Martedì 30 settembre

A fare i grandi – Diario dalla Palestina 70

Oggi è il primo giorno della fine di Ramadan. Non lo si è saputo fino al tramonto di ieri, perché doveva succedere una cosa con la luna che non ho capito bene. Anche se pure gli imam non è che lo capiscano tanto bene: l’anno scorso, ad esempio, si son messi a avvistare la luna e, se in Egitto hanno visto così, in Arabia Saudita hanno visto cosà, quindi… potete immaginare.

Stavolta, invece, tutti d’accordo e quindi fine del Ramadan e primo giorno di vacanza per tutti (fino a venerdì). I negozi sono tutti chiusi e per strada non c’è nessuno. Cioè, nessun adulto. Perché invece è strapieno di bambini. Che giocano a fare i grandi. Le bambine, anche di 6 o 7 anni si vestono da donne, si armano di borsette, abbigliamento e passo femminile, e vanno in giro per la città in gruppo.

I maschi invece, vanno in giro in gruppetti più sparuti, tre, quattro, massimo cinque. Però tantissimi. Non ho mai visto così tanti bambini per strada, e fin qui. Il fatto è che vanno tutti in giro con un’arma giocattolo che spara pallini o niente. Avrò visto – non esagero – ottanta bambini, di cui quelli sprovvisti di mitra, pistola o un’arma qualunque si contavano sulla dita di una mano di Django Reinhartd.

Ho capito che c’erano tre modi di non farsi sparare (ché i pallini, quelli gialli, fanno male sulle chiappe). Uno era fare la faccia cattiva, se hanno paura che tu gliele dia, evitano e se la vanno a rifare su turisti attempati che non avrebbero la forza di rincorrerli. Il secondo era quello di portarsi la mano, orizzontale, alla fronte: come a fare il gesto del mettersi sull’attenti. Molto contenti della complicità, ti lasciavano passare come un “superiore”.

Il terzo era quello di mostrare molto interesse e anzi chiedergli, con le grame parole del mio minuto repertorio d’arabo, di fare una foto: al che tutti i ragazzini si mettevano in posa, impettiti, qualcuno si copriva il volto come nei video di Al-Qaida (Al caida?), qualcuno faceva una faccia fintamente minacciosa, la maggior parte sorrideva.

Non pensatemi meglio di quel che sono: ho usato anche i primi due. Qui alcune dei risultati del terzo metodo. Alla fine, dice, sono stato l’unico occidentale a non essere sparato.

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Ho sempre pensato che fosse una sciocchezza l’equivalenza fra gioco e realtà, ho sempre criticato i criticatori dei videogiochi violenti, e sostenuto che un gioco è un gioco.
Però devo ammettere che queste mini-squadriglie m’hanno fatto angosciato un po’, ci ho pensato tutto il giorno.

Ovviamente non sono giunto ad alcuna conclusione, se non che avrei dato tanto per vederli giocare a pallone.

Lunedà29 settembre

Ouagadougou – Diario dalla Palestina 69

Ecco un post squisitamente autoreferenziale, dicono che non ne rimmarrete delusi; dovete sapere che io, prima di un po’ di tempo fa, ero una di quelle persone noiose a cui piacciono quelle cose noiose, tipo la metrica, la poesia del 1200, le capitali, etc.

Poi, come raccontavo qui, mi son reso conto che mi mancavano la vita e il mondo, che dentro quel negozio di tabaccheria eccetera. Così ho buttato via un po’ tutto e ho deciso di non rimanere là, in quella università tanto accogliente da sprofondarci.

Però, dopo un anno di salutare disintossicazione, ho riniziato a frequentare quelle cose lì; e ho approfittato dell’inevitabile isolamento connaturato a un soggiorno solitario in Palestina per obbligarmi a tornare su ciò che avevo misuratamente amato: mi sono portato la Commedia e altra roba più scema da imparare a memoria, perché saperle così mi dà quel gusto di sentirle, le cose.

Ogni sera – dopo il thè alla menta da Afram, Mike, Omar, i due Amin e gli altri girevoli avventori – torno a casa e imparo qualcosina prima di dormire: Rodari, Trilussa, Fabrizi, solo cose che ti fanno fare un bel sorriso.
E qui vi propongo Campanile, perché a una tavolata di suore è così piaciuto (vabbè che devono essere buone per statuto…) che mi hanno tributato una trentina di secondi d’applauso.

Sabato 27 settembre / bonus

Yalla Paolo! – Diario dalla Palestina 68

Oggi ho riinforcato la bicicletta per la prima volta dopo l’incidente, in realtà non sono ancora in condizioni perfette, ma dovevo assolvere a un rito: due anni fa ero andato a Salisburgo, ed era stata una festa. L’anno scorso – dopo tanto chiacchierare – non c’ero andato, a Stoccarda, e per espiare la colpa avevo fatto un giro dell’isolato, improvvisando un circuito. Era stata un’altra festa.

Stavolta che era anche più vicino, in Italia, non ci sono io.
C’ho riprovato insomma: le salite le ho fatte a piedi, perché il ginocchio non posso ancora sforzarlo, ma il circuito è stato completato. Che sia di buon auspicio.

Un fioretto? Vai, va bene: se domani Bettini fa il tris porto un regalo da Betlemme a chiunque scriva “Triride” qui sotto (prima dell’arrivo).

Ah, per chi non lo sapesse il ciclismo sarebbe lo sport più romantico del mondo.

EDIT: qui trovate un’ottima guida per capirci qualcosa.

Sabato 27 settembre

Sonno stanco – Diario dalla Palestina 67

Come la storia degli spari. Non li noto più, ormai, e se li noto penso: «staranno festeggiando qualcosa», come fanno tutti qui. Invece i primi giorni era tutto un cercare di capire da dove provenissero, e vedere se c’erano segni visibili. Al contrario, qualche settimana fa è passato un aereo, in Italia ovviamente ci siamo abituati, ma qui lo spazio aereo è chiuso, quindi era un po’ che non ci facevo caso senza farci caso, e per un attimo ho pensato «ma che è ‘sta cosa?».

Così, mi svegliavo sempre alle 6 di mattina perché c’era l’omino con il carrello del pane che passava davanti a casa mia urlando «AE!» con voce incredibilmente nasale, non è che abbia un particolare significato in arabo, vuoldire A-E cioè nulla, ma tutti sanno che quando sentono «AE!» c’è il pane; sanno anche che quando sentono un carillon tipo Profondo Rosso c’è il gas. Purtroppo in questo humus (da non confondere con la specialità locale) che gli sarebbe così congeniale, dell’arrotino nessuna traccia; poi – come si dice a Roma – c’ho fatto er callo, e «AE!» non lo sento più.

Stanotte però s’è messo a piovere, ero lì lì per dormire, ma ho deciso di alzarmi: effettivamente era la prima pioggia che vedevo qui, neanche una goccia d’acqua da 3 mesi, vado a dare un’occhiata, per vedere l’effetto che fa. Non l’avessi mai fatto, sarà che m’ero condizionato, ma neanche chiudendo le finestre (erano sempre rimaste spalancate dal momento in cui ero entrato in casa). Non mi sono addormentato fino alle 2.30-3.00 quando la pioggia ha smesso.

Vabbè che gli fa? Dice. Dormi l’indomani fino a tardi, ché in effetti oggi non avevo né l’incontro coi bambini né le lezioni. Eh, non c’è stata abitudine che tenesse. Stamani alle solite 6, quando quello ha gridato «AE!», i tacchini che alleva il mio padrone di casa hanno iniziato a schiamazzare. Ma non come se fossero disturbati, proprio a rispondergli. Per una quindicina di volte sono andati avanti che lui urlava «AE!» e quelli rispondevano «aaak» (come si trascrive il goglottare del tacchino?). E se lui passa abbastanza lontano in strada, i tacchini sono proprio sotto la mia finestra. Come possa succedere rimane un mistero, tantopiù che «AE-AE» c’è tutte le mattine. L’uno faceva il suo verso, e gli altri rispondevano con il proprio.

Insomma, ho sonno.

Venerdì 26 settembre

Matrimonio alla Natività – Diario dalla Palestina 66

Domenica sono stato al mio primo matrimonio in Palestina, ho un invito a un altro nei pressi di Jenin, e non mancherò approfittandone per vedere anche il nord della West Bank.

Purtroppo sono entrambi matrimoni cristiani, vorrei vederne anche uno mussulmano, anche se alcuni stessi mussulmani m’hanno detto che è molto più noioso: cercherò di entrare nelle grazie di qualche mussulmano in attesa di convolare (avete mai usato tale verbo, in un contesto diverso da questo?) a nozze, anche se il problema è che molto spesso si sposano intorno ai 18 anni, e quell’età è completamente fuori dal mio target: conosco bambini, fino ai 14 anni, e poi ragazzi dai 22 anni in sù.

La cosa particolare di questo matrimonio è che, pur essendo sempre all’interno del cristianesimo, si sposavano un lui cattolico, e una lei siriana-ortodossa. Dato che nella Natività non c’è uno spazio siriano, ma c’è quello ortodosso, il rito è stato un miscuglio dei tre riti.

Per quello che ho visto non c’era un solo mussulmano fra tutti i presenti.

Il rito, tutto in arabo tranne l’Hallelujah (chissà se lo sanno che è una parola ebraica?), è piuttosto diverso da quello a cui siamo abituati in Europa. È molto più concentrato sulla chiesa, sulla fede, sul/i preti, che sugli sposi. Probabilmente assomiglia di più a quello che dovrebbe essere veramente il matrimonio, nella concezione cristiana: un rapporto verticale e non orizzontale, un’unione prima con Dio, e poi con il proprio coniuge.
Effettivamente i due futuri coniugi, in chiesa, mi sono sembrati così necessariamente poco complici: non si sono mai guardati negli occhi.

E poi non c’è neanche il «bacia la sposa»!


Alcune foto, ne seguiranno altre, della festa:Ecco l’arrivo della sposa:1-sposa.JPG

Scesa dalla macchina e accompagnata dal padrino e dalle damigelle:

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…intanto lo sposto l’aspetta sulla porta della chiesa:

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Vedete la chiesa addobbata, e questo corridoio dentro al quale stanno passando gli sposi, riempito di ornamenti: purtroppo si vede poco, qui lo sposo sta sciogliendo un nodo – un simbolo della verginità?

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Ecco la foto dei tanti riti. L’officiante è un prete cattolico, ma tutti gli altri sono ortodossi, siriani, etc: è così strano vederne tanti (4, uno è un cameraman!) sull’altare:

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Qui un video: «Vuoi tu Issa, prendere come tua legittima sposa Shamiran…»?

Dopo il sì, i due sposi vanno a pregare, in silenzio, senza rivolgersi parola l’un l’altra, sotto l’altare dedicato alla Madonna:

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Usciti dalla chiesa, le due famiglie di lui e di lei si dispongono in fila indiana con le spalle al muro, tutti gli invitati sciorinano a fare le congratulazioni a ciascuno dei componenti: sembra l’incontro di due squadre di calcio a centrocampo, ma molto più lungo – invece di undici e undici, qui sono una ventina e un centinaio:

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Infine la macchina che li porterà via, sulla targa dietro – invece – c’è scritto “Just Married”:

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Seguiranno le foto della festa…

Giovedì 25 settembre

E la storia continua –  Diaro dalla Palestina 65

Oggi soltanto qualche foto, ché magari rimettono di buon umore anche voi:

La storia continua e taluno è più attento di tal altri…

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…qualcuno che è fin troppo assorto…

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…così assorto che quando tutti gli altri vanno a giocare, decide di rifletterci un po’ su!

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Martedì 23 settembre

Oggi tocca a voi – Diario dalla Palestina 64

Oggi tocca a voi consolarmi. Il problema è che qui nessuno, anche quelli che sembrano i più illuminati, vuole la pace. Non la vuole concretamente, non la vuole nei fatti. Sì, certo, piacerebbe a tutti, ma per chiunque qualunque prezzo è troppo alto. C’è una tale sproporzione fra il desiderio di giustizia (così astratto, così partigiano), e il desiderio di pace – che dovrebbe essere più immediato, genuino: un istinto primario, come il mangiare e il bere.

E invece no. Meglio aspettare 100, 200 anni, magari millenni, con un’occupazione militare, senza uno stato, etc., piuttosto che vivere accanto a un paese che si chiama Israele. Non chiedo neanche un bagno di realismo (magari!), domando attenzione alla propria vita, avere a cuore i propri figli e i propri cari, non domandare un tale sacrificio per un pezzo di terra in più, per uno sciocco ideale.

Quanto mi piace quella frase di Russel che diceva così: «non morirei mai per le mie idee: potrei avere torto».

Ciò non vuoldire che la gente sia dalla parte del terrorismo, non ho incontrato nessuno che sia a favore dei kamikaze – ovviamente qualcuno ci sarà, ma la percentuale è residuale – ma allo stesso tempo sembra che tutti preferiscano perpetuare questa condizione, piuttosto che accettare la convivenza con Israele: è come un tabù, lo percepisco proprio, dirlo sarebbe tradire la propria gente, il proprio ideale, i propri morti.

È in questi momenti che penso che l’unica possibilità sia costruire un muro indistruttibile, alto 50 chilometri – qualunque sia il percorso – e, forse, fra duecento anni i nipoti dei nipoti dei nipoti di questa generazione torneranno a parlarsi.
Che l’unica pace possibile, è una pace imposta.

Com’era? Domani è un altro giorno.

Lunedì 22 settembre

Là dove il sì suona – Diario dalla Palestina 63

Un aggiornamento su quello che sto facendo: la mia occupazione principale, ovviamente, sono i pomeriggi con i bambini, ma – avendo le mattine libere – avevo programmato di tenere dei corsi d’italiano, come facevo in Italia con gli immigrati: l’ho detto più volte, qui l’italiano è apprezzato molto più di quanto non si pensi. Per dire, la scuola elementare più importante qui insegna tre lingue: arabo, inglese e italiano.

Più persone si erano mostrate interessate al mio corso, intorno alle due direttrici ben chiare che si occupano di volontariato in Palestina: i cattolici, e i comunisti. Ovviamente si conoscono tutti, e avevo detto a loro di mettersi d’accordo sul dove e il quando: soltanto poi ho capito che ogni gruppo ha un suo entourage, e difficilmente gli affiliati degli uni e degli altri convergono. In ogni caso avevo cominciato un corso all’Azione Cattolica, che aveva offerto i propri spazi. Era un corso che si teneva la mattina per i ragazzi delle scuole, e che sarebbe durato fino all’inizio della scuola.

Quattro di questi ragazzi mi avevano poi chiesto di continuare privatamente, cosicché avevamo programmato le lezioni nelle mattine in cui non c’è scuola (venerdì e domenica), e le sere – verso le 19 – dopo l’incontro con i bambini di Amal. L’incidente con la macchina aveva ritardato l’inizio del corso con l’Alternative Information Center, che sarebbero i marxisti, ma per fortuna ero riuscito a continuare con Dima, Yusef, Issa e Najeeb, che – quando ero bloccato a casa per la gamba – venivano da me, a domicilio, per fare lezione.

Così poi avevo fatto sapere all’AIC che avrei potuto iniziare: alcuni studenti l’avevo trovati io, nel frattempo, fra amici e conoscenti in giro per Betlemme, fra cui Murad che mi avrebbe dato un passaggio all’andata e al ritorno da Beit Sahour, luogo dov’è basato l’AIC; altri li aveva procacciati Sara, una ragazza italiana che fa il servizio civile in quell’organizzazione.

Va a finire che un’incolpevole e imbarazzata Sara mi comunica che – al contrario di quanto mi avevano detto in un primo tempo – era stato deciso che gli studenti avrebbero dovuto pagare 50 Shekel ciascuno; saranno anche pochi (10 euro), ma il fatto che su un corso d’italiano gratuito ci volesse guadagnare l’organizzazione non mi ha fatto un’ottima impressione: non stanno lì apposta per aiutare i palestinesi?

Come era andata a finire? Che, ovviamente, mi ero rifiutato di far pagare gli studenti cercandomi di arrabattare per trovare un posto e – non trovando altrimenti – finendo per addobbare ad aula il centro della mia associazione; certo, non è la cosa migliore, manca una lavagna, e lo spazio è quel che è, ma ci si può arrangiare senza problemi, con sedie e tavoli per bambini, foglie e cartelloni – qui vedete una foto:

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Ecco, una cosa va veramente detta, che per quanto piccola e disorganizzata (scopro oggi che è scaduta la registrazione del dominio del sito!!!), la mia associazione è animata da persone il cui unico interesse è provare a dare una mano.
Altro che scopo di lucro. E se c’è un modo per rendere più utile l’affitto che paghiamo per la sede, che ben venga.

Qui la foto di uno dei cartelloni che ho preparato per la prima lezione, e che lasceremo attaccato nella sede, perché l’alfabeto italiano può sempre tornare utile in un’associazione Italia-Palestina (quelli che vi sembrano scarabocchi sotto alle parole sono le traduzioni in arabo, ignoranti!):

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Il cartellone ha suscitato entusiasmo sia in Nabil che in Ahlam: Nabil è venuto anche lui a lezione d’italiano (alla fine eravamo 8 + 2 assenti giustificati, che considerate tutte le defezioni di chi non può muoversi da Beit Sahour a Betlemme è un buon numero); Ahlam invece ha voluto che facessi la prima lezione anche ai bambini cosicché imparassero almeno l’alfabeto italiano ché può sempre essere, qualunque sia la loro strada, un ottimo strumento:

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Io, per me, mi sono stupito di come questi bambini fossero profondamente interessati e partecipi: ovviamente adattando un po’ la lezione per renderla divertente, e nel modo in cui possono esserlo i bambini, sfidandosi l’un l’altro a indovinare la pronuncia delle lettere, ma è anche questo un modo di imparare, anzi, forse è il miglior modo.

Qui una foto di Yazan e Ghaida che indovinano (bravi!) le due pronunce della “O”:

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Infine quella che avrebbe dovuto essere una foto di gruppo, ma la fotografa – Tina – è molto più interessata alle foto che le si fanno (per le quali sta in posa anche 5 minuti) che a quelle che fa, perciò ha inquadrato soltanto la prima fila.

Così, a parte Ghaida, Ahlam e Yazan, s’intravedono soltanto un occhio di Nasri, un naso di Ahmed, un ciuffo di Reem, e Lana che – del tutto spontaneamente – è andata a prendersi un foglio e una matita, il tavolo su cui appoggiarli, e s’è messa a scrivere appunti estremamente impegnativi!

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p.s. poi c’è anche una suora a cui insegno un pochino d’inglese, ma questo è più diletto che opera.

Sabato 20 settembre

Mogli e buoi – Diario dalla Palestina 62

Mi ricordo che ai tempi della prima chiusura di Napster era nato un programma di p2p di cui non ricordo il nome che – essendo basato nei Teritori Occupati, ovvero dove uno stato non c’è – sfuggiva alla legalità internazionale. Così non c’erano problemi di diritti d’autore perché le case discografiche non avevano appigli legali per rivolgersi alla polizia e porre sotto sequestro i server, come accaduto per Razorback – il più popolare server di Emule fino a qualche tempo fa.

Questo per dire che, sempre nell’alveo della legalità, stavo cercando di scaricare un disco di un gruppo conosciuto da poco, con una modalità un po’ diversa da Emule, il torrent; Cerchi il file via internet, con l’album che desideri: trovi una pagina, spesso zeppa di pubblicità, che ti darà da scaricare un piccolo file usato come riferimento dal tuo programma. È un po’ più laborioso, c’è meno roba, ma è molto più veloce, e potete immaginare quanto la precaria connessione di qui sia un bell’ostacolo in questo senso. E io ero proprio curioso di sentire ‘sto gruppo.

Ovviamente la maggior parte delle pubblicità sono a sfondo sessuale, trova una moglie, trova una fidanzata, trova una puttana. Come funzionano questi Ad? Il sito in questione riconosce la località dalla quale è connesso l’utente e ti propone donne (eh sì, visto che il computer non può riconoscere se sei maschio o femmina, punta sui maschi che sono sempre i più idioti sul tema) dalle località più vicine. Aggiungendo poi una foto di una modella mezza nuda o in posizioni che dovrebbero essere sessualmente appetibili, ma assomigliano di più a numeri di ginnastica, o esercizi di qualche disciplina orientale new-age.

Quindi qual è il punto? Che stavo adoperandomi per scaricare questo album e sulla pagina relativa (potete scommettere su cosa viene a voi, in basso a sinistra) c’erano le foto, occidentalissime, di quattro presunte ragazze palestinesi bendisposte che venivano da… Ma’ale Addumim, Har Homa, e Har Gilo. Che sono tre colonie israeliane qui intorno.