Io invece l’ultimo film di Virzì l’ho visto. Non dico che nonostante tutto è fatto bene, perché sia dire «nonostante tutto» che dire è «fatto bene» è da esperti di cinema, cosa che non sono. In realtà anche il dire di non esserlo, è un po’ da esperti di cinema, ma la falsa modestia non alberga qui.
Dunque posso solo dire che valeva la pena vederlo – e non solo per non essere escluso dalle conversazioni di amici; che certe cose sono raccontate proprio come mi piace che siano (a me persino il narratore fuori campo è sempre piaciuto, fin dai Laureati di Pieraccioni), altre sono banalizzate a tal punto che in certi momenti mi sono domandato: «ma lo sta facendo apposta?», per poi controdomandarmi «perché dovrebbe?».
Cerco di fare un post senza spoiler, quindi per quanto riguarda la trama dico solo che il finale è un po’ troppo prevedibile (e io sono un che i finali li azzecca solamente nei film horror/thriller, o più propriamente nei pochi horror/thriller che ho visto).
Effettivamente alcune scene sembrano decisamente macchiettistiche, immaginare che esista una casa in cui durante un preteso ritrovo molto chic ci siano televisori (credo al plasma) in tutte le stanze, accesi e sintonizzati sul Grande Fratello, non per burla o auto-ironia, né come condizione straordinaria, ma dipingendo il fenomeno come la più ordinaria assurdità della società d’oggi, è da pregiudizio culturale de sinistra. È la mutuazione decenni dopo, del Berlinguer che-la-televisione-a-colori-è-capitalista. Cioè essere conservatori. Il male, appunto della sinistra attuale.
In più lo scenario è surreale ma viene presentato come fosse ovunque così: ha forse ragione Akille a dire che (in alcune) società gli incaricati alla motivazione sfiorino il ridicolo, quel ridicolo del «Ma dove andremo a finire?», ma è categoricamente impossibile che non ci siano dubbi o lamentele, che questo meccanismo così oleato salti soltanto quando qualcuna viene licenziata per poca produttività o per una plateale crisi di nervi. La vita ha molte più sfumatore, almeno la metà di quelle dipendenti troverebbe ridicolo fare un balletto prima di entrare a lavorare (forse lo farebbe, per conformismo, ma lo troverebbe uno dei prezzi da pagare di quel tipo di lavoro).
È caricaturale presentare invidie sotanto fra le due migliori centraliniste del mese, e non se ne intravvedano nel maremagno delle altre ragazze la cui unica aspirazione sembra quella di essere premiate come dipendenti del mese. Una folla di persone che si lancia ad abbracciare la ragazza che ha vinto un portachiavi (sic!), ancora, non perché sotto al gioco psicologico, ma per pura spinta d’animo, beh è assolutamente inverosimile.
E poi l’ossessione del Grande Fratello: ho sentito Virzì a Condor raccontare di un giornalista con la puzza sotto al naso che gli avrebbe cercato di estirpare qualche censura del fenomeno reality, rimanendone deluso. Ecco, io avendo pur ascoltato le parole del regista mi trovo nella paradossale condizione di legittimare la domanda del giornalista. Anche qui, poi, tutto sempre esasperato, finto: io mi son trovato a contatto con ambienti ancor più abbrutiti di un pullman di centraliniste, e non mi è mai capitato di avere a che fare con una ventina di persone che dicano in coro «Non guardi il grande fratello…?!?», dopo averne parlato ininterrottamente per qualche minuto. Mi sembra una di quelle descrizioni dei ggiòvani d’oggi che si trovano sugli inserti dei quotidiani, oppure Bruno Vespa che parla dei blog: ehi, il mondo non è questo. Le persone sono più varie, la vita è più varia, c’è chi va a mangiare ad Ariccia e suona la chitarra, la ggente (così affine ai ‘ggiovani’) non è lo stereotipo immaginato dallo stereotipo dell’intellettuale radical-chic con una vista così miope da non arrivare a vedere il mondo: c’è tanta altra vita davanti.
Ovviamente da supercriticone quale sono ho parlato prevalentemente dei lati negativi, lascio quindi al voto che ho dato di riequilibrare questo commento venutomi fuori così ingeneroso:
Voto 6.5 con freccia in sù. Sono un classificatore (oltre che un ortografo vezzoso).