The fool on the French Hill – Diario dalla Palestina 39
Qui devono avermi preso per uno davvero strano. Uno dal quale puoi aspettarti di tutto e talmente fuori dagli schemi da possedere un’imprevedibilità pressoché assoluta.
Perché tanta premessa? Ecco.
Yusef è un ragazzo a cui insegno italiano, ha 11 anni (è il più giovane della “classe”), lo farebbe a scuola – in teoria – ma non sapeva neanche l’alfabeto. Sarà perché è abituato a lezioni molto austere e insegnanti inchiodati nel proprio spazio, ma da quando ha visto che a lezione chiedo agli studenti di urlare – più forte che possono – alcune parole (la timidezza è il peggior nemico nell’imparare una lingua), da me si aspetta di tutto.
Dunque, sono arrivato a casa e gli ho lasciato la bici: lui fa sempre qualche giro nel quartiere e poi me la riporta. Nel frattempo io stavo stendendo i panni con un aggeggio infermale che ha la fisionomia di uno stendino della NASA, e la stabilità di una tregua fra Hamas e esercito israeliano. Mi affaccio da questa specie di balconata piena di tralicci, ammassi di ferraglie e comuni denuclearizzati dove stendo i panni e lo vedo in bici, mi sbraccio e lo saluto.
Lui è entusiasta di vedermi quissù e mi chiede: «costa stai facendo?», io rinuncio completamente a provare a spiegargli in arabo «stendino», e gli dico che no, non sono in grado di spiegarglielo, ma lui – ancora più curioso – insiste. Allora che faccio? Prendo sto stendino, in cui c’erano solo due vestiti attaccati e penzolanti, uno a una estremità e uno all’altra (metterne due dallo stesso lato significa il decesso dello stendino della NASA), e glielo alzo, per farglielo vedere e fargli capire in quale operazione fossi affaccendato.
Lui, vedendo quell’arnese con i due vestiti ai due lati, mi urla «staaaaannna» (aspeeettta) lascia la bici e si catapulta su da me. È convinto che voglia provare a lanciare il mio nuovo prototipo dal terzo piano per vedere se vola.