Gli impiccati

Hung parliament. Si dice sia un nuovo Banksy, come al solito nessuna conferma:

Il colmo è che Brown ha la stessa faccia anche strozzato.

Per quelli che si stava meglio cinquant’anni fa

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Menomale che c’è Fabrizio che funge da nostro lettore extrasensoriale e selezionatore delle cose in tedesco:

Spiegel fa un confronto interessantissimo per tutta una serie di beni di primo consumo nel 1960 e oggi; E il confronto lo fa non in Euro ma in minuti di lavoro necessari per comprare l’articolo in questione.
E si scopre che i prezzi sono diminuiti tantissimo: un chilo di pane è passato da 20 a 11 minuti, le uova da 51 a 8, la benzina da 14 a 5, una TV da 351 ore a 13, il cinema da 38 a 28. Diminuzioni in alcuni casi decisamente clamorose, visto che si tratta non di qualche per cento in meno, ma di fattori 5x o 10x.

Haram

Intanto la camera belga – in piena crisi di governo – ha approvato la legge anti-burqa. Sarebbe la prima in Europa (al mondo?). Al senato, complice la confusione istituzionale, il passaggio sarà più tribolato. Io continuo a condividere la spinta ideale, ma ad avere tanti dubbi sul provvedimento.

Scappare a Cuba per amore è ragionevole?

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>per Il Post<

Corso di Alfabetizzazione Sentimentale Obbligatoria Prof du Lac 2° lezione

Ben ritrovati cari studenti,
questa al mio fianco è la Dott.ssa A.Dora, che – come vi avevo annunciato – mi assisterà nello svolgimento del Corso. Dora ci sarà particolarmente utile per la sua specializzazione in Non Esitanza conferitale dall’Ateneo Augustobona.

La settimana scorsa ci eravamo lasciati nel pieno della crasi fra emotività e razionalità. Il quesito che vi avevo assegnato puntava a evidenziare il luogo comune con cui si sono scontrati i più illustri luminari di questa disciplina: quello secondo cui emozione e ragionamento facciano a cazzotti.

Vi avevo domandato, riassumendo, se fosse razionale rinunciare a un incarico decisamente appagante per una fuga d’amore. Non posso citare tutti i compiti ricevuti – in questa sede, nella mia cassetta personale, o all’uscita di altre lezioni – ma ho letto e valutato ciascuno di essi: meritano una menzione gli eccellenti lavori di Saverio (posta) e Ilaria (posta), un segno “+” a  Federico, Ally, Primaverina, Gabriele e Angelo.

Ho tuttavia scelto come esempio di risposta esatta, in tutta la sua chiarezza, la seguente:

Nell’ovvia ignoranza del futuro avere fatto ciò che preferivo è la scelta giusta ed è un comportamento razionale se ritengo che la mia vita sarà complessivamente migliore seguendo questa decisione.

Come vedete l’analisi è semplicissima; e la risposta corretta è, come talvolta accade, “dipende”. Daniele sottolinea una cosa molto importante: dato che la razionalità è soltanto un metodo e non un connotato individuale, la domanda non dava elementi sufficienti per una risposta univoca. Per dare una misura a ciò che – proprio per questa mancanza di dati – non fosse legittimo dire, leggo la più classica delle risposte errate:

È ovvio che la razionalità tenda alla Presidenza USA; il cuore, il sentimento, l’amore tendono, al contrario, verso la persona amata.

Non è ovvio. È sbagliato misurare gli altri con il proprio metro: scegliere razionalmente significa operare una scelta partendo dai dati che si hanno, con l’obiettivo di mirare al meglio per sé (lo stesso Daniele aggiungeva un azzeccatissimo caveat: «E con migliore intendo al netto di tutto, quindi non solo da un punto di vista egoistico, perché la vita degli altri influenza anche la tua»). Ciascuno ha il diritto – quasi il dovere – di puntare alla propria felicità, quando questa non renda infelici altri individui. Lascio la parola a Dora:

A.D.: Poniamo il caso in cui io rifiuti la presidenza degli Stati Uniti per fuggire alle isole Kiribati col mio amato. Abbiamo elementi per inferire che l’abbia deciso irrassionalmente? No di certo: altri potrebbero dire «io non lo farei» o, al massimo, assardare ch’io abbia sbagliato per me stessa, ma non c’è alcuna ragione per dire che non abbia analissato a pieno la situazione. Semplicemente, penso che se sono davvero innamorata di una persona, stare al fianco di quella persona è ciò che mi rende più felice rispetto a ogni altra cosa, quindi qualunque rinuncia – anche la Casa Bianca – sarebbe minore confrontata alla privassione del mio amato.

Come potete apprezzare, Dora sta compiendo una scelta squisitamente razionale: valuta gli elementi in campo, e sceglie ciò che – lei crede – la renderà più felice. Tutto ciò perché la logica è soltanto un metodo, non un polo d’attrazione: per questo è necessario – anzi, obbligatorio! – un CASO. A partire dalle inclinazioni di ciascuno è necessario applicare il ragionamento per discernere fra scelte sensate e scelte insensate, scelte giuste e scelte sbagliate – e, ancor più essenziale – scelte aride e scelte innamorate.

Come dice sempre M. Doyen, un mio collega che insegna a Harvard: «what you believe, matters!». Ciò che uno crede e pensa, ciò che uno fa, ha delle dirette conseguenze, e non ci si può appellare alla presunta arbitrarietà dell’amore.
Perché è proprio questo il punto, è tutto il contrario di ciò che si dice: in amore non vale tutto. Anzi, vale pochissimo: non vale niente che sia meno del massimo.

A.D.: Ecco qui, cari studenti: il foglio che ho appoggiato sui vostri banchi contiene la domanda che il Professor du Lac vi ha assegnato questa settimana. L’invito è quello di motivare la propria risposta:

Potreste innamorarvi di un assassino?

Come la scorsa volta potete presentare le vostre risposte in questa sede oppure nella cassetta della posta di du Lac, che le analisserà nella tersa lessione. Con ciò vi saluto.

Arrivederci alla prossima settimana.

Giustizia e libertà

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Generalmente sono più antiberlusconiano, se così si può dire, delle persone con cui vado d’accordo – di solito – su altri temi. Ultimamente – per fare un esempio – mi ha colpito una cosa: a me le idee politiche di Vianello, nella valutazione dell’uomo, interessavano.

È chiaro, nessun individuo dotato di buon senso può ammirare l’operato di Berlusconi come Presidente del Consiglio, ma la malsopportazione che ho io va oltre la categoria politica: risiede in quell’elaborato dell’italianità peggiore che Berlusconi è, e rappresenta, con il suo atteggiamento verso le donne; la sua pretesa d’essere invidiato per degli atteggiamenti che in qualunque occhio critico generano soltanto desolazione. L’autocompiacimento di quello che – in un post quasi liberatorio – avevo definito un millantatore in punta di cazzo mi genera una ben poco ragionata rabbia: non sono in disaccordo, mi fa proprio imbestialire.

C’è, però, una cosa che mi ha sempre allontanato dalle più folte schiere degli oppositori monocratici di Berlusconi, un sinuoso atteggiamento di fondo che arrivo a presagire dalle prime frasi lette o ascoltate. Si tratta del furore punitivo, della gioia per interposta incarcerazione, dell’odio metodico, che molte persone – oserei dire “insospettabili” – hanno maturato. È come se un cruccio livido si fosse riuscito a insinuare in persone onestamente di sinistra – come un riflesso sciocco all’autoconcessa improcessabilità di Berlusconi – e questo rivoltamento avesse trovato una misura precisa, e neanche troppo nascosta, di disprezzo nei confronti dei detenuti, di presunzione di colpevolezza e coazione alla punizione che, ho paura, sarà davvero il peggior lascito di questi vent’anni di scena politica di Berlusconi.

Ricordo il mio costernato stupore, in una discussione che ebbi tanto tempo fa, sull’indulto: una mia interlocutrice, indiscutibilmente attenta alle cause dei più deboli del mondo, che affermava – con queste parole – di preferire 67 persone in carcere, fra cui Previti, al costo della violazione dello Stato di Diritto di 14.000 individui. Penso che quasi tutti i peggiori vizî della sinistra attuale vengano a cascata da lì: la violenza punitiva, l’atteggiamento inquisitorio, la professionale e clinica mancanza di fiducia. Quella compulsione al trovare un lato oscuro anche quando non c’è – e quindi anche al complottismo – che, da che mondo e mondo, era tutto ciò che non apparteneva al progressismo (tutte cose che, in realtà, aveva immortalato Staino in una splendida vignetta qualche anno fa).

Ci ho ripensato ieri, quando ho ascoltato questa intensa storia. È una puntata di una trasmissione – This American Life – che mi ha consigliato Max, e che è sempre fatta molto bene. Questo qui è un racconto bellissimo di un ragazzo – non più ragazzo – che ha ucciso un uomo durante una rapina. Da quel momento ha fatto 27 anni di carcere e comportamento esemplare: si è laureato, è diventato assistente carcerario per le questioni di droga, non ha mai fumato una sigaretta dove non si può. La sua voce, quello che dice, infonde di umanità tutto il contorno: è assolutamente ovvio che non abbia alcun senso ch’egli sia, ancora, privato della libertà.

La trasmissione – purtroppo – è in inglese, ma è un inglese piuttosto scandito. Ho tagliato il file in modo che ci fosse solo questa storia, cosicché sia più facile ascoltarla seguendo il filo conduttore del racconto: il file è qui, potete scaricarvela sull’ipod e ascoltarla in metropolitana, oppure basta premere “Play” in fondo al post.

Se non vi commuovete, se non sperate ardentemente per tutto il tempo che questa persona sia liberata – perché la giustizia! – se non vivete la sofferenza di quest’uomo, e non la percepite nella stessa metà del cielo – e non come contraltare – a quella della povera persona che ha ucciso, beh, penso che – uscito di scena quel Silvio Berlusconi – dovrete fare una lunga dieta.

This American Life

P.s. La prigione di cui si parla nel racconto è San Quentin.

Mama mia let me come

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Ecco, questo è un argomento su cui non ho proprio un’opinione né dei motivi risolutivi per sostenerne una o l’altra:

La procura della Suprema corte, sollecitata dall’associazione Amici dei bambini, afferma che le coppie che chiedono l’adozione non possono dirsi indisponibili a ricevere piccoli di pelle nere o di etnia non europea.

Da una parte c’è l’ovvio senso di ingiustizia nel concepire di rifiutare un bimbo per ragioni etniche o – peggio – cutanee, dall’altra c’è l’infausto scenario del relegare un bambino nero a una coppia di razzisti. È chiaro che, per la società, la cosa più giusta è impedire questa possibilità di scelta, ma non lo si fa sulla pelle – letteralmente – del bambino?

EDIT: Max, Scialocco e Pietrino mi hanno convinto con buoni argomenti che la decisione della Cassazione è una cazzata, Alessandro Gilioli raccontando la sua storia.

Ritorno al futuro

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Emidio racconta la fase della presa di coscienza completa, quella in cui si rende conto che tutte le ore – e i giorni e i mesi – spesi dietro a dei dogmi che ti peggiorano la vita, a costrizioni incastonate sull’infelicità delle persone, a morbosi comitati giudiziarî imputanti accuse medievali, sono tutte costruzioni fasulle. È il momento in cui si rende conto, a tutti gli effetti, di non essere più un Testimone di Geova. Quello in cui decide di riappropriarsi del suo futuro.

L’ultima fase, quella più difficile, è “ok, è tutto sbagliato, semplicemente una fantasia”. È la fase più difficile perché comporta l’ammissione del fatto che il tempo passato a credere è tempo buttato via. È tempo che nessuno ti restituirà più. È tempo che hai dedicato a vivere in una fantasia e non nella realtà. Insomma, dura da buttare giù, ve l’assicuro. Però è l’unica fase che consente di recuperare almeno il tempo futuro.

Dice un proverbio africano: il miglior momento per piantare un albero era trent’anni fa, il secondo miglior momento è “ora”.

Hai capito ‘ste zoccole?

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Questa me l’ero persa.

In Iran c’è chi suggerisce di spostare la capitale perché Teheran si trova in una zona eccessivamente sismica. Per fortuna Hojatoleslam Kazem Sedighi, membro del clero e teologo iraniano, ha rassicurato tutti che c’è una soluzione ben più a portata di mano. I terremoti – ha spiegato – sono causati dalla promiscuità delle donne.

È utile come scusa, oramai la usano per qualunque cosa. C’era una bellissima vignetta di Altan che diceva «mi domando chi sia il mandante di tutte le stronzate che faccio». Beh, come chi? Le donne promiscue.

Lunedì degli aneddoti – XXXV – L’originalità del bene

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Mi ero ripromesso di scrivere un aneddoto sulla storia fra Arendt e Heidegger: la scoprii nell’estate del 2003 da un articolo di Repubblica che rubai a un amico, due paginone al 38 e al 39 che – ingiallite – ancora conservo. Poi cercai il libro che racchiudeva tutte le lettere fra Hannah e Martin, e che poi persi. Lo ritrovai quando una mia vecchia fidanzata me lo portò, con sé, in casa. L’uomo che Hannah sposò, Heinrich Blücher, rimase sempre l’emblema dell’amore pigro e rispettoso, di quel tipo di affetto – che potremmo definire calore – non invasivo e poco ingombrante. Martin invece, l’amore assoluto, dirompente, invasivo e irrispettoso. Mi ero ripromesso di scrivere di loro, uno di questi lunedì; poi, qualche mese fa, ho letto in giro un aneddoto che non conoscevo, e allora non potevo non metterci quello. Avevo pensato di riscriverlo, ma non farei meglio di così:

L’originalità del bene

Hannah Arendt e Martin Heidegger, nei primi anni venti, avevano una relazione segreta. Hannah era ebrea, perciò, quando furono promulgate le leggi razziali, sposò un uomo di convenienza ed emigrò negli Stati Uniti. E, volente o nolente, dovette rompere con Martin, che era iscritto al partito nazionalsocialista, nonostante non ne condividesse le idee. Era il 1933 quando si videro per l’ultima volta. Negli anni successivi non ebbero più notizie l’uno dell’altra, se non deboli echi delle rispettive fame. Hannah divenne sempre più famosa come conferenziera e Martin fu nominato rettore dell’università di Friburgo, e una volta finita la guerra cadde in disgrazia, come tutti coloro che avevano rivestito una qualche carica sotto il nazionalsocialismo. Quando, ormai negli anni cinquanta, Martin venne a sapere che Hannah avrebbe tenuto una conferenza nella sua città, decise di assistervi per rivedere, senza essere visto, quel suo amore, forse mai dimenticato, forse no. Alla conferenza Martin sedette in un angolo – io me l’immagino un po’ rannicchiato, infagottato in un impermeabile. Curioso e probabilmente spaurito, convinto della sua invisibilità. Non si vedevano da vent’anni. Hannah entrò, si guardò attorno e cominciò il suo discorso. E disse: “Signori, signore, caro Martin, benvenuti”.

da qui, via lui

[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui qui il quindicesimo: Servizî segretissimi qui il sedicesimo: Gagarin, patente e libretto qui il diciassettesimo: La caduta del Muro qui il diciottesimo: Botta di culo qui il diciannovesimo: (Very) Nouvelle Cuisine qui il ventesimo: Il gallo nero qui il ventunesimo: A che ora è la fine del mondo? qui il ventiduesimo: Che bisogno c’è? qui il ventitreesimo: Fare il portoghese qui il ventiquattresimo: Saluti qui il venticinquesimo: La fuga qui il ventiseiesimo: Dumas qui il ventisettesimo: Zzzzzz qui il ventottesimo: Teorema della cacca di cavallo qui il ventinovesimo: Morto un papa qui il trentesimo: L’invincibile Marco Aurelio qui il trentunesimo: L’Amabile Audrey – qui il trentaduesimo: Anima pura – qui il trentatreesimo: Ponte ponente – qui il trentaquattresimo: Batigol]

Vuoi indicare un aneddoto per un prossimo lunedì? Segnalamelo.

Me so’ magnato ‘er titolo

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Era tanto che non aggiungevo qualcosa ai feed, è successo ieri con un aggeggio segnalato da Phonkmesister. Si chiama Recensitoli, e recensisce i film, con i titoli di un altro film, ad esempio:

Mary Poppins:
Via col vento

Quattro matrimoni e un funerale
Il signore degli anelli

United 93
Mamma, ho perso l’aereo

E i più belli:

Basic Instinct
Tre uomini e una gamba

Lourdes
Basta che funzioni