Comincio questo blog in corrispondenza di una partenza, appena prima. È anche un modo per mantenere un contatto, e raccontare. L’idea di andare a fare volontariato parte da un principio molto concreto, e si sviluppa in maniera molto minimalista. Laureatomi, e constatata l’assenza di vita dentro l’ateneo ho accantonato (all’inizio titubando) l’eventualità di fare il professore universitario nella mia batuffolosa e pur bella facoltà.
Di qui la necessità di decidere cosa fare della propria vita, e l’impossibilità di farlo: per ora non ho deciso. Resomi conto che l’intuizione non sarebbe venuta nell’arco di poco, ho preso in considerazione l’idea di andare da qualche parte per darmi da fare: non è questione di bontà (se domani scoprissi che il mio sogno è pitturare portoni in campagna, andrei immediatamente a pitturare portoni in campagna) ma di non perdere tempo, come farei altrimenti qui; perderne un po’ di meno, più precisamente – questo il principio concreto.
Lo sviluppo minimalista è nella riduzione del danno, del non aspettarsi di cambiare il mondo, del sapere che cambierà veramente poco, e non solo poco ma mai abbastanza.
Il senso è quello di fare una piccola differenza, com’è nelle corde di ogni individuo, non eccezionale per questo.
Lo sconcerto di Lucy è anche il mio: non farò questo per tutta la vita, la mia non è una missione. Mi intimorisce anche un po’ la figura di chi ha dato la propria vita per gli altri. Per chi ha avuto un’infanzia alla quale è mancato poco, senza averne alcun merito, è anche un modo per trovare il modo di dire: «grazie».
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