iMille sono un gruppo di persone convinte che le cose possano cambiare. E che l’unico modo per fare sì che questo accada, è provarci. Fare le cose. Io, con loro, ho fatto qualche cosa per la creazione del Partito Democratico. Oltre ad aver fatto qualcosa, ho anche scritto delle cose:
ll premio Nobel per la medicina è italiano.
Deve essere un immigrato, forse da qualche parte del centroafrica, perché ha un nome strano: Morio Cpecei.
È un nome particolare, ma i suoi amici lo chiamano così, lui stesso si definisce “Cpecei”.
Vedi? Per una volta si può dire che nel nostro Bel Paese, la ricerca funziona, che anche da noi si può far progredire il sapere. E che, ogni tanto, i cervelli non fuggono, anzi trovano accoglienza!
Questo uno pensa, se legge il titolo del Corriere della Sera, “È italiano il Nobel per la medicina”. E invece.
Invece il nostro Morio vive da 60 anni negli Stati Uniti, e questa minuzia è bastata a quei burloni del Nobel per definirlo statunitense.
E se gli chiedono un’intervista – rigorosamente in inglese, a parte un “arrivedorci” da Stanlio e Olio – viene fuori che ama molto l’Italia, ma che qui è quasi impossibile fare ricerca, che “ci sono bravi scenziati, con idee, in ogni nazione, in particolare in Italia, ma che le grandi risorse dovrebbero essere ‘incanalate’ meglio”.
Niente di nuovo sotto le Alpi, sono cose che iMille dissero e continuano a dire, non perché sia una novità, anzi, perché sono cose così autoevidenti da essere condivise – almeno a parole – da tutti.
Il Corriere – come tutti i media – ha sottolineato le origini italiane dello scienziato: ha raccontato la storia di Capecchi, che per qualche anno girovagò per l’Italia, senza genitori: il padre morto, la madre deportata a Dachau; come quarant’anni fa ci si rincorse a trovare e romanzare la storia di Rocco Petrone, progettista del Saturn V che portò l’uomo sulla luna e americanissimo self made man, figlio di una poverissima famiglia di immigrati italiani.
Insomma come sempre, invece del Premio Nobel, ci accontentiamo del Premio Novel.