Domenica 31 agosto

Maya! – Diario dalla Palestina 46

E poi venne il giorno dei giochi con l’acqua, erano quattro, questo uno: ricordate la staffetta? Ecco, questa era una staffetta con l’acqua: il percorso un po’ meno complicato, ma con un bicchiere in mano; più si va veloce, più si perde acqua. Affrontato tutto il percorso…

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…si getta l’acqua rimasta nella bottiglia! Acqua che potrebbe essere tanta o poca, a seconda della velocità e l’accortezza con cui si è percorso il tracciato. Vince chi riempie la bottiglia a tal punto da far uscire il tappo! Come vedete dall’intertempo ha poi vinto la squadra “Sprite”.

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Qui un altro gioco: lo facevo nelle ore di matematica, l’ho riadattato per i bimbi con l’acqua. Ci sono 60 caselle (ognuna una mattonella numerata), per ogni fila ce ne sono 3. Una di queste caselle è buona “quays!”, ma altre due sono bucate: ti becchi una bottigliata d’acqua addosso “maya!” e devi riniziare da capo. Si gioca per squadra, e ci si deve ricordare il percorso giusto che rimane sempre lo stesso. L’altra squadra viene rinschiusa dietro l’angolo per non poter spiare i progressi degli avversari. Chi arriva prima alla fine, vince!

Qui Plastic sulla casella, nell’incognita, dietro i 5 della sua squadra che scongiurano il cielo perché non piova (una bottigliata) d’acqua:

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L’altra squadra, non tutta inquadrata, mentre Ghaida mi implora di non fradiciarla:acqua-4.JPG

Inutile dirvi com’è finita!
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E qui Ghaida nel momento in cui scopre di aver vinto!

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Venerdì 29 agosto / special

Dalle stalle alle stelle (e strisce) – Diario dalla Palestina 45

No, ma lo volete mettere sbarrare le finestre dell’ufficio alle 5 del mattino per non sentire gli urlacci del Muezzin e concentrarsi sul discorso di accettazione della nomination di Barack Obama?

p.s. E volete mettere titolare “dalle stalle alle stelle” un post da Betlemme?

Giovedì 28 agosto

Jericho – Diario dalla Palestina 44

Nell’attesa di alcuni vandalismi ritratti da un amico italiano un po’ speciale, due foto veloci di una delle escursioni non ancora raccontate – devo ancora Hebron, che (de)merita un capitolone a parte – Jericho!

Se mi chiedete una volta cosa c’è a Jericho vi risponderò «nulla».

Se mi chiedete una seconda volta cosa c’è a Jericho vi risponderò «caldo»

Se me lo chiedete una terza, mi sforzerò: «datteri»

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E basta? Ecco, come avrete capito Jericho non mi ha entusiasmato. È il luogo dove i ricchi palestinesi hanno la seconda casa per l’inverno. Effettivamente il clima d’estate è più che torrido. La città vecchia è niente più che qualche rovina, di quelle che a Roma «se sentimo fichi perché ce l’avemo a ogni pizzo», e il monastero… faceva troppo caldo, insomma.

Però c’è un bel convento ortodosso, romeno, in ristrutturazione: sembra abbandonato, poi si entra. C’è una suora romena, con cui parliamo arabo (mi sarei mai immaginato di parlare arabo con una suora romena?) e ci accoglie con succo di frutta e biscotti andati a male mesi prima.

Poi entriamo nella chiesa, che è così piena, così ortodossa, così strana per il nostro gusto sobrio latino. Ed effettivamente c’ho pensato, ma l’avevo mai visto una rappresentazione sacra con gli occhiali. Sarà che siamo abituati a santi, dei e protettori di almeno 15 secoli fa?
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Martedì 26 agosto

Onestamente guadagnati – Diario dalla Palestina 43

A Roma, fra i quartieri male, si dice «suonare l’arpa» per intendere rubare: se fate il gesto del suonare l’arpa con la mano capirete il perché.

Un vero suonatore d’arpa, invece, non l’avevo mai visto: in qualche film, sicuramente, mai dal vivo – so quindi di colpire (anche) la vostra immaginazione di (anche) voi pubblico intellettualoide pubblicando questa foto.

Ieri sera, in giro per Gerusalemme by night, attirati da una specie di carillon che suonava lo sputtanatissimo Canone in re di Pachelbel, siamo sbucati su Ben Yehuda – più o meno il centro di Gerusalemme ovest – e ci siamo imbattuti in una vera suonatrice d’arpa.

A giudicare dall’abbigliamento e da altri particolari direi che vivesse di quello. Quasi tutti quelli che passavano lasciavano qualcosa, colpiti dalla regalità dell’arpa e di chi la suonava: c’era un gruppo di ragazze sedute ad ascoltare, fossi stato solo mi ci sarei messo anche io.

Poi siamo passati davanti a un suonatore di violino che rientrava molto di più nel cliché del Juif Errant – com’era il famoso indovinello? Perché ci sono così tanti violinisti ebrei, e così pochi pianisti? Beh, prova tu a scappare con un pianoforte sulle spalle!

Così sono passato e, a lui che mi aveva meno colpito e che probabilmente avevo visto lì altre volte, non ho lasciato soldi. Poi mi sono sentito in colpa.

Mi sto ancora domandando se gli altri spettatori improvvisati abbiano avuto la mia stessa percezione: visto che avevano lasciato qualche moneta a lei dovevano lasciarla anche a lui, o al contrario, avendo lasciato qualcosa a lei avevano consumato la propria buona azione e quindi non sentivano il bisogno di lasciare qualcosa anche a lui?

Insomma: la suonatrice d’arpa, rispetto al violinista, aveva «suonato l’arpa»?

Suonatrice d'arpa a Gerusalemme

Lunedì 25 agosto

Due di due – Diario dalla Palestina 42

Se è vero che quasi tutti in Palestina ce l’hanno con gli ebrei (indiscriminatamente) e una buona parte è antisemita, è anche vero che non ho mai sentito tanta islamofobia quanto quella dei cristiani palestinesi, in particolare di Betlemme.

Una sindrome da accerchiamento, perché da essere maggioranza incontrastata sono passati a essere minoranza; e sebbene mantengano il controllo economico, tutte le istituzioni pubbliche (tranne il sindaco che per decreto di Arafat è cristiano) sono mussulmane con quello che ne consegue a livello sociale, specie perché la vita qui procede moltissimo per conoscenze – l’altro giorno mi sono rivolto a un amico palestinese per comprare il pane, questi è andato a sua volta da un suo amico, il quale è amico del fornaio: così, a onor del vero, ho avuto il miglior pane di Betlemme (“casa del pane” in ebraico, effettivamente).

Se la polizia, quasi tutta mussulmana, ti ferma è probabile che tu – cristiano – abbia una sanzione più pesante di qualla di un mussulmano, se non altro perché quello conosce la famiglia di quell’altro che conosce etc.
Se vai in comune ad avviare una pratica, gli impiegati ti faranno aspettare settimane perché – in quanto cristiano – sarai scavalcato da tutte le pratiche di chi è mussulmano come gli impiegati.

Di contro se sei mussulmano potrai accedere alle scuole private (qui sono le migliori) con qualche renitenza, perché sono gestite tutte dalla Chiesa. Come è ovvio che a Betlemme l’economia giri intorno al cristianesimo: non solo per il turismo (vuoi aprire un negozio di souvenir senza essere o fingerti cristiano?), ma anche perché la gran parte dei mussulmani sono persone delle campagne circostanti arrivate negli ultimi cinquant’anni a Betlemme, e il centro storico è quindi tutto in mano ai cristiani.

La versione, tutta nuova per me, cristiano-betlemita della Nakba “la sciagura” – ovvero la creazione dello stato d’Israele e l’inizio della questione profughi – è che di sciagura si sia trattato in quanto l’ondata di profughi (e soprattutto i dieci figli a testa di questi) proveniente dall’attuale Israele ha islamizzato Betlemme.

I cristiani, tranne poche eccezioni, vanno nei negozi cristiani. I mussulmani vanno nei negozi mussulmani, così via dicendo: e non c’è modo d’uscirne, pare, perché qui la religione non si sceglie – è un marchio alla nascita.

Venerdì 22 agosto

5×7 – Diario dalla Palestina 41

Cinque parole per ogni foto:

Novità: Uahad, Tnin, Talata… Stella!
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Hanno appena imparato a giocarci:
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Cantando la Società dei Magnaccioni:
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Nuur atterra su di me:
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Muove le mani per Vivaldi:
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Qui gli ho insegnato “lumaca”:
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Matrimonio simulato, tutte vestite eleganti:
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Giovedì 21 agosto

La regola della teiera – Diario dalla Palestina 40

Siamo stati a casa di uno stronzo a cena: è il padre di Mohab, Rowan, Mohammed, Roa e Nuur. Picchia la moglie e i figli, ma davanti ai nostri occhi è così affabile; ma non di quell’affabilità doppia che ti aspetti da un personaggio del genere – per nulla – se non sapessi quello che so, non avrei presentito niente dell’individuo mefistofelico che ci raccontano.

Angela e Umberto stanno raccogliendo dei soldi in Italia per mantenere degli studi migliori per Mohab: Mohab è il più grande del gruppo dei grandi, e non è il più brillante. Questo padre violento l’ha proprio mutilato ed è certamente il figlio che ne ha risentito di più. La domanda, certo apparentemente cinica ma necessaria, è se adesso sia un minuto prima o un minuto dopo mezzanotte: se la brutalità abbia già avuto il suo corso e Mohab non abbia più modo di recuperare.
Se questa somma non indifferente non andrebbe investita su qualcun altro, anche gli stessi Rowan e Mohammed che non sembrano – ancora? – così segnati, così irrecuperabili.

Io non so rispondere: certamente prima di dare per “perduto” qualunque ragazzo ci penserei 100 volte, e farei moltissimi ultimi tentativi (come questo è nella testa di Umberto e Angela), però è anche vero che dare per lui vuoldire togliere per qualcun altro. Non ho proprio idea di quale sia la cosa migliore.

Tutto dà una notevole sensazione d’impotenza, Ahlam l’educatrice che di solito è molto morigerata nei giudizi dice senza troppo imbarazzo «io odio quell’uomo».

E, per inciso, qui non si può chiamare la polizia: è più o meno nei diritti del marito quello di picchiare la moglie e i figli. Gli unici che possono rivaleri sul marito – se lo ritengono opportuno – sono i maschi nella famiglia della moglie. La chiamano “la regola della teiera”, se ho capito bene l’arabo.

Domenica 17 agosto / sera

The fool on the French Hill – Diario dalla Palestina 39

Qui devono avermi preso per uno davvero strano. Uno dal quale puoi aspettarti di tutto e talmente fuori dagli schemi da possedere un’imprevedibilità pressoché assoluta.

Perché tanta premessa? Ecco.

Yusef è un ragazzo a cui insegno italiano, ha 11 anni (è il più giovane della “classe”), lo farebbe a scuola – in teoria – ma non sapeva neanche l’alfabeto. Sarà perché è abituato a lezioni molto austere e insegnanti inchiodati nel proprio spazio, ma da quando ha visto che a lezione chiedo agli studenti di urlare – più forte che possono – alcune parole (la timidezza è il peggior nemico nell’imparare una lingua), da me si aspetta di tutto.

Dunque, sono arrivato a casa e gli ho lasciato la bici: lui fa sempre qualche giro nel quartiere e poi me la riporta. Nel frattempo io stavo stendendo i panni con un aggeggio infermale che ha la fisionomia di uno stendino della NASA, e la stabilità di una tregua fra Hamas e esercito israeliano. Mi affaccio da questa specie di balconata piena di tralicci, ammassi di ferraglie e comuni denuclearizzati dove stendo i panni e lo vedo in bici, mi sbraccio e lo saluto.

Lui è entusiasta di vedermi quissù e mi chiede: «costa stai facendo?», io rinuncio completamente a provare a spiegargli in arabo «stendino», e gli dico che no, non sono in grado di spiegarglielo, ma lui – ancora più curioso – insiste. Allora che faccio? Prendo sto stendino, in cui c’erano solo due vestiti attaccati e penzolanti, uno a una estremità e uno all’altra (metterne due dallo stesso lato significa il decesso dello stendino della NASA), e glielo alzo, per farglielo vedere e fargli capire in quale operazione fossi affaccendato.

Lui, vedendo quell’arnese con i due vestiti ai due lati, mi urla «staaaaannna» (aspeeettta) lascia la bici e si catapulta su da me. È convinto che voglia provare a lanciare il mio nuovo prototipo dal terzo piano per vedere se vola.

Domenica 17 agosto / mattina

La corsa a ostacoli – Diario dalla Palestina 38

La corsa a ostacoli funzionava così: c’erano due squadre che partivano allineate  a mo’ di staffetta. Come testimone avevano una matita rossa e una blu (le due squadre erano appunto Azra e Ahara), qui vedete due foto della partenza da diverse angolazioni: il frazionista successivo doveva sempre prendere possesso della sedia lasciata libera dal frazionista precedente, e tutti dovevano scendere di uno scalino:
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Qui il percorso da un’altra angolazione, purtroppo non c’è nessun reperto del quadro dove segnare i punti che si trovava girato l’angolo:
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Qui invece io, fotografato a tradimento, in fase di collaudo e spiegazione:
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Ma come funzionava il percorso?  Le due squadre partivano con un bivio, ognuna dovevaç

  1. Prendere la strada obbligata per la propria squadra
  2. Infilarsi sotto al tavolo, strisciandoci sotto
  3. Saltare le seggioline appoggiate come ostacolo
  4. Fare un giro intorno al secchio della spazzatura
  5. Raccogliere il proprio rotolo di scotch (ce n’erano due e due scope), infilarlo dentro al proprio manico di scopa e farlo scivolare per tutto il bastone, in modo che atterrasse di nuovo sullo scottex (in caso contrario si doveva rifare)
  6. Girare l’angolo all’interno delle sedie appiattendosi il più possibile contro il muro, per non urtare le seggiole, pena la replica del bastone + scotch
  7. Andare a colorare con la propria matita i cerchi del colore della squadra avversaria su di un foglio attaccato dietro l’angolo (nelle foto non si vede)
  8. Saltare sullo scalino all’esterno della sedia, e saltare giù
  9. Intingere le dita in un piattino pieno d’acqua e poi arpionare con due dita (bagnate!) una saponetta e farla atterrare dall’altra parte della scatola (si vede meglio nella seconda foto)
  10. Passando nel pertugio aperto nelle seggioline, alzare e riabbassare il paccone ingombrante ma leggero pieno di carta igienica
  11. Passare in mezzo al tavolo e riprendere il proprio percorso
  12. Consegnare il testimone al frazionista successivo seduto sulla sedia e andarsi a sedere sul gradino più alto

Ovviamente la vittoria sarebbe andata alla squadra che con la propria matita avesse colorato più cerchi della squadra avversaria, al di là dell’angolo. Per la cronaca è stata la squadra blu.

Tutto ciò vi sembrerà complicatissimo, ma – come dico sempre – non dobbiamo mai sottovalutare questi bambini: le regole sono state capite benissimo da tutti, e anzi è stato molto difficilecercare di tenere a bada il loro istinto a barare, a partire prima, a evitare di bagnarsi le dita, etc. Ecco, se c’è una cosa che bisogna insegnare a questi bimbi è la lealtà. Stavo per scrivere che sembra di poca importanza ma non lo è, poi ho pensato che sembra anche, di grande importanza.

Altri due scatti – Reem e Rowan che stanno saltando le seggiole cercando di arrivare prima dell’altra alla strettoia imposta dal secchio della spazzatura (qui si vede il testimone, blu – quindi vittorioso – in mano a Reem):
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Qui Ahlam che sbuca da sotto al tavolo:
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Venerdì 15 agosto / sera

Una terra pericolosa – Diario dalla Palestina 37

Non c’è alcun dubbio che la cosa più pericolosa che mi sia capitata in Palestina sono gli autisti dei taxi collettivi che riescono a fare delle cose spaventose, per le quali – davvero – è meglio non guardare la strada, altrimenti ti prendi paura a ogni curva. Pensavo che gli israeliani guidassero in maniera assurda, l’autista dell’autobus pubblico di Gerusalemme che monta con il mezzo pieno di gente sul marciapiede per superare un altro veicolo sembrava un asso vincente, e invece mi sono dovuto ricredere. Ma stare a descrivere una guida spericolata è inutile, dire che vanno a 160 in curva invadendo l’altra corsia è varrebbe il dire che hanno quello che si dice normalmente una guida folle. È molto di più.

Poi l’altro giorno è passato un furgone con delle assi lunghe 3 metri sul retro, e una di queste è caduta – con tanta forza da spaccarsi a metà – passando a un paio di metri da Davide che stava camminando accanto a me. Non contento, l’autista, non ha né rinunciato a prendere l’asse (oramai rotta), né è sceso a piedi accostando al primo spiazzo: non poteva, era la strada principale di Betlemme (chiamata appunto “main street”) dove passano tutti sfrecciando, e non aveva spazio per fermarsi.
Così ha deciso di farsela in retromarcia.

Ecco, se venite in Palestina abbiate paura dei furgoni che trasportano travi di legno.