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Poco più di un anno fa scrissi un post molto eloquente, era intitolato Contro il PD. Parlavo della componente che, per semplicità, definiremo dalemiana/bersaniana/cuperliana (sì, certo, ci sono differenze). All’indomani delle ultime politiche dicevo:
una cosa è chiara: se il PD avesse preso il 41% (cioè il 7,76% in più rispetto alle ultime politiche), avrebbero detto che quella gigantesca vittoria era merito della svolta socialdemocratica e anti-liberista del PD. Invece hanno preso il 25.42% (cioè il 7,76% in meno rispetto alle ultime politiche), e cosa dicono? Esattamente lo stesso.
In sostanza l’infalsificabilità della propria opinione, la convinzione che qualunque dato di realtà conferma la propria teoria (è la definizione di furore ideologico, se ci pensate). Nel post citato ci sono molti altri esempî di vicende in cui un giorno ci si bullava dell’efficacia di una porcheria e il giorno successivo si negava recisamente che qualcuno avrebbe mai potuto farne una. Questo atteggiamento non è andato via: è rimasto, fortissimo, in molte discussioni (ultimi due esempî capitati), specie quelle che toccano punti cardine dell’ortodossia.
Però, oggi che Renzi ha preso proprio il 41% che un anno fa preconizzavo per paradosso, mi rendo conto che molte delle persone che condividevano quella battaglia, che rilevavano gli stessi problemi, lo facevano – in fondo – solo per partigianeria. Tanti che, in passato, criticavano la mentalità autoreferenziale e complottista interpretano precisamente così le azioni dei proprî avversarî. Solo nelle ultime 24 ore ci sono stati due esempî che mi hanno colpito.
Stefano Fassina ha dato un’intervista in cui riconosce, parzialmente, che su Renzi si era sbagliato. È un’intervista dignitosa, di una persona che in passato ha detto cose indegne. Umile, di una che in passato ha detto grandiosità. E che noi abbiamo criticato per questo. Accusare Fassina di essere “salito sul carro del vincitore” è la negazione di tutto ciò che gli abbiamo criticato in questi anni, e qualifica le critiche che gli venivano fatte come partigiane, anziché di contenuto. Accogliere negativamente il cambio d’idea altrui, cercarne lo sporco, è una delle peggiori abitudini italiane. Sulla questione Fassina/intervista ho detto tutto ciò che penso in questo thread (se non lo vedete, chiedete l’amicizia, è una persona simpatica).
L’altra vicenda è quella di Boschi che torna in Italia con i bambini congolesi finalmente adottati e si fa fotografare mentre uno di questi bambini le intreccia i capelli. Naturalmente non c’è nulla di male, è certo che Boschi fosse consapevole dell’effetto della foto ma non c’è modo – né ragione – di pensare che senza macchine fotografiche si sarebbe comportata in maniera differente. Non è una foto finta. Ma è, comunque, una scelta politica. Ed è una scelta politica efficace, perciò vincente. Al proposito, Chiara Geloni ha ricordato un’intervista in cui Massimo D’Alema raccontava una scelta opposta. Geloni stessa merita due righe, perché è la persona che più incarna la dinamica di cui parlo in questo post: come carnefice – è la più partigiana fra tutte, quella che presenta al parossismo, e rivendica, i peggiori difetti del PD; ma anche come vittima: proprio perché nelle logiche da conventicola è “nemica”, è anche destinataria di insulti indegni e pettegolezzi spregevoli.
D’Alema racconta, a una festa dell’Unità, che in un episodio molto simile a quello di Boschi ha fatto una scelta diversa. Ha deciso di far andare via le bambine prima di lui, di non permettere la pubblicazione di una foto del genere. Ha avuto questo pudore, e ne fa un punto d’orgoglio. È una cosa molto dignitosa, certamente politicamente inefficace, ma credo che ci si riconoscerebbero molti lettori di questo blog, io sicuramente. Anche in questo caso, però, invece di risposte misurate come «è una cosa molto bella, ma in politica bisogna essere bravi a pubblicizzare i proprî successi» ho letto critiche del tutto partigiane. Enrico Sola, uno molto bravo (come sono bravi Guido e Addolorato della conversazione FB, sto volutamente cercando i migliori, evitando gli interventi dei più ottusi e sguaiati) ha scritto “Dire ‘una volta ho fatto una cosa bellissima ma non me la sono tirata’ è tirarsela”.
Intanto non è vero, o non è quello il punto. La scelta di D’Alema, e la decisione di raccontarla a una festa dell’Unità (video che non conosceva praticamente nessuno, fino a ieri), in risposta a una specifica domanda di una giornalista, anni dopo l’episodio e due anni prima della vicenda Boschi, è una chiara scelta politica. Vuol dire decidere che quelle fotografie non sono una buona ragione per essere votati, vuol dire rinunciare alla demagogia perché non la si ritiene pertinente al ruolo politico come lo si concepisce: in una parola, ritenere che prendere voti grazie a ciò – in questo senso di mancata attinenza, leggete il post linkato prima di urlare – sia una forma di prostituzione. Può benissimo essere che queste cose siano necessarie ad avere successo, specie se gli avversarî ne usano di peggiori; ma non riconoscerne la dignità pre-politica perché viene da un avversario, perché nel grande dibattito sul partito “vuoto” o “pieno” fa perdere punti, è solamente ottuso o disonesto.
Il punto non è essere partigiani, lo siamo tutti (e io sono sempre contento quando la gente litiga alla luce del sole), ma esserlo a dispetto della realtà. Dimostrare che qualunque cosa succeda sarà filtrata, e archiviata nel proprio orizzonte etico, a seconda dell’origine ideologica o della convenienza politica. Mi sento solo, oggi.