Se avesse riso come per il terremoto all’Aquila, beh guarda che farabutta.
Se avesse fatto una faccia serena, beh guarda come non gliene frega niente.
Se avesse fatto una faccia imperturbabile, beh guarda che insensibile.
Se avesse fatto finta di niente, beh guarda come occulta la verità.
Se si è commossa, beh guarda che donnetta instabile che non può fare il ministro (e, giusto per contraddirci nello spazio di cinque minuti, comunque sono lacrime di coccodrillo!).
Chi non capisce il tifo contro, non capisce il tifo. E chi non capisce il tifo, non capisce il calcio.
La spiegazione breve è che, per ciascuno di noi, le squadre avversarie non sono i calciatori o la città; no, sono gli amici che tifano quella squadra lì. Se non c’è nessuna persona a cui vuoi bene da prendere in giro, o da cui essere preso in giro, è come giocare a Risiko da soli: ma che gusto c’è? La spiegazione lunga è qui, e ve l’andate a leggere, se ne avete voglia.
Capirete bene, quindi, che per un tifoso della Fiorentina che ha passato infanzia e adolescenza a Roma, Fiorentina-Roma è la partita dell’anno (infatti mi ero presentato in tenuta da combattimento). Più che Fiorentina-Lazio per due ragioni, così da far arrabbiare entrambi: perché i tifosi romanisti sono i più lamentosi d’Italia, qualunque partita, anche persa cinque a zero, è sempre colpa dell’arbitro, del palazzo, della sfortuna. E quindi è molto più bello batterli. La seconda è che la squadra al governo a Roma è la Roma: la Lazio è tutt’al più opposizione. E difatti, nonostante sia cresciuto a Roma Nord, conosco molti più romanisti.
Oggi la Fiorentina ha battuto tre a zero la Roma, e lo ha fatto nel migliore dei modi. Dimostrando la netta inferiorità della Roma. È importante: la partita non ha dimostrato la superiorità di una squadra vigliacca e senza gioco come la Fiorentina – di quello chissene frega –, no ha dimostrato la netta inferiorità di una Roma che ha giocato in maniera nulla, noiosa e irritante, nervosa e svogliata, irascibile e lagnosa, insomma ha giocato e perso da romanista, e questo sì che è ragione di gioia.
Ciò vale per la squadra, che ha finito la partita in otto uomini (e doveva finire in sette) e ha regalato due rigori alla Fiorentina (e dovevano essere tre). Ma c’è qualcosa di ancora più bello, e cioè che una sconfitta simile ha talmente traumatizzato i tifosi romanisti da averli completamente snaturati: li ho sentiti – naturalmente ho finito il credito a forza di telefonate e messaggi agli amici di una vita – mesti, rassegnati, arrendevoli. Quel rosicamento sommesso che regala una soddifazione speciale all’amico-avversario: non una lamentela, una critica all’arbitro, nessun piove-governo-ladro (eppure pioveva a dirotto e il governo passava la manovra!).
Per me la stagione è finita. Il campionato non può dare molto altro: se anche vincesse la Roma al ritorno, noi avremmo vinto all’andata, e per tre a zero. Basta così. E l’indirizzo della partita è stato talmente chiaro che, per tutti, la soddisfazione non è celebrativa di sé, è nello sfottò agli altri. Mentre si viaggia, sui treni in Toscana, si canta – la base è Cristina D’Avena –un-due-tre un-due-tre un-due-tre-tre questo è il valzer del romanista (notizie di prima mano).
E, come detto, vale all’inverso: a Roma della partita non ne parlano, cosa inaudita, neanche per lamentarsi. Sanno che se la possono prendere solo con loro stessi. Sanno che non hanno niente su cui possano recriminare, al di fuori della propria squadra. Sanno che se fosse stato un match di Pro Evolution Soccer si sarebbe detto che il giocatore che teneva la Roma aveva il tasto “quadrato” rotto. Sanno di aver deliberatamente buttato una partita contro una squadra cadavere. Sanno che l’hanno persa loro, e hanno fatto di tutto, per perderla. Sanno che se fosse scesa in campo solo la Fiorentina sarebbe finita 0-0. Non c’è soddisfazione più bella. Grazie, Roma.
Fascismo è una delle pochissime parole italiane che siamo riusciti a esportare in tutto il mondo nell’ultimo secolo, anzi è l’unica che mi venga in mente: che orgoglio, eh? Qui in Italia, luogo d’origine, si è molto più precisi, e perciò un fascista è quello col libro e il moschetto, viva il Duce e camicia nera. E ha certamente senso che sia così. Però, nel mondo, quella parola vuol dire un’altra cosa. E vuol dire esattamente questa cosa qui, quella che è successa al signore qui accanto. Chiedete a qualunque anglofono (ma anche francofono, immagino) qual è il significato di “Fascist behaviour”: vi descriverà proprio il trattamento che questi cavernicoli hanno riservato a Oscar Giannino.
Giannino – un liberale ottocentesco fino alle scarpe, e che per questo delle volte dice cose sbagliate – dovrebbe fare un nuovo incontro alla Statale di Milano, ma farlo un po’ diverso. Questa volta dovrebbe andare lì non a parlare di economia, ma a fare una bella lezione sulla filosofia dei pensatori cardinali del liberalismo sei-sette-ottocentesco, su cosa voglia dire per loro la libertà.
Christopher Hitchens, che è il più bravo di tutti, è riuscito trovare la frase che meglio potesse riassumere il significato di tre secoli di liberalismo, nell’Areopagitica di John Milton, in The Age of Reason di Thomas Paine, in On Liberty di John Stuart Mill. Hitchens dice che il senso profondo di questi tre libri è racchiuso in un concetto, che lui esprime così:
Non si tratta soltanto del diritto della persona che parla a essere ascoltato, è il diritto di tutti coloro che sono nel pubblico a poter sentire e ascoltare. Ogni volta che zittisci qualcuno ti rendi un prigioniero della tua stessa azione, perché ti neghi il diritto di ascoltare un’altra opinione.
Tiro fuori il blog dalla perdurante abulia per menzionare il commento del mese, scritto da uqbal sul blog di Francesco, in risposta a chi – non è importante il contesto –, alla fine di un ragionamento sull’esclusione di alcuni temi dal dibattito, gli contestava che fosse “Tutto legittimo per carità, ma vediamo di non essere ingenui”:
e invece vediamo proprio di essere un po’ più ingenui, perché non se ne può più delle continue analisi dietrologiche che spesso fanno somigliare la sinistra ad una Lega capace di usare i congiuntivi.