Mercoledì 31 dicembre
31 December 2008, 18:04 | Diario dalla Palestina, immagina tu | Commenti: 7
La guerra che non c’è – Diario dalla Palestina 118
Per quanto il campo sia un campo di battaglia anche per la storiografia, una questione che ha sempre contato tanto – nelle guerre combattute da Israele – è stata la differenza di motivazione: se fino al ’73 Israele ha combattuto quattro guerre per la propria sopravvivenza, dalla due guerre in Libano, alle due intifada – si dice – quella coesiona data dal dover combattere per la sopravvivenza propria, dei propri figli, e del proprio popolo è venuto a mancare.
Se a Tel Aviv o a Gerusalemme, l’intera popolazione era in mobilitazione per respingere i nemici, nelle varie capitali arabe – si racconta – non c’era alcun clima di emergenza. A Damasco, a pochissimi chilometri dal Golan, e quindi dal fronte, la vita della città andava avanti. Si passava il tempo nei caffè. Un cifra che mi ha sempre stupito è stato il numero di soldati siriani morti nel ’67, in quella che è stata una vera disfatta per tutti i paesi arabi, Siria inclusa: neanche cento. È un dato emblematico, e raramente ci si riflette.
Ci ho ripensato oggi, quando un bel buco nella suola della scarpa, combinato con la pioggia, mi ha imposto l’acquisto di scarpe nuove, e il mio numero di piede (49), mi ha imposto di oltrepassare il muro e andare in cerca di un paio di scarpe della mia super-misura in uno di quei centri commerciali che hanno tutto quello che non richieda troppa fantasia.
L’avevo già visto a Gerusalemme, ma la visione di come la vita continuasse normalissima, senza nessuno sconvolgimento, con qualche misura di sicurezza in più – ma niente di troppo diverso da quello che c’è di solito – con quello che sta succedendo a Gaza, è stata un’immagine abbastanza forte.
Effettivamente in Europa ci si immaginano i carri armati al centro commerciale, invece tutto quello che si vede è la normale vita, e una buone dose di indifferenza: si dice che gli israeliani – giocoforza – ci siano abituati a “vivere in guerra”, ma quella che si respirava oggi era piuttosto indifferenza.
Caffè, anzi “espresso”.
L’immagine della tranquillità :
Famiglie, coppie, la vita prosegue normale:
C’è anche chi acquista gioielli:
Volevo fotografare una Kippà , ma non è venuta molto bene:
E i bambini giocano nelle aree ricreative:
Mi son reso conto che, al di là dell’indifferenza che obiettivamente indispone, questo post che voleva far vedere come la vita avanti normalmente – un’osservazione tanto banale – è uscito fuori un po’ moralista. Non era intenzione.
Qualche tempo fa in Israele una pubblicità -progresso, per la prudenza alla guida, diceva che dal ’48 a oggi le vittime della strada in Israele sono state di più che le vittime di tutte le guerre combattute da Israele sommate alle vittime degli attentati.
È un punto di vista anche quello.
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7 Commenti presenti su “Mercoledì 31 dicembre” – Feed
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Bene, e grazie! Questo blog crede nella persuasione – ama le discussioni e chi le fa. Si discute per cambiare idea o per dare la possibilità agli altri di cambiarla. Perciò, più della tua opinione, ci interessano le ragioni che la sostengono, ciò che potrebbe far cambiare idea anche a noi. E tu? Potresti cambiare idea? Se la risposta è no, è inutile partecipare alla discussione – hai già deciso di non farlo.
Moralista… Non so, secondo me il punto è proprio questo. E’ l’indifferenza, più di ogni altra cosa, che permette una situazione come quella che ci si ritrova.
Buon Anno, nel caso ci sia ancora speranza.
[…] mi ha visto tornare con le famose scarpe numero 49, che evidentemente non pensava io riuscissi a trovare, e ha commentato così: […]
Come dice la mia amica Tova ci si abitua a tutto, ma non si accetta tutto.E così mandi i figli di nuovo via da Israele, di nuovo nella diaspora. E portano con loro il ricordo (Hillà è viva per un raffreddore che l’ha trattenuta a casa, sennò sarebbe saltata per aria con gli altri sette compagni di classe sull’autobus) e nello stesso tempo la dimenticanza. E’ tutto emotivamente complesso e politicamente confuso. Non è moralismo. E’ un divenire più incerto di ogni divenire. Ma non riguarda solo Israele e la Palestina, riguarda tutto il mondo. E in fondo penso che le idee più confuse non le abbia la gente come me che non ha più idee, ma quelli che vogliono l’Idea. Scusa l’intrusione e complimenti per il blog
Troppe scuse, e confuse giuste considerazioni, grazie.
Magari se accendi la radio e provi a capire l’ebraico, ti accorgi che non c’è solo la solita indifferenza.
Sì, questo post mi è venuto male. L’indifferenza a cui volevo far riferimento era generale, rispetto alla situazione dei Territori Occupati. E per vedere quella non c’è bisogno di capire l’ebraico. Mentre qui avrei voluto far vedere come – al contrario di quanto si possa pensare in italia – dove ogni cosa viene strillata, la vita continua normalmente.
[…] Perché se accendesse la radio non capirebbe una parola, visto che -parole sue- non sa l’ebraico. http://www.distantisaluti.com/mercoledi-31-dicembre/ Ma ti torna utile, il coglione, se vuoi fare un bel predicozzo sui cuori degli israeliani (e degli […]