Le ebree ortodosse con il burqa

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Allora, la storia è questa: i fondamentalisti ebrei sono gli haredi, gli ebrei ultraortodossi. Ortodossi più ortodossi di tutti. In Israele ce n’è un bel po’ e vivono in comunità chiuse e unite, interi quartieri come Mea Sharim a Gerusalemme, o cittadine come Beit Shemesh. Quando ero lì in Palestina avevo raccontato qualche episodio al riguardo. Ricevono soldi dallo Stato in cambio delle loro preghiere, e dove sono maggioranza hanno creato una sorta di Stato nello Stato: una specie di polizia dei costumi, segregazione di genere, strade chiuse di shabbat e così via. Il governo israeliano il più delle volte chiude gli occhi.

Ora, come immaginerete, la pudicizia delle donne è uno degli aspetti fondamentali. Niente sesso prima del matrimonio, mentre dopo un sacco di sesso, ma solo per dare una quantità industriale di figli a Dio (e infatti se ne vedono una dozzina a famiglia). Alcuni sono più pazzi degli altri, fanno sesso con la moglie solo attraverso un panno che ne copra le parti non strettamente indispensabili alla procreazione, e tutte quelle altre cose per cui Dio ha inventato la misteriosa parola “fornicare”.

Ecco, succede che le mogli di questi mariti decidono di sorpassarli a destra (in Israele è pratica comune): si imbattono in qualche burqa indossato da donne palestinesi, e pensano: «oh, che bella idea: questo sì che è un modo per essere pudìche». E quindi – tadàn – iniziano a indossare il burqa anche loro e farlo indossare alle proprie figlie, per le quali approntano anche delle improvvisate scuole parallele (giacché quelle haredi non le vogliono). C’è anche un caso, divenuto piuttosto celebre, di genitori determinati a costringere la figlia a indossare il burqa (per poi scoprire che è fidanzata con un arabo). D’altronde, se il metro è la modestia, non c’è modo migliore per essere modeste che coprirsi da capo a piedi.

Non sono un gran numero queste ebree-talebane, qualche centinaio, però hanno creato un bel po’ di scompiglio: diversi mariti, invece di essere contenti dell’estrema castità delle loro mogli, si sono arrabbiati e hanno cercato di convincerle a cambiare idea. In più, in una società segregata come quella – non soltanto su basi sessuali ma anche su basi etnicoreligiose – fare qualcosa che assomiglia alle abitudini degli arabi-mussulmani è visto di pessimo occhio. Niente da fare, però.

Così questi uomini hanno deciso di rivolgersi ai rabbini perché decretassero che quell’abbigliamento non fosse conforme alle norme dell’Ebraismo. I rabbini in un primo tempo cincischiano, sedotti anche loro dal desiderio di castità delle donne. Poi, dopo qualche mese, visto che la moda sembra diffondersi, decidono di emettere una condanna di questo nuovo – spumeggiante – costume. È un feticismo, dice: come farlo con le manette e la divisa da poliziotto.

Fine della storia? Chissà. Anzi, è difficile: c’è sempre un rabbino che dice il contrario degli altri. Perciò, se non è Dio stesso a decidere di sbarcare sulla Terra per determinare Cosa Si Fa e Cosa Non Si Fa – fatto che tenderei a escludere –, bisogna arrangiarsi a risolversela da soli e andare a vedere sui testi sacri (che generalmente significa dare ragione a quello più scemo). C’è sempre uno più puro che ti epura, una volta di più.

Ecco: la prossima volta che scrivo, come faccio spesso, che “la libertà è contagiosa” ricordatemi che anche la stupidità non scherza mica.

grazie a Emanuela

La prossima volta disegnateci sopra Maometto

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Due ragazze francesi sono andate in giro con niqab (il burqa con la fessura per gli occhi) e minigonna, per protestare contro il divieto di burqa imposto in Francia. Quelli contro cui protestavano si sono fatti una risata, quelli con cui solidarizzavano l’avrebbero ammazzate.

scettico

Perché sono contrario alla legge francese che vieta il burqa

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Qualche tempo fa, al tempo della prima discussione su questa legge, avevo espresso tutti i miei dubbî sulla questione, senza però dare una risposta definitiva su come risolvessi la complessità dell’arcano – Francesco, al contrario e complementarmente, aveva portato a compimento quel ragionamento. Tuttavia, se mi avessero domandato di dover tracciare una linea, costretto dalla necessità di un voto, probabilmente mi sarei detto favorevole alla legge che vietasse il burqa. Ho cambiato idea.

Nel post precedente a questo spiegavo perché trovassi avventato, ed efferato, il paragone fra velinismo e burqa, ma avevo anche aggiunto – spiegando troppo sommariamente – che considero la legge francese sbagliata: alcuni, fra cui qui nei commenti, me ne hanno chiesto conto; mi è sembrato un partecipe tu quoque!. Io che scrivo in ogni tribuna che i diritti delle donne e degli omosessuali nel mondo, e soprattutto i diritti delle donne nell’Islam sono la vera emergenza mondiale, mi dico contrario a una legge che vieta il Burqa, uno dei maggiori simboli di oppressione di una donna. Provo a dare un respiro più ampio al mio pensiero.

Conservo alcune delle considerazioni, anche forti, che facevo sul significato del burqa:

Innanzitutto credo che bisogni partire da due presupposti: 1) le motivazioni di questo disegno di legge sono orribili 2) Il Burqa è male. (…) Sul secondo punto c’è poco da aggiungere: chiunque pensi che esistano, in qualche parte del mondo, delle persone che – geneticamente (e quindi non è un concetto inoculato loro) – nascono con la concezione che il corpo nel quale sono nate è uno strumento di peccato è precisamente un razzista. Chiunque consideri giusto che il controllo sessuale dell’uomo sia situato sul corpo della donna, come per la ragazza stuprata perché va in giro in minigonna, è un fascista.

Condivido, naturalmente – e come tutti –, l’introduzione  e l’asprezza delle pene per chi costringa una donna a indossare il burqa, e tutti gli aspetti positivi che riconoscevo a questo tipo di normativa:

Sicuramente la cosa più importante non è il fatto in sé, non è quella manciata di donne che – non potendo mettere il Burqa o il Niqab – usciranno un poco più scoperte, bensì il messaggio che si manda. I messaggi sono importantissimi e significativi, e sono sempre troppo sottovalutati. In questo momento, in ogni parte del mondo, ci sono delle persone che stanno combattendo la loro battaglia contro il burqa, una battaglia con sé stesse e con i loro maschi-padroni. Sapere che c’è qualcuno che sta dalla parte giusta è fontamentale, e infonde forza. Tutte coloro che ne sono uscite non smettono mai di raccontare quanto sono importanti questi segnali, così come non smettono mai di rimproverare gli atteggiamenti troppo accomodanti su cui ogni tanto ci impigriamo.

Naturalmente, qui, non entro nel merito delle questioni di sicurezza: se ci sono motivi per una legge che impone il viso scoperto è giusto che questa vada rispettata, e non ho un’opinione precisa in merito, ma è chiaro che una legge di quel tipo sarebbe surrettizia rispetto al fine di eliminare il burqa.

Francesco era giunto a queste conclusioni scrivendo:

(i rischi della legge) hanno molto a che fare con la natura prescrittiva e forzata del provvedimento, e sarebbero molto ridimensionati se la politica e i governi condannassero pubblicamente l’utilizzo del burqa, senza ipocrisie terzomondiste o razziste, ma fermandosi un passo prima dal renderlo illegale, e si impegnassero invece a testa bassa nella lotta al tradizionalismo, ai pregiudizi, alla violenza, alla sottomissione e alla segregazione delle donne.

Mi è tornato in mente oggi, quando provavo a spiegare le mie motivazioni a fblo che articolava la sua approvazione di questa legge in opposizione all’idea che “ognuno rispetti le proprie tradizioni”. Ci ho riflettuto, e penso che anche in questo caso non si possa venir meno all’osservanza del vero spartiacque fra ciò che lo Stato può impedire, il male agli altri (e perciò è giusto vietare il burqa fino a 18 anni), e ciò che non può impedire, il male a sé stessi.

Naturalmente è diverso lottare, come chiunque mi legga farebbe, per combattere quell’usanza e invece legiferare che sia vietato metterla in pratica. Uno Stato liberale ha il diritto, e – rispetto a casi orrendi come il burqa e le mutilazioni genitali femminili – anche il dovere, di disincentivare nei modi più forti queste pratiche, ma non valicando i limiti dell’autodeterminazione della persona. Come dicevamo, uno Stato liberale è liberale anche se permette le cose più stupide (come bruciare il Corano) o dannose per sé stessi (come indossare il burqa).

Dopodiché, armiamoci e bagagli per cercare tutti insieme di convincere più donne possibile – e, è particolarmente importante, tutelarle e metterle nella condizione di poterlo fare – a dismettere quello stumento di oppressione.

Burqa e veline non c’entrano nulla

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Giulia Innocenzi, alla quale mi legano diverse frequentazioni comuni che me ne hanno sempre parlato in termini molto positivi, e perciò – credo – anche una vicinanza su molte cose che pensiamo, ha scritto una sciocchezza: “partiamo dal velinismo prima che dal burqa“. Non solo fa un’equivalenza fasulla, ed efferata, fra due fenomeni la cui gravità è di una sproporzione spaventosa, ma articola l’idea per cui la priorità vada data al principio ragionevolmente meno impellente.

Naturalmente il velinismo, che è perfettamente riassunto nell’atteggiamento da millantatore in punta di cazzo del Presidente del Consiglio, è un fenomeno preoccupante, ma c’è un dato evidente: conosco tante persone che non si (s)vestono come veline. Possono farlo. Nessuno le ammazza, le picchia a sangue, le persegue per legge, le costringe in casa (anzi, semmai succede l’opposto) per essersi vestite troppo. Le donne costrette a portare il burqa – o anche l’hijab – invece non hanno scelta: se non lo fanno vengono uccise, massacrate e rinchiuse, nella migliore delle ipotesi (!) violentate – del resto è proprio questa la ragione per cui il Corano (33;59, 33;55) e numerosi Hadith sostengono che le donne debbono coprirsi: preceisamente per non aizzare il desiderio sessuale dell’uomo, e subire molestie (riecheggia qualcosa questa teoria della donna troppo svestita e quindi responsabile del proprio stupro, eh?).

Ciò, naturalmente, non vuol dire che non ci siano alcune donne che fin da bambine sono state così indottrinate  a considerare il proprio corpo come strumento del Diavolo, come succedeva fino a qualche tempo tempo fa in Italia, da voler mettere il Burqa di volontà propria, né che bisogni toglierglielo per legge. Anzi, io sono contrario al divieto del Burqa come in Francia, come ho detto in altre occasioni sono un “integralista del Primo Emendamento”, trovo la libertà d’espressione insindacabile (naturalmente, diverso è il discorso per una minorenne). Un’osservazione da fare, però, è che chiunque sia a favore dell’obiezione di coscienza come concetto – idea che io, invece, non sopporto – potrebbe trovare buone ragioni per essere a favore della legge: lo Stato francese fa obiezione di coscienza rispetto a una cosa che non ritiene giusta, ovvero il burqa.

Bisogna smettere di gonfiare questo benaltrismo sciocco per cui “noi-non-siamo-meglio-degli-altri”, e quindi ce ne laviamo le mani: intanto noi chi? Altri chi? Io considero giusta e importante dare l’adozione agli omosessuali, non mi sembra che la società in cui vivo – quel noi – sia molto favorevole alla prospettiva. Ma poi: da quando in qua le idee son giuste o sbagliate a seconda di chi le dice? Da quando in qua un’idea giusta, detta da uno che ha altri tipi di magagne, diventa un’idea sbagliata? Allora, se domani il Papa si alza e dice che bisogna eliminare la fame nel mondo, eliminare la fame nel mondo diventa sbagliato?

Noi – io, voi, tutti, ciascuno per sé – dobbiamo cercare di fare sì che gli altri, che sono quelli che ci stanno accanto ma anche quelli che ci saranno, siano meglio di quello che siamo noi. Non cerchiamo di farli assomigliare alla nostra società attuale, se non per le cose che ci piacciono, ma a una società migliore di questa.