Là dove il sì suona – Diario dalla Palestina 63
Un aggiornamento su quello che sto facendo: la mia occupazione principale, ovviamente, sono i pomeriggi con i bambini, ma – avendo le mattine libere – avevo programmato di tenere dei corsi d’italiano, come facevo in Italia con gli immigrati: l’ho detto più volte, qui l’italiano è apprezzato molto più di quanto non si pensi. Per dire, la scuola elementare più importante qui insegna tre lingue: arabo, inglese e italiano.
Più persone si erano mostrate interessate al mio corso, intorno alle due direttrici ben chiare che si occupano di volontariato in Palestina: i cattolici, e i comunisti. Ovviamente si conoscono tutti, e avevo detto a loro di mettersi d’accordo sul dove e il quando: soltanto poi ho capito che ogni gruppo ha un suo entourage, e difficilmente gli affiliati degli uni e degli altri convergono. In ogni caso avevo cominciato un corso all’Azione Cattolica, che aveva offerto i propri spazi. Era un corso che si teneva la mattina per i ragazzi delle scuole, e che sarebbe durato fino all’inizio della scuola.
Quattro di questi ragazzi mi avevano poi chiesto di continuare privatamente, cosicché avevamo programmato le lezioni nelle mattine in cui non c’è scuola (venerdì e domenica), e le sere – verso le 19 – dopo l’incontro con i bambini di Amal. L’incidente con la macchina aveva ritardato l’inizio del corso con l’Alternative Information Center, che sarebbero i marxisti, ma per fortuna ero riuscito a continuare con Dima, Yusef, Issa e Najeeb, che – quando ero bloccato a casa per la gamba – venivano da me, a domicilio, per fare lezione.
Così poi avevo fatto sapere all’AIC che avrei potuto iniziare: alcuni studenti l’avevo trovati io, nel frattempo, fra amici e conoscenti in giro per Betlemme, fra cui Murad che mi avrebbe dato un passaggio all’andata e al ritorno da Beit Sahour, luogo dov’è basato l’AIC; altri li aveva procacciati Sara, una ragazza italiana che fa il servizio civile in quell’organizzazione.
Va a finire che un’incolpevole e imbarazzata Sara mi comunica che – al contrario di quanto mi avevano detto in un primo tempo – era stato deciso che gli studenti avrebbero dovuto pagare 50 Shekel ciascuno; saranno anche pochi (10 euro), ma il fatto che su un corso d’italiano gratuito ci volesse guadagnare l’organizzazione non mi ha fatto un’ottima impressione: non stanno lì apposta per aiutare i palestinesi?
Come era andata a finire? Che, ovviamente, mi ero rifiutato di far pagare gli studenti cercandomi di arrabattare per trovare un posto e – non trovando altrimenti – finendo per addobbare ad aula il centro della mia associazione; certo, non è la cosa migliore, manca una lavagna, e lo spazio è quel che è, ma ci si può arrangiare senza problemi, con sedie e tavoli per bambini, foglie e cartelloni – qui vedete una foto:
Ecco, una cosa va veramente detta, che per quanto piccola e disorganizzata (scopro oggi che è scaduta la registrazione del dominio del sito!!!), la mia associazione è animata da persone il cui unico interesse è provare a dare una mano.
Altro che scopo di lucro. E se c’è un modo per rendere più utile l’affitto che paghiamo per la sede, che ben venga.
Qui la foto di uno dei cartelloni che ho preparato per la prima lezione, e che lasceremo attaccato nella sede, perché l’alfabeto italiano può sempre tornare utile in un’associazione Italia-Palestina (quelli che vi sembrano scarabocchi sotto alle parole sono le traduzioni in arabo, ignoranti!):
Il cartellone ha suscitato entusiasmo sia in Nabil che in Ahlam: Nabil è venuto anche lui a lezione d’italiano (alla fine eravamo 8 + 2 assenti giustificati, che considerate tutte le defezioni di chi non può muoversi da Beit Sahour a Betlemme è un buon numero); Ahlam invece ha voluto che facessi la prima lezione anche ai bambini cosicché imparassero almeno l’alfabeto italiano ché può sempre essere, qualunque sia la loro strada, un ottimo strumento:
Io, per me, mi sono stupito di come questi bambini fossero profondamente interessati e partecipi: ovviamente adattando un po’ la lezione per renderla divertente, e nel modo in cui possono esserlo i bambini, sfidandosi l’un l’altro a indovinare la pronuncia delle lettere, ma è anche questo un modo di imparare, anzi, forse è il miglior modo.
Qui una foto di Yazan e Ghaida che indovinano (bravi!) le due pronunce della “O”:
Infine quella che avrebbe dovuto essere una foto di gruppo, ma la fotografa – Tina – è molto più interessata alle foto che le si fanno (per le quali sta in posa anche 5 minuti) che a quelle che fa, perciò ha inquadrato soltanto la prima fila.
Così, a parte Ghaida, Ahlam e Yazan, s’intravedono soltanto un occhio di Nasri, un naso di Ahmed, un ciuffo di Reem, e Lana che – del tutto spontaneamente – è andata a prendersi un foglio e una matita, il tavolo su cui appoggiarli, e s’è messa a scrivere appunti estremamente impegnativi!
p.s. poi c’è anche una suora a cui insegno un pochino d’inglese, ma questo è più diletto che opera.
ma perché non hai messo due parole diverse per la e e la o?
tipo: e aperta, come bene
e chiusa, come pero
lo stesso vale per la esse e la zeta
e soprattutto: quanto è utile la trascrizione nell’alfabeto fonetico internazionale?
Luisa* – perché mi era necessario far capire loro la diversa gerarchia: le due “C” e “G” non sono intercambiabili (se vedi, anche graficamente è rappresentato in modo diverso), mentre – tutto sommato – se pronunciano “béne”, mi sta bene. È però importante che se la sentono dalla mia bocca, sappiano che non è che non hanno capito il suono, ma che ci sono due varianti.
Gianluca – per alcune lettere, come la “c morbida”, o la “g morbida”, è necessario per far loro capire la pronuncia. Non riescono a capirlo e pronunciarlo bene finché non gli spieghi di pronunciare “T” davanti a “Ciao”. Lo stesso vale in misura minore per S sonora, e le due Z che sono difficili per tutti (il fatto che /’roza/ in italiano si scriva “rosa” è un bel casino, come il ricordarsi che “q” e “c dura” sono lo stesso suono). Così una volta che dovevo scriverne alcune,ho pensato che fosse più sensato compilarle tutte, anziché lasciare gli spazi vuoti nel cartellone; ho anche notato che aiuta gli studenti con le consonanti: dato che sanno tutti l’inglese, vedere la stessa lettera in rosso e in nero vuoldire: «pronunciala come la pronunceresti in inglese»
* la spiegazione è data a Luisa anziché Giovanna perché un’obiezione simile non può essere fatta da una persone che dice, invertendo le due “o”, gónna.
il fatto che ci siano due tipi di o e di e da pronunciare in modo diverso mi perseguiterà nella sua difficoltà per tutta la vita.
Gran bella idea quella del cartellone. E la cosa che tanto mi piace è vedere così alto l’interesse di questi bambini. 🙂
non luisa, elisabétta grazie.
meglio gonna che afffffffffricano.
dici anche ombelllllico?
Ciao,
posso chiederti perchè hai preferito il metodo alfabetico-sillabico piuttosto che (giusto, vero?) che quello globale sintetico?
comunque bella idea..sei un pozzo di sorprese e risorse! angela
Perché è quello che insegno agli adulti a Roma. Non ne so, di quello che dici, però credo si riferisca all’apprendimento della prima lingua: no?
ma dipende anche l’inglese come seconda lingua si insegna con il metodo globale..comunque non è un errore..poi ti spiegherò in cosa consiste il metodo globale..
Io a parte i complimenti a Giovanni (bravo nello stimolare i ragazzi) vorrei soffermarmi sul fatto che questi bambini gia dalle foto si percepisce il loro per lo studio.
Per loro la lezione è un piacere e poco importa se per farlo devono rinunciare a qualcosa; noi occidentali (me compreso!) invece, nonostante siamo realmente dei “privileggiati”, viviamo la scuola come un dovere più che un diritto. Che tristezza…