Compleanni sionisti

Oggi è il sessant’unesimo compleanno di Israele, ovviamente ci sono celebrazioni e feste, mentre in Palestina ricordano la Nakba – la catastrofe.

Senza alcun tipo di pregiudizî, poi figuriamoci, il mio mondo ideale è un mondo con le frontiere spalancate (anzi senza frontiere), quindi sono favorevolissimo all’immigrazione. Ma in un articolo intitolato “Sono una sionista e ne sono orgogliosa”, Sara Miller – a proposito dei giovani israeliani che non capiscono il sionismo – scrive:

[they] cannot understand why someone from an evidently prosperous country, with a culture-rich and progressive society and which is relatively terrorism free, would choose to throw it all over, leave their family and friends and move to a country so riddled with internal problems and violence.

Eh! Manco io.

E se al lecca lecca piacessero le mosche?

Più ci penso e più mi fa rabbia pensarci, come dice una delle donne più coraggiose del nostro tempo, quanto la nostra società – in tutte le sue sezioni – abbia sviluppati degli anticorpi verso il senso di colpa, un’indifferenza ad ampio spettro nei confronti della condizione delle donne nei paesi arabi, ma anche in tante altre parti del mondo:

L’Italia ha mandato truppe in Afghanistan: donne e uomini dovrebbero dire ‘Vogliamo giusti­zia per quelle donne’. Se guardiamo al­l’esempio del Sudafrica, prima dell’aboli­zione dell’apartheid, c’era un’enorme indi­gnazione in Occidente: ai bambini veniva insegnato a scuola che la segregazione raz­ziale è un male, la gente mandava soldi, ve­stiti e risorse all’Anc, le organizzazioni per i diritti civili europee e americane faceva­no pressioni sui governi e proteste senza fine. Niente del genere sta accadendo per le donne musulmane, né per le cinesi, le indiane o le donne del Sud del mondo».

Un’indifferenza generale che nel corso dell’ultimo secolo era difficile riscontrare: ognuno aveva le sue cause. Si stava dalla parte dell’America, e quindi si sosteneva Solidarnosc, oppure dalla parte dell’URSS e quindi si sosteneva il Salvador Allende. Ognuno però, aveva il proprio spazio sindacalizzato di difesa.

Oggi delle donne mussulmane non frega niente a nessuno. Le femministe, che un tempo erano l’avanguardia su questi temi, hanno perso – risucchiate dai loro distinguo ad excludendi (mi verrebbe da dire che il femminismo ha vinto nonostante le femministe degli ultimi quarant’anni) e ora brancolano nei meandri del terzomondismo, dimenticate una volta per tutte le lotte per le quali avevano combattuto.
La prossima volta che assisto a una celebrazione del fu femminismo e dei reggiseni bruciati, vado lì e dico: «ma perché l’avete fatto? In fondo la deliberata sottomissione della donna era la cultura dell’Italia di quel tempo».

Molta gente de sinistra, fa un ragionamento tanto simile a quello delle femministe storiche, magari sentendosi legittimato da quel malinteso senso di reclamata proprietà delle ingiustizie: se non ci pensano le femministe, perché dovremmo farlo noi?

La destra, che era sempre stata indietro su questi temi, ha cominciato a interessarsene in modo piccino e bigotto, spesso evocando un altro identitarismo (cristiano, occidentale o checchessìa), e comunque sempre gettando l’occhio  al ritorno elettorale – ehi leghista, lo sai che le persone veramente tenute in ostaggio dall’islamismo sono mussulmane a loro volta? Che la vera emergenza è per loro e non per la tua polenta? – più che all’effettiva vita di queste persone.

A tutti, comunque, interessa al massimo ciò che succede all’interno dei propri confini: basta andare un po’ più a est di Trieste, o a sud di Pantelleria perché i soprusi non siano più percepiti come tali.
Ve lo siete provato a domandare? Quante volte avete sentito un politico parlare di diritti delle donne fuori dai propri confini? Di donne mussulmane non in relazione alla difficile-integrazione-con-la-cultura-italiana? Mi viene in mente un solo nome: Emma Bonino, eccezione che rende più luminescente il vuoto attorno.

Siamo in un mondo in cui, negli ultimi dieci anni – e facciamo questo gioco: lasciamo da parte i nostri, in gran parte giusti, «è in malafede!» – gli unici a proclamare la necessità di difendere i diritti delle donne sono stati Rumsfeld, Bush e epigoni. Forse c’è qualcosa che non va.

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Mi domando come non scatti qualcosa, in tutti queste persone, quando vedono cose come questa. È una campagna iraniana (la scritta è in farsi) a favore dell’hijab, il velo. Come fa a non levarsi un’onda di quella tanto abusata parola, indignazione, per tutto quanto di disgustoso c’è di sotteso a questo messaggio?

Per gli ingenui, omnia munda mundis, gli uomini sarebbero le mosche e le donne il lecca lecca:

hajab-propaganda-1

Tappezziamo anche noi, le nostre città, di questi mainfesti, magari si svegliano. Inventiamoci qualcosa, andiamo tutti in giro con un velo, istituiamo il giorno in cui tutti gli uomini devono stare a fare i casalinghi, decidiamo che le delegazioni diplomatiche che vanno a visitare i paesi dove le donne sono discriminate siano composti di sole donne. Qualcuno di più fantasioso di me si faccia venire in mente qualcosa.

Possibile che ci siano magliette, slogan, gruppi, comitati per tutte le cause più minute, e non ce ne siano per la vita sbigottentemente ingiusta che vivono un numero impressionante di esseri umani?

>Sources: 1 2<

«They will in a minute»

Da un bel po’ di tempo tormento tutti i miei conoscenti con la più bella conferenza mai tenuta: stupenda, ispirante, gioiosa, divertente. Quelli che riuscivano a scamparla lo facevano con la solita scusa del non sapere l’inglese, ora l’ho trovata sottotitolata in italiano!

Sì chiama “Come la scuola uccide la creatività”, davvero, prendetevi questi 17 minuti. Garantisco che neanche uno se ne pentirà: