CEO Francesco I

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Uno dei podcast che ascolto è quello di un programma, chiamato Planet money, che racconta delle storie legate all’economia, in maniera sempre interessante, molto narrativa, e mai noiosa. Si capiscono cose, con svago. Qualche giorno fa una puntata affrontava l’economia della Chiesa cattolica non dal punto di vista degli scandali, o dell’opulenza – punti di vista utili, ma abbastanza banali – ma da quello del management: cosa farebbe la Chiesa se fosse una grande azienda multinazionale, quale nei fatti è.

If you’re in business, there are certain signs that your company is in trouble. A big one: your CEO abruptly resigns.

And it’s especially worrisome if it is the first time this has happened to your company in almost 600 years.

La puntata è di metà febbraio, ma mi è tornata in mente oggi – per ovvie ragioni – perché una delle cose che dicevano nei 20 min di analisi manageriale della Chiesa, è che si tratta di un’azienda che investe troppo poco nei mercati nei quali è in espansione. In Europa e Nord America i cattolici sono in continua diminuzione, con tanto di drammatica crisi delle vocazioni, ma in Africa e specialmente in Sud America è un’azienda che va forte. Però la larghissima maggioranza delle strutture, del personale (i preti), degli investimenti, è allocata dove la Chiesa non sta crescendo.

Quindi, dicevano, da un punto di vista manageriale ci sarebbe assoluto bisogno di rifocalizzarsi e accattivarsi i mercati in espansione, come il Sud America, finora troppo trascurato dall’azienda.

Contro il PD

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Voi non ci crederete, ma in queste ore la dirigenza del PD si sta – e ci sta – raccontando che la colpa di questa sconfitta è l’essere stati troppo liberali. Questo, però, non è un post su liberalismo, socialismo e socialdemocrazia. No, è un post sull’endemica incapacità di confronto con la realtà di quel partito.

LA REALTÀ CI DÀ TORTO
Negli ultimi 4-5 anni Bersani ha, legittimamente, allontanato il PD dal liberalismo. C’è stata una battaglia politica e ha vinto quella parte che voleva un partito più socialdemocratico. Più socialista, meno liberale. È una scelta legittima, e non è detto che sia sbagliata. Alle urne ha perso tre milioni e mezzo di voti, ma la storia è piena di idee sbagliate che hanno raccolto consenso. Hanno ragione loro e hanno torto quelli che non li hanno votati? Può essere.

Ma una cosa è chiara: se il PD avesse preso il 41% (cioè il 7,76% in più rispetto alle ultime politiche), avrebbero detto che quella gigantesca vittoria era merito della svolta socialdemocratica e anti-liberista del PD. Invece hanno preso il 25.42% (cioè il 7,76% in meno rispetto alle ultime politiche), e cosa dicono? Esattamente lo stesso. Che la sconfitta è colpa del non essere stati abbastanza socialdemocratici, dell’alleanza con Monti, dell’austerity, eccetera. Verrebbe da dire Popper e l’infalsificabilità del marxismo, se non fosse troppo facile.

E QUINDI ABBIAMO RAGIONE
Eppure, spesso, questo meccanismo avviene in buona fede, da parte di persone che su molti temi hanno idee condivisibili e ben espresse (ho-molti-amici-dalemiani). Poi, però, ci sono quei due o tre argomenti sui quali il ragionamento da conventicola, gli spauracchi e le parole d’ordine, la fedeltà alla linea e i nemici giurati, superano in squadrismo e chiusura anche quelle dei grillini.

Funziona così: Mario un giorno si sveglia e dice ad Alberto che il liberismo ha i giorni contati, o che la figlia di Ichino è una raccomandata. Alberto ci pensa, lo metabolizza, e lo riferisce a Maria. Maria fa suo il pensiero e lo condivide con Giacomo. Giacomo, allora, incontra Mario e glielo dice. E Mario pensa «ah beh, se lo pensa anche Giacomo deve essere vero».

Questa claustrofobica autoreferenzialità è l’essenza di quella che, durante le primarie, chiamavo dissonanza cognitiva. Ma è molto di più, mi sono reso conto: è l’elevazione del confirmation bias a un livello di sistematica e patologica efficienza.

LE PRIMARIE
È stato durante le primarie che questa coazione mentale, il ragionamento da setta e il terrore dell’OPA ostile si è manifestata in tutta la sua potenza. E lo dice uno a cui Renzi non piaceva, ed era anzi abbastanza determinato a non votarlo.

Forse è stato proprio il non essere renziano a rendermi così sbalordito: i renziani davano per scontato che l’apparato fosse ostile, del resto era ciò che Renzi andava dicendo da tempo – faranno la lotta nel fango, faranno qualunque porcata per non farci vincere. Ma per me, spettatore scettico, è stato sconcertante realizzare che quella dirigenza fosse davvero disposta a qualunque porcata, e a negare d’averla fatta.

Le stesse persone per giorni, prima delle primarie, hanno deriso Renzi per essere riusciti a fregarlo, cambiando le regole a suo svantaggio. Poi, quando è venuta fuori la polemica sulle regole, hanno negato – quasi offesi – che quelle modifiche potessero svantaggiarlo (qui spiegazione delle 4 porcherie anti-Renzi: sia chiaro, avrebbe vinto ugualmente Bersani, che è un’aggravante). Se sostenitori di Renzi pubblicizzavano un sito, senza indicazioni di voto, per semplificare la procedura di registrazione era una patente violazione delle regole; se sostenitori di Bersani pubblicavano sui giornali inviti a votare Bersani, era una sciocchezzuola. Lo stesso Bersani ha detto la gigantesca bugia di essere stato lui a volere le primarie, dopo aver nicchiato per due anni mentre Renzi lo rincorreva apparizione su apparizione per cercare di stanarlo. Sempre lo stesso meccanismo del doppio standard.

Poi, beh, durante le elezioni Renzi è diventato utile alla ditta e allora c’è stato il contrordine compagni.

IL “VUOTO PNEUMATICO”
E pensare che il mio scetticismo su Renzi era stato nutrito anche da uno scambio di email con un amico bersaniano: mi aveva spiegato un po’ di cose, e molte delle sue critiche mi avevano convinto. Quello delle proposte di Renzi era un “vuoto pneumatico”.

Ora, io non so se qualcuno si è preso la briga di leggersi il programma economico del PD in questa campagna elettorale: non c’era un numero, una sola cosa concreta e quantificata. Cosa vuole fare il PD con la spesa pubblica? Aumentarla o abbassarla? Vuole tagliare l’Irap? Ma di quanto? Con quali soldi? E l’Irpef? “taglio del 3%, ma non subito” non è una risposta. Quando? E dove prendi i soldi? E l’Ires? Vuole dare più soldi all’istruzione e alla ricerca? E la sanità? Quanti soldi, e presi da dove? Alzando le tasse? Facendo delle dismissioni? Quante? E il debito pubblico lo vogliamo abbattere? Come e di quanto? L’unica cosa accompagnata da una cifra era l’elettoralistica abolizione dell’IMU sulla prima casa a chi paga meno di 500€.

Perfino il PDL aveva dei numeri, per quanto strampalati e irrealizzabili. Il PD, invece, niente. Né le dichiarazioni di Bersani (segretario) o Fassina (responsabile economico) chiarivano alcunché. Il programma del PD era un tale “vuoto pneumatico” che, nei varî articoli dei giornali che mettevano a confronto il peso economico dei programmi, i numeri del PD se li inventava il giornalista – oh, non so se è chiaro. I numeri se li inventava il giornalista!

Pensate ci sia stato qualcuno che, dal di dentro, abbia finalmente denunciato questo vuoto di contenuti, in questa era di dittatura-della-comunicazione? Ovviamente no.

REALISTI REALISTI, IDEOLOGICI IDEOLOGICI
Ora: perché il PD non ha elaborato uno straccio di piano sui 5 anni di legislatura? Non sono in grado di farlo? Non è così. È certamente una scelta comunicativa, la vaghezza dovrebbe aiutare a non scontentare nessuno. Ma c’è un altro fattore, estremamente importante, e centrale per il modello di politica che è attualmente alla guida del PD: è la prodigiosa e improbabile commistione di realpolitik e furore ideologico.

Perché non è solo la proverbiale questione delle “segrete stanze”, nelle quali si entra con idee diverse, si fa un accordo politico, e si esce fingendo di avere sempre avuto la stessa. Il problema è che a questa si associa, sempre sottotraccia, un filtro di lettura della realtà smaccatamente ideologico (oggi è la moda di Keynes, fra cinque anni sarà qualcos’altro) che produce la dissonanza cognitiva di cui sopra. Solo che questa linea ideologica che è presente in tutte le conversazioni, nelle discussioni private, nei discorsi a nuora-perché-suocera-intenda, in qualche dichiarazione strappata, non viene mai affermata con forza in pubblico: sarebbe un’offesa alla prudenza del realismo politico.

Perciò la presenza pubblica del PD si traduce in una costante vigliaccheria, e menzogna, rispetto alle idee piene che i dirigenti di quel partito covano. Da questo derivano le dichiarazioni di Fassina in stile Arafat, che in italiano dice una cosa e in inglese – al Financial Times o al Wall Street Journal – dice esattamente l’opposta. Da qui deriva la Taquiyya su Europa e Germania, odiata nelle sezioni del PD quasi quanto nel PDL. E deriva la mancanza del coraggio politico di fare di testa propria: se Bersani pensava di essere in grado di risanare i conti, e di farlo meglio del Governo tecnico, perché non ha detto “no” a Napolitano, andando subito a nuove elezioni?

LA CASTRAZIONE PERMANENTE
La risposta che Bersani dà è che il PD è stato “responsabile”, ed è vero, verissimo – al tempo l’ho molto apprezzato. Però riconoscere che essere “responsabili” vuol dire non portare al governo la propria linea politica, significa che il proprio orizzonte ideologico sarebbe, invece, irresponsabile. Che affermare in pubblico idee come queste (è un documento di una riunione degli economisti del PD, o d’area, che ha postato un’amica su Fb) o quelle che si sentono dire a tutti i bersaniani interpellati al bar, porterebbe l’Italia nel disastro.

Nei fatti, questa dirigenza del PD è più realista di sé stessa. Ed è proprio questo che matura un permanente sentimento di castrazione, quello che è precisamente all’origine dell’incapacità d’analisi della realtà che descrivevo all’inizio: abbiamo fatto un partito più-socialista-ma-non-abbastanza, abbiamo perso, e quindi dobbiamo essere più socialisti. Ah, se fossimo stati socialisti quanto volevamo davvero, lì si che avremmo vinto.

E, infine, questo meccanismo ha un risultato ultimo abbastanza evidente, e che tutti abbiamo imparato a riconoscere nel PD, la più totale impossibilità di autocritica: perché se non abbiamo mai fatto, per davvero, quello che volevamo fare, come possiamo metterne in dubbio la bontà?