Un tempo si diceva che Il Foglio fosse, più che un giornale, un grande blog collettivo con delle idee un po’ strambe, e un’insolita apertura ai pareri altrui. Peggio! Hanno chiesto il mio, di parere, su cosa sia la coscienza, e ‘stavolta le idee strambe ce le ho messe io. Dice: ma sei riuscito a scrivere un post mangiapretesco anche per il Foglio? Beh, loro hanno fatto di più: l’hanno pubblicato.
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La ricopio qui:
Io ce l’ho col peccato originale. Questa faccenda che l’uomo sia cattivo e possa essere salvato dalle sovrastrutture etiche non m’ha mai convinto. Anzi, per me è tutto il contrario, che l’uomo è buono e son le sovrastrutture a fregarlo.
Noi saremmo naturalmente portati a voler bene – soprattutto a non voler far male – al prossimo, a tutti gli altri individui che condividono la nostra sorte; sono le varie circoscrizioni al ribasso della nostra specie a permettere l’elusione della Regola d’Oro: “non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. La disumanizzazione del prossimo, perché ha la pelle di un colore diverso, perché crede in un altro Dio, perché ha un’altra patria, rendono il prossimo – appunto – meno umano, disinnescando questo benigno riflesso condizionato.
Dunque sì, c’è davvero quella solita ignota chiamata coscienza, ma quando Madre Natura ce l’ha messa in dotazione non l’ha piazzata nel cuore o nell’anima, l’ha sistemata nel cervello, origine di tutti i beni. In realtà non la si dovrebbe chiamare coscienza, ma neuroni specchio, perché senza di quelli saremmo fregati: quando vediamo una persona stare male, stiamo male. Funzionano, funzioniamo così. E per una ragione semplice: ci conviene. Vivere a contatto con qualcuno che soffre se noi soffriamo, lo rende meno cagionevole all’egoismo. Dite che è una prospettiva gretta e una lirica illusione dell’età della Scienza? Macché, sapere che un seme di bontà è dentro chi ci sta accanto, è molto meglio che immaginarlo alle prese con una morale forzosa costruita per interposta divinità. Siamo buoni, ora dobbiamo dimostrarlo.
E quanto al lirismo dell’illusione, beh, sto con Trilussa:
Io, ne convengo, faccio una pazzia / a commette er peccato origginale: / ma er giorno che conosco er bene e er male / me formo una coscienza tutta mia. / Sarò padrone e schiavo de me stesso, / bono e cattivo, giudice e accusato / e, all’occasione, intelliggente e fesso.