All’interno del campo c’è un disprezzo e un razzismo che è difficile immaginare dal di fuori, ma che chiunque abbia lavorato nella cooperazione, in quasi ogni parte del mondo, conosce bene. Non se ne parla, perché non fa fare bella figura alle persone che si cerca di aiutare. Ovviamente mi sono posto spesso la stessa questione, e ho sempre pensato che fosse meglio raccontare la verità.
Qui, con le ovvie lodevoli eccezioni, ogni comunità disprezza e cerca di tenersi alla larga dall’altra: i siriani ce l’hanno con i palestinesi siriani che ricambiano, gli iracheni ce l’hanno con gli yazidi e viceversa, i curdi parlano male di tutti gli altri che parlano male di loro, eccetera. Ma il più significativo sezionamento è quello più grande, fra Siria e Iraq. A chiunque sia nel campo per 24 ore capita di sentire un commento di siriani che incolpano gli iracheni della guerra o viceversa, e questo tipo di segregazione arriva anche ai bambini, istruiti così dai genitori.
Insomma, tutte le volte che un bambino siriano si presenta al campo di calcio (che, come avevo scritto, è l’unica struttura più vicina agli iracheni) viene immediatamente respinto dagli iracheni. Quando ci sono io o altri volontarî, ovviamente, interveniamo. Gli iracheni, che in qualche modo mi sentono come “loro” (fondamentalmente perché vado lì a giocare), si sentono addirittura traditi dal fatto che io acconsenta a far giocare i loro “nemici”. Quando i bimbi iracheni si arrendono all’idea di condividere lo stesso campo con un siriano allora vogliono averlo nella squadra avversaria, quindi si verifica questa brutta scena nella quale gli iracheni mostrano tutto il loro disprezzo cercando di evitare di finire assieme al siriano di turno. Non è un caso, quindi, che di siriani che giocano al campo non ce ne siano molti.
Negli ultimi tempi, però, eravamo riusciti a integrare qualche bambino siriano senza generare troppe polemiche, e questo aveva portato altri bambini siriani ad avventurarsi in territorio nemico. Solo che è sorto un nuovo problema: da quando i siriani sono diventati una quantità significativa la richiesta è diventata «facciamo Iraq contro Siria!». Per qualche giorno siamo riusciti a tenere a bada questo nuovo livello di competitività. Ci sono stati un paio di giorni nei quali io non sono potuto andare al campo perché avevo troppo lavoro al negozio, quindi non so bene come siano andate le cose, ma più o meno la gestione sarà stata la stessa.
Fatto sta che ieri sia i siriani che gli iracheni erano talmente fermi nel voler fare Siria-Iraq che si sono rifiutati di giocare diversamente. Uno di loro, maestro nell’arte del contrattare, mi ha garantito che sarebbe stata una partita di calcio “e non una guerra”. Io, che non avevo pensato a quella prospettiva, ho pensato: «beh, dài, è già un progresso», e dopo un quarto d’ora di tira e molla ho acconsentito.
Sono finito a giocare con l’Iraq perché avevano giocatori in meno, e c’era un “grande” nella Siria. Qui non hanno ancora capito quanto sono scarso a giocare a pallone, quindi finisco spesso per sembrare più bravo di quel che sono. Così, da imparziale che dovevo essere, sono finito per essere il capitano dell’Iraq e, dopo qualche minuto di gioco, uno sfegatato sostenitore. I siriani sembravano nettamente più forti, se non altro per questioni di età. Invece ho aperto le marcature, poi siamo andati sul 3-0. L’accordo era di arrivare a 5.
Beh, ora mi tocca raccontare di una disfatta. Avevamo messo la regola che fossero accettati i cambi, perché appena dopo l’inizio della partita è cominciato ad arrivare gioventù da tutto il campo profughi a sostenere l’una o l’altra parte e a chiedere di giocare. Mentre nel “mio” Iraq i cambi erano alla pari, i ragazzi siriani che arrivavano avevano tutti intorno ai vent’anni. Via via, ogni tredicenne veniva sostituito da un ventenne. Abbiamo cercato di resistere stoicamente, facendo un catenaccio degno di Trapattoni e buttandola in avanti a ogni pallone recuperato. Ma non è bastato. Ci hanno raggiunto sul 3-3, poi su un lancione siamo tornati in vantaggio, ma la Siria è riuscita a ribaltare e vincere 5 a 4. Che umiliazione!
Dopo la partita sono tornato quel volontario imparziale che ero, e sono andato a stringere la mano a tutti gli avversarî, congratulandomi per la loro vittoria, ma dentro di me sto ancora rodendomi per la sconfitta