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Questo è uno di quei post per cui penso di beccarmi dello stravagante, o del bastian contrario a qualunque costo: mi dispiace, perché è quello che penso davvero. E cioè che la cosa più sopravvalutata al mondo (dopo gli U2) è la famiglia.
A Berlusconi, fra ieri e lunedì, è stato revocato l’invito a parlare al forum delle famiglie: la cosa ha fatto particolare scandalo. Allo stesso incontro Sacconi ha detto di voler difendere «i diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e votate alla procreazione», rettificando poi parzialmente. Alemanno ha espresso il concetto ben più chiaramente: «se vogliamo aiutare le famiglie, che sono quelle sposate, dobbiamo aumentare le tasse ai single e alle coppie con pochi figli».
Ora, quel forum è fatto di gente che intende la famiglia nella maniera più chiusa e retriva, con i Ruoli con la “r” maiuscola, e la donna a fare la mamma (senza fecondazione assistita, però): insomma, gente che sarà inghiottita dalla storia prima di quanto credano loro, e forse anche prima di quanto creda io. Quindi non servirebbe neanche discutere quelle posizioni lì, e infatti non le discuto: la mia critica va molto più in profondità, e si rivolge all’istituzione della famiglia in quanto simulacro da cui la società trae origine, e che per me è invece fondata su un concetto orribile che è quello dell’affetto incondizionato.
Prima però voglio dire una cosa: non ho un modello alternativo, non sostengo che i bambini dovrebbero essere messi in campi di educazione sovietici, però non penso astrattamente bene della famiglia, penso soltanto che sia il meno peggio che abbiamo – e sì, rivendico forte che i figli non sono proprietà dei genitori, così come trovo scandaloso che genitori ebrei o mussulmani possano vietare a un bambino di mangiare un genere di cibo per qualche loro balzano capriccio, o un testimone di Geova impedisca al figlio di ricevere una trasfusione.
La famiglia è quella che, per prima, opprime moltissimi omosessuali che non riescono a fare coming out: per quasi tutti il terrore principale è la reazione del padre o della madre. La famiglia è quella che, in India, mette al rogo le vedove. La famiglia è quella dove, in Italia, si consuma il più alto numero di violenze sessuali. La famiglia è quella che, in molti paesi mussulmani, ti uccide per lavare l’onore compromesso per aver subito uno stupro. La famiglia è quella che, nella concentrazione del legame esclusivo fra genitori e figli, riproduce (e crea) tutti i difetti della società.
E poi c’è la dimostrazione pratica che quella retorica familiare non funziona: io non sono stato particolarmente fortunato, con la famiglia, e me la sono cavata piuttosto bene. Conosco tante altre persone che hanno avuto famiglie incasinate, assenti, strambe, e molti di questi vivono una vita spensierata e felice, così come ci sono quelli che hanno vissuto in famiglie normali, mamma e papà, tutto regolare e poi le cose son saltate in aria e hanno avuto una vita travagliatissima, alla quale erano impreparati (vale anche il viceversa, naturalmente).
La famiglia si fonda su un concetto santificato, quello dell’amore a qualunque costo, su cui nessuno ragiona mai: la teoria è che si vuole bene alla mamma e al papà qualunque cosa facciano, qualunque persona siano, qualunque orrore abbiano commesso. Hina, la ragazza uccisa dal padre perché vestiva in maniera troppo occidentale, dovrebbe volere bene al padre, se fosse sopravvissuta. Najaf dovrebbe volere bene al padre, che l’ha ridotta così (immagine forte). L’affetto di un mio amico, omosessuale, per la madre dovrebbe rimanere lì – non intaccato – anche se quella lo disprezza per essersi innamorato. Emidio dovrebbe volere il medesimo bene alla mamma e al papà, nonostante questo.
La questione, a parti invertite, è un po’ più complessa: nell’educazione dei figli un genitore conta molto, ed è quindi probabile che, se tuo figlio finisce per essere una persona che vive la sua vita per fare del male al prossimo, tu abbia almeno una parte di responsabilità. Ma, anche in questo caso, c’è un limite oltre il quale il voler bene non deve essere assoluto, e ciascun individuo deve fare con chi gli sta accanto la cosa più altruista al mondo, evitando di autoposizionarsi su di un piano morale superiore: comportarsi con gli altri con lo stesso metro con cui ci si comporterebbe con sé stessi, dare a ciascuno le proprie responsabilità.
Ci sono affetti, invece, che ti valorizzano e ti spronano a essere migliore. Che ci sono perché sei proprio tu, perché sei quella persona lì, e non solo lì per caso. Parlo delle persone che hai scelto, gli amici, la persona che si ha accanto – che è la prima amica –, i maestri che ti hanno insegnato, le persone da cui hai imparato senza che lo sapessero. Nella maggior parte dei casi, invece, nostra madre ci vorrebbe bene anche se fossimo le persone più spregevoli, torturatori di bambini, rovinatori di vite altrui.
In sostanza, la mamma non vuole bene a me, ma al mio ruolo: ci potrebbe essere chiunque al posto mio, Fabrizio Corona o Adolf Hitler, e per il suo affetto sarebbe perfettamente identico. Invece le persone a cui voglio bene, e che me ne vogliono, perché mi hanno scelto, lo fanno perché sono proprio io, perché sono così, perché ho preso determinate scelte che rivendico e non ne ho prese altre che considero deteriori. Se al posto mio ci fosse qualcun altro non gli vorrebbero lo stesso bene, perché vogliono bene a Giovanni, me, come essere umano. E questo è ciò che considero prezioso.
Alcuni di noi hanno la fortuna che queste cose coincidano, che i loro genitori siano stati persone eccezionali, e assieme amici, maestri, consiglieri: beati loro, hanno tante ragioni per essere invidiati. Ma gli altri, per favore, lasciateli in pace.
I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,
e non vi appartengono benché viviate insieme.