidemocratica accusano essere: un modo per conferire il potere giudiziario a quello politico.

 

Gli scacchi definitivi

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Li voglio!

Spesso si usa il cliché degli scacchi per definire una situazione strategica complicata: questa guerra è una partita a scacchi. E se fossero gli scacchi a fare la guerra?

Quando la regina è davvero la regina! (quella talebana un po’ meno). Nella versione americana, invece, le torri sono – ehm – le Torri Gemelle.

E se vi sembrano troppo guerreschi, non avete visto questi.

Cos’è il populismo (o forse il qualunquismo)

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Da qualche tempo rifletto su quale sia la precisa definizione di populismo. È una cosa che tutti sappiamo individuare, ma è più difficile da circoscrivere dentro a un determinato set di caratteristiche, ed è perciò ambigua. In fondo si può essere accusati di populismo qualunque cosa si dica.

Sappiamo tutti quali sono le caratteristiche che non apprezziamo nel leggere o ascoltare qualcosa: se è egoista, menzognero, semplicemente falso, stupido, illogico, e così via. Sono tutte definizioni che vogliono dire qualcosa di preciso, e possono essere giudicate pertinenti o meno in quanto tali.

Sono giunto alla conclusione che la caratteristica principe del populismo è l’esprimere un concetto che è condiviso da chiunque, ma che nella percezione dell’interlocutore non lo è. Ho provato a fare una controprova con varie cose populiste che mi venivano in mente e mi sembra funzionare. Insomma: se non c’è nessuno che contraddirebbe quello che state per dire, non vale la pena dirlo.

Sono tutti uguali, noi con loro

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Se avete speso un paio d’ore lontani dall’ombrellone, vi sarete imbattuti nel nuovo caso d’indignazione popolare “I segreti della casta di Montecitorio”, sedicente transfugo del Palazzo che “Licenziato dopo 15 anni di precariato in quel palazzo, h[a] deciso di svelare pian piano tutti i segreti della casta”.

Di considerazioni ne sono state fatte molte, principalmente incentrate sulla veridicità o meno del personaggio. Non è un tema che mi appassioni particolarmente, ma c’è un aspetto collaterale di questo novello successo che, secondo me, vale la pena analizzare. È un pensiero che è, in qualche modo, la prosecuzione naturale della riflessione che ne fa Luigi Castaldi:

Alla denuncia di Raffaele Costa [autore de L’Italia dei privilegi] mancava il detonatore: era una delazione, ben più dettagliata e documentata delle quattro rimasticature di Spider Truman, ma a farla non era un licenziato, un trombato, un estromesso. La delazione mancava di un elemento psicologico essenziale: l’intento vendicativo.

Questo aspetto è particolarmente interessante, e riecheggia un tema a me particolarmente caro, quello della presunzione di colpevolezza, del dare per scontata la malafede, del – come dico spesso – misurare gli altri con il proprio metro.

Ci si aspetterebbe, in un Paese migliore (o soltanto più normale), che l’intento vendicativo – il parlare soltanto quando e perché estromessi da un sistema immorale – fosse una macchia sulla credibilità, una pregiudiziale sulla buona fede del personaggio: la certificazione che la persona in questione non è genuinamente contro gli ingiusti privilegi, visto che lo è soltanto quando non ne può più giovare.

Tutto il contrario: come nota Castaldi, acciocché questa denuncia sia credibile c’è “bisogno di una spinta ignobile come il livore di un precario che ha taciuto fino a quando la Casta gli dava le briciole e ora spiffera tutto il risaputo perché non gliele dà più.” Qual è il riflesso mentale dietro a quest’inversione dell’onere della credibilità? È presto detto: è l’idea che, chiunque, messo nelle condizioni delle categorie di privilegiati o del loro indotto, si comporterebbe allo stesso modo.

Così, in quest’assurda mentalità del “tutti hanno qualcosa da nascondere”, una persona per bene che decidesse di denunciare le stesse cose, di rinunciare a quei privilegi, per sano travaglio etico, sarebbe considerata non attendibile: cos’ha da nascondere? Perché va contro ciò che gli conviene? Sicuramente c’è sotto qualcosa.

Il retropensiero è evidente: nessuno di noi lo farebbe. E, così, nel celebrare il desiderio di vendetta di una persona peggiore di noi – perché noi, spero, non ci faremmo attori di un sistema che consideriamo immorale –, stiamo invece riconoscendo tutto il contrario. Stiamo celebrando la nostra appartenenza alla stessa schiera di approfittatori, avvalorando l’idea che è sempre stata il cuore pulsante del conservatorismo, quella che è l’occasione a fare l’uomo ladro anziché essere l’uomo (o la donna) a farsi ciò che ritiene degno.

Un popolare mantra populista dice che i politici sono tutti uguali. Quello che stiamo dicendo è: anche noi.

EDIT – Mi segnala una lettrice dubitosa di aver linkato questo post sulla pagina di Spider Truman per stimolare una discussione. Il link è stato immediatamente cancellato. (lui direbbe: CENSURAAAAA!)

Tutti i modi per perdere automaticamente in una discussione

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Beh, sì, pubblicare questo post serve spudoratamente ad avercelo lì quando si presenterà la necessità di linkare uno dei punti.

Ho deciso di fare una tassonomia delle risposte stupide a una discussione. Quella delle risposte intelligenti non si può fare: si possono dare infinite risposte intelligenti, avendo ragione o sbagliando. C’è però una regola aurea che stabilisce quando una risposta è stupida, e fa perdere automaticamente una discussione: è quando non si motiva quello che si scrive, quando non si supporta il proprio argomento con dei dati o dei ragionamenti. In generale, qualunque giudizio che non sia supportato da un “perché”. Spesso, però, questa mancanza di argomenti viene (mal)celata dietro a elementari perifrasi retoriche, che tutti sappiamo essere smascherate in partenza, ma evidentemente non chi le scrive.

Naturalmente, come detto, queste espressioni sono ridicole quando sono orfane di argomentazioni, se una critica viene motivata, il senso e il valore cambia: ma state sicuri che – 9 volte su 10 – chi parte con espressioni simili non ha la minima idea di quello di cui sta parlando.

1) Questo intervento non merita neanche una risposta
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o ragionamenti, che fingo che una risposta ce l’avrei ma non voglio darla per qualche oscura ragione. In realtà, più un argomento è sciocco più la merita, una risposta, e più è facile produrne una e darla. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

2) Sono tutti sofismi / È tutta retorica / Sono tutte chiacchiere / È solo propaganda / Ti stai arrampicando sugli specchi
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che mi rifugio dietro all’accusa che i ragionamenti – che devo ammettere ben congegnati – siano prodotti per ingannare. In realtà, gli argomenti esposti sono troppo complessi e ben articolati perché io sappia disinnescarli: siccome, contro ogni evidenza, sono sempre avvinghiato alla mia idea, definisco ingannevoli (“sofismi”/”retorica”) i ragionamenti cui non so replicare. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

3) Stai facendo il maestrino
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che ricorro alla (presunta) accusa che qualcuno si stia comportando da maestro. In realtà, comportarsi da maestro è la cosa migliore che qualcuno possa fare in una discussione, e chiunque di noi dovrebbe essere felice di ricevere insegnamenti. Se, invece, questi insegnamenti sono sbagliati, è necessario che siano criticati (con atteggiamento da maestrino, se è il caso!). La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

4) Questo intervento si commenta da solo
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o ragionamenti, che fingo che una risposta sia implicita nell’argomento stesso, ma mi guardo bene dallo specificare quale sia. In realtà l’intervento si commenta talmente poco da solo che non sono neanche in grado di commentarlo. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

5) È molto più complicato di così / È una visione superficiale / È un intervento pressappochista 
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che fingo di avere una tale conoscenza dell’argomento da poterne – solo io – apprezzare la complessità. In realtà, se sono in grado di capire che una cosa è più complessa, sono in grado di spiegare perché lo è: altrimenti dimostro che la complessità me la sono inventata in assenza di argomenti di sostanza. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

6) Hai torto, e lo sai anche tu
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che fingo che neanche gli altri credano in quello che dicono. Non è vero niente, e non potrei saperlo. In realtà, mi sto blindando dietro a un argomento che non può avere risposta, perché qualunque risposta sarà a sua volta accusata di malafede. Come tutti sanno, il contratto minimo di qualunque dialogo è credere alla buonafede del proprio interlocutore. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

7) Hai fatto una brutta/pessima figura
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che insinuo che un giudizio dei posteri sia già stato dato. In realtà, la valutazione su come qualcuno esce da una discussione è dato dagli argomenti che ciascuno porta. In questo caso, la pessima figura la fa chi non porta argomenti. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

8) Questo intervento è degno di Berlusconi/Stalin/Sallusti/Alberto Tomba/il Giornale/il Manifesto/il Circolo delle Bocce
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che sposto la critica non all’interno del ragionamento, ma al suo esterno, millantandone una somiglianza con un qualche spauracchio, nonostante questa sia la più elementare delle fallacie logiche (anche  Hitler pensava che la Terra è rotonda, e la Terra rimane rotonda). La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

9) In questo intervento sputi sentenze
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti,  che presumo che ci sia un errore nell’essere convinti di ciò che si dice. In realtà, quanto un argomento sia una sentenza è stabilito dalla capacità delle altre persone di metterlo in dubbio e contestarlo. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

10) Sei un venduto! / Sei solo invidioso / Lo dici perché ti sta antipatico / Hai la coda di paglia / Lo dici perché sei del Partito dei Biscotti
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che devo tacciare l’altro di malafede fingendo che un argomento ad hominem esaurisca la questione. In realtà, la bontà di un parere non dipende dall’identità (o gli interessi) di chi la esprime. Se l’argomento fosse davvero fallace, avrei buon gioco a smontarlo. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

11) Come puoi paragonare una mela/il burqa/la Guerra dei Cent’Anni con una pera/l’infibulazione/la Grande Carestia/X e Y non sono la stessa cosa (grazie a Filippo)
Traduzione: 
sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che ricorro a un argomento di lesa maestà anziché specificare perché il paragone non è valido. In realtà è ovvio che due cose messe a paragone non siano identiche (altrimenti non è un paragone), il punto è che abbiano alcuni – utili alla discussione – fattori in comune.  Se questi non fossero stabili, potrei facilmente evidenziare il perché e annullare l’obiezione. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

12) Ma tu pensavi il contrario! / il tuo compare pensa il contrario! / questa persona importante pensa il contrario! (grazie a Luigi)
Traduzione: 
sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che ricorro a un argomento per autorità – che sia tua, di una persona a te vicina, o di una persona “importante” – per avvalorare la mia tesi. In realtà qualunque sia (o fosse: l’incoerenza diacronica è soltanto una virtù) il pensiero di qualcuno è irrilevante per stabilirne la validità. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

13) Lo dici perché hai il culo al caldo/dalla tua poltrona / Ma chi ti credi di essere? / Io lavoro in fabbrica, mica come te / Ma scopa di più! (grazie a Ilaria e Achille)
Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che ricorro alla personalizzazione sull’interlocutore per screditarne l’opinione. In realtà qualunque sia la condizione, l’attività, o l’identità di chi propone un argomento, questa è del tutto irrelata alla sua validità. Se avessi qualche nozione per contestare la tesi del mio interlocutore mi concentrerei su quella tesi, anziché sulla persona che la esprime. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

La lista è in continuo aggiornamento, naturalmente sono accettati suggerimenti