Mercoledì 22 ottobre

Ancora sull’italiano – Diario dalla Palestina 89

Di tutti i miei studenti d’italiano il più particolare è Murad. Sarà pure normale, per noi, imparare le canzoni straniere e mugolarle, visto che non sappiamo il testo. Se poi uno se la cava con l’inglese, va a cercarsi come gruppo preferito uno islandese, con risultati persino peggiori.

Però che qualcuno sia appassionato della musica italiana – De André, De Gregori non l’opera – senza capirne le parole, mi sembrava strano. Invece Murad è così, e va più avanti: viene a imparare l’italiano proprio per capire le canzoni di De André, che – vi garantisco – sa tutte. O almeno sa mugularle tutte, e quando gli spiego i testi dice «aaah ma che bello».

Perché la cosa strana del fatto che l’Italia stia simpatica a tutti, è che – a parte Murad, che l’ama alla follia – è sempre la seconda nazione più simpatica, o il secondo popolo (che brutta parola) più simpatico. Chi dice che preferisce gli irlandesi, e poi gli italiani; chi dice che preferisce gli spagnoli, e poi gli italiani; chi i (in realtà “le”) francesi, e poi le italiane). Chi tifa il Brasile, e poi l’Italia. Chi vorrebbe vivere in Palestina ma, se costretto ad andare via, andrebbe in Italia. E così via, è un po’ come se fossimo il Chievo delle nazionalità.

E poi c’è Mohammed, il fratello di Ahlam, che è un tipo un po’ particolare. Ha l’aspetto e l’accento più da ghetto americano che possiate immaginare (trust lo dice pulito pulito “ciast”) tanto da essere soprannominato da qualcuno Puff Daddy, però è molto attento alla religione, alle tradizioni, a quello che pensa la gente. Dall’aspetto, veramente non lo diresti, anche perché ascolta musica americana, vede film americani.

Una volta mi chiese: «ma perché voi italiani avete due modi di parlare, uno normale e uno lento?» Io ci pensai un attimo, perché non capivo a cosa si riferisse, ma poi ebbi il colpo di genio: «The Godfather!» gli dissi, il Padrino. Che, ovviamente, era il suo film preferito. Così gli ho fatto l’accento siciliano, quello che lui collega al boss mafioso, quello che allunga tutte le vocali toniche (se provate a farlo, capite cosa intendo), e lui: «yes exactly!», Esatto!

E allora gli ho spiegato che quello non è “l’altro modo di parlare l’italiano”, ma è un dialetto. E che di dialetti ne abbiamo tanti, tanti altri. Però se provavo a imitargli il romanesco, il toscano, o il napoletano, non li distingueva. Quello del Padrino, invece sì.

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