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Qualche giorno fa mi hanno segnalato un articolo che si proponeva di rispondere alle cose che avevo spiegato sul Post a proposito della falsa cartina su Israele e Palestina che gira sui social network. Il primo istinto, dato lo stile mellifluo e insinuante (solo nel primo paragrafo mi si accusa di: essere “insidioso”, di “fare finta di schierarmi con la verità”, di “ideologia sionista” e di voler “contribuire alla disinformazione” per alimentare “confusione riguardo il conflitto israelo-palestinese”), era stato quello di non rispondere: in fondo se uno è convinto che tu sia un agente della CIA, non c’è modo di dissuaderlo. Se dirai qualcosa a favore degli Stati Uniti «vedi? È un agente della CIA», se dirai qualcosa contro gli Stati Uniti «vedi? Cerca di nascondere che è un agente della CIA».
Poi, però, alcune persone mi hanno convinto a cambiare idea: intanto perché, come mi ha scritto Enrico, nell’informazione «il mantra “non esiste cattiva pubblicità, solo pubblicità” non funziona; questi blogghini vivono un sacco su un piccolo pubblico agguerrito, e sulla certezza che non riceveranno mai risposta perché appunto nessuno se li caga». E in seconda istanza perché c’è sempre, all’esterno dell’autoreferenzialità del pubblico dogmatico e agguerrito, un gruppo di persone genuinamente disposte a cambiare idea, e che magari hanno letto di sfuggita quello che ho scritto. Insomma: se non credo nel dialogo io, chi ci crede?
Perciò ho deciso di rielaborare una risposta che avevo dato su un social network, consapevole che se uno trova in qualche modo logico, intellettualmente onesto, e in una qualunque misura pertinente, ciò che è lì riportato, sarà ben difficile instaurare una discussione fondata sugli strumenti minimi, logici ed evidenziali, per instaurare un dialogo.
Le critiche che mi vengono mosse sono per lo più politiche – e di una matrice che ognuno può valutare secondo le proprie idee –, mentre il mio articolo vuole essere tutt’altro: un’opera di debunking a beneficio di tutti, nella (ingenua?) speranza che l’imprecisione storica sia nemica di tutti, e non soltanto di coloro che ne sono vittime. In tutto l’articolo, l’unica considerazione a tutti gli effetti politica che faccio è la seguente, che – da sola – sarebbe sufficiente a rispondere a tutte le allusioni sull'”opportunità” di dire le cose che uno pensa.
“La cosa peggiore [a proposito di queste mappe] è che, per descrivere l’erosione di territorio palestinese nel corso di questi decenni, non ci sarebbe bisogno di menzogne o fabbricazioni, basterebbe ricordare cosa sono i territorî del ’67, o parlare della costruzione di un numero sempre maggiore di colonie israeliane al di fuori della green line: in quattro parole, basterebbe dire la verità. Se si combatte per una causa giusta – la creazione di uno Stato Palestinese –, non bisogna usare esagerazioni o montature a fini propagandistici: altrimenti, almeno per me, si è perso in partenza.”
Quello che ho spiegato nel post, è solamente il perché quelle quattro mappe sono bugiarde, senza domandarmi “a chi conviene”, perché l’onestà intellettuale conviene sempre a chi tiene alle cose giuste. Perché, e questo è la dimostrazione che mentire non conviene mai, utilizzare la quarta mappa (quella che trova il suo criterio solo in: “la Palestina è ciò che Israele considera Palestina”) significa _negare_ l’occupazione israeliana. Se, per chi diffonde quella cartina, la Palestina oggi è quella, allora attualmente non c’è alcuna occupazione, perché quel territorio è già palestinese (e lo è, usando quel criterio, da meno di vent’anni).
Ma in fondo la cosa più significativa è che perfino l’articolo di cui sopra riconosce che le mie critiche sono giuste. Dice che quelle mappe hanno valore “simbolico” e non “geografico”. E – qui si raggiunge l’apice della cecità ideologica e del tafazzismo – che è stupido o in malafede chi non lo capisce. Eppure tante persone, ne conosco tante anche io (ed è così che ho avuto lo spunto per scrivere l’articolo), hanno diffuso quell’immagine e quelle mappe pensando proprio che quelli fossero i veri confini della Palestina, che quelle mappe descrivessero davvero l’erosione territoriale, che fossero mappe che rispondono alla verità storica e geografica del conflitto, non che fossero esagerazioni “simboliche”. Onestamente, sarebbe potuto capitare anche a me, su un tema che conosco meno. Invece tutte queste persone, quelle che hanno diffuso la cartina errata, sono stupide o in malafede?
Dopodiché l’articolo fa degli sfondoni storici giganteschi, come dire che la guerra del 48 è stata dichiarata dagli israeliani (da bocciatura al primo esame di storia contemporanea). L’unica accusa che resta in piedi è quella che io sia un agente di propaganda sionista. E su quello, beh, ognuno si esprima come vuole, e risponda al proprio senso del ridicolo: del resto, se mi becco del filopalestinese nei giorni pari, e del filoisraeliano nei giorni dispari vuol dire che o sono un lupo mannaro o c’è un problema nelle rispettive tifoserie.
EDIT: qualcuno mi chiede di commentare altri post in cui si muovono obiezioni all’articolo iniziale. Tutte le argomentazioni dei post che ho letto trovano risposta nel mio post iniziale: non ce n’è uno che, fattualmente, mette in dubbio ciò che dico. È l’effetto, credo, del fatto che queste risposte si siano messe in testa l’obiettivo “voglio difendere la causa palestinese” piuttosto che “voglio accertare la verità storica”. In ogni caso, in questo commento ripropongo in modo molto didascalico tutte i passaggi del perché quella mappa è bugiarda.
Visto che nessuno mette in dubbio la fattualità delle mie critiche, rispondo qui alle due obiezioni principali che ho ricevuto:
1) «sì, certo, è bugiarda; però è uno strumento utile per mostrare un’ingiustizia».
La mia risposta a questo è che usare mezzi bugiardi è sbagliato, anche nel combattere una battaglia giusta. Il rigore e l’onestà con cui si combattono le proprie battaglie finiscono per qualificare le battaglie stesse.
2) «sì, certo, non è precisissima, ma non è così bugiarda»
A chi dice questo, dopo tutta la spiegazione, posso solo rispondere concludendo che abbiamo standard di rigore e onestà molto diversi.