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Se avete speso un paio d’ore lontani dall’ombrellone, vi sarete imbattuti nel nuovo caso d’indignazione popolare “I segreti della casta di Montecitorio”, sedicente transfugo del Palazzo che “Licenziato dopo 15 anni di precariato in quel palazzo, h[a] deciso di svelare pian piano tutti i segreti della casta”.
Di considerazioni ne sono state fatte molte, principalmente incentrate sulla veridicità o meno del personaggio. Non è un tema che mi appassioni particolarmente, ma c’è un aspetto collaterale di questo novello successo che, secondo me, vale la pena analizzare. È un pensiero che è, in qualche modo, la prosecuzione naturale della riflessione che ne fa Luigi Castaldi:
Alla denuncia di Raffaele Costa [autore de L’Italia dei privilegi] mancava il detonatore: era una delazione, ben più dettagliata e documentata delle quattro rimasticature di Spider Truman, ma a farla non era un licenziato, un trombato, un estromesso. La delazione mancava di un elemento psicologico essenziale: l’intento vendicativo.
Questo aspetto è particolarmente interessante, e riecheggia un tema a me particolarmente caro, quello della presunzione di colpevolezza, del dare per scontata la malafede, del – come dico spesso – misurare gli altri con il proprio metro.
Ci si aspetterebbe, in un Paese migliore (o soltanto più normale), che l’intento vendicativo – il parlare soltanto quando e perché estromessi da un sistema immorale – fosse una macchia sulla credibilità, una pregiudiziale sulla buona fede del personaggio: la certificazione che la persona in questione non è genuinamente contro gli ingiusti privilegi, visto che lo è soltanto quando non ne può più giovare.
Tutto il contrario: come nota Castaldi, acciocché questa denuncia sia credibile c’è “bisogno di una spinta ignobile come il livore di un precario che ha taciuto fino a quando la Casta gli dava le briciole e ora spiffera tutto il risaputo perché non gliele dà più.” Qual è il riflesso mentale dietro a quest’inversione dell’onere della credibilità? È presto detto: è l’idea che, chiunque, messo nelle condizioni delle categorie di privilegiati o del loro indotto, si comporterebbe allo stesso modo.
Così, in quest’assurda mentalità del “tutti hanno qualcosa da nascondere”, una persona per bene che decidesse di denunciare le stesse cose, di rinunciare a quei privilegi, per sano travaglio etico, sarebbe considerata non attendibile: cos’ha da nascondere? Perché va contro ciò che gli conviene? Sicuramente c’è sotto qualcosa.
Il retropensiero è evidente: nessuno di noi lo farebbe. E, così, nel celebrare il desiderio di vendetta di una persona peggiore di noi – perché noi, spero, non ci faremmo attori di un sistema che consideriamo immorale –, stiamo invece riconoscendo tutto il contrario. Stiamo celebrando la nostra appartenenza alla stessa schiera di approfittatori, avvalorando l’idea che è sempre stata il cuore pulsante del conservatorismo, quella che è l’occasione a fare l’uomo ladro anziché essere l’uomo (o la donna) a farsi ciò che ritiene degno.
Un popolare mantra populista dice che i politici sono tutti uguali. Quello che stiamo dicendo è: anche noi.
EDIT – Mi segnala una lettrice dubitosa di aver linkato questo post sulla pagina di Spider Truman per stimolare una discussione. Il link è stato immediatamente cancellato. (lui direbbe: CENSURAAAAA!)
Sarò ottimista, ma non credo che la chiave sia l’intento vendicativo, quanto la figura del reduce: che è come la Gola Profonda, ma senza l’ipotetica ambiguità del “chiglielofafare?” che in un Paese di furbi è sempre in agguato, e talvolta giustificata.
Il fatto poi che sia un reduce trombato mi sembra un dettaglio trascurabile, che magari alcuni non conoscono, e che in altri suscita solo la solidarietà verso il precario lasciato a casa, senza arrivare a tirare in ballo il perchè non l’hai fatto prima. Magari è un meccanismo inconscio di rimozione del “potevi pensarci prima”, e magari di questo meccanismo soffriamo tutti noi che potevamo mandare a casa questa classe politica anni fa e non l’abbiamo, fatto, ma nel caso specifico non credo che l’elemento vendicativo pesi.
Sì è insopportabile. Poi già urla al gomplotto che gli chiudono la pagina facebook, e allora si fa blogspot. E poi gli chiudono blogspot allora si fa twitter. Ma sta sempre tutto là , nessuno gli ha chiuso una ceppa.
Stefano scrive::
temo proprio di si
State guardando il dito invece della luna 😉
Credo che, oltre a tutto ciò, ci sia anche molto della sindrome del pentito così diffusa nel nostro paese di cultura e modi cattolici.
La sindrome del pentito fa sì che chi si “pente” (ed i motivi sono del tutto ininfluenti) di una sua malefatta ne esce del tutto mondo e pulito dalel conseguenze della stessa.
Naturalmente il pentimento non può essere limitato al foro interno (del quale, da buoni cattolici, non frega niente a nessuno…) ma deve essere esteriorizzato con parole ed atteggiamenti primo fra tutti la delazione dei compartecipi.
Intendiamoci anche in altri paesi esistono meccanismi premiali in caso di collaborazione con la giustizia di pericolosi criminali, ma, com’è giusto che sia, all’estero queste figure vengono prese con le pinze e guardate con sospetto non foss’altro per capire quanto i vantaggi materiali abbiano influito sul loro pentimento…
Da noi invece no, qualunque “pentito” in qualsiasi campo (siano essi criminali, politici, calciatori…) ottiene subito credito pieno per tutto quello che dice e, novello Paolo, viene addirittura portato in palmo di mano come simbolo della lotta al malaffare…
Se sostituisci alla figura dello spidercoso quella del pentito mafioso, ti rendi conto che il discorso che fai non regge.
Buscetta non si mise a fare il delatore degli ex compagni perché illuminato da Dio sulla via di Damasco. semplicemente c’era stata una guerra fra cosche contrapposte e lui era fra quelli che avevano perso.
Ciò non toglie valore alle cose che abbiamo saputo grazie a lui dell’organizzazione mafiosa. E così è per spidercoso. Non so se le “notizie” che scrive abbiano un valore. Ma se ce l’hanno, le motivazioni personali che lo spingono a rivelarle sono irrilevanti nella valutazione complessiva.
Marco D scrive::
Sono d’accordo. In questo post non affronto la questione della validità di ciò che dice, ma delle reazioni delle persone al fenomeno.
È il fatto che venga rivendicato quello spirito vendicativo che mi ha colpito.
mixandr scrive::
Penso esattamente l’opposto. La “sindrome del pentito”, semmai, è molto più diffusa nei Paesi di cultura protestante, ed è proprio questo il punto. Che è chiarissimo che Spider Truman non è pentito, non ha bisogno di dire che è pentito (come invece fanno tutti negli USA), per lui basta il movente vendicativo per farne un capofolla.
Giovanni Fontana scrive::
in effetti l’unico suo cruccio è avere perso il posto a fianco della mangiatoia, dove era disposto a tacere su tutto pur di raccattare le briciole che gli lasciavano
è evidente che se gli lasciavano il posto se ne stava ben zitto a mangiucchiare come gli altri
questo commento che ho trovato penso sia piu vicino al vero come causa primaria del successo dello spider (dal castaldi blog):
“Mah, secondo me non è un problema di indiganzione e vendetta. Quel che mancava era qualcosa da leggere che non fosse un libro; un post da 250 caratteri, per esempio. I libri son troppa roba per l’italiano medio…”
infatti, pur condividendo alcune delle sue considerazioni, Castaldi trascura l’ovvio secondo me, e cioe’ tra 2002 ed oggi c’e Facebook in mezzo. con 16 milioni di utenti.
il mezzo amplifica il messaggio. il messaggio non e’ nuovo, come nota Castaldi, ma appunto perche non nuovo, anzi, e’ gia abbondantemente verificato altrove, e’ credibile per se. anche se gli intenti, le motivazioni di chi scrive non solo delle piu nobili.
chi scrive e perche’ non e’ piu importante, quindi, rimane il messaggio. e l’enorme amplificazione (che e’ mancata nel 2002 e nel 2007).