Chi vuol esser lieto, possa – Diario dalla Palestina 19
Mi ero chiesto in che ordine raccontare questo, perché l’ordine sembrerebbe far giustificare a una posizione l’altra, la giustapposizione dare un punto di vista. Allora ho deciso di raccontare le cose in ordine cronologico.
Sono andato in bici a Gerusalemme questa mattina, il nemico peggiore, peggio delle salite – che pure sono tante – è il caldo.
Solo con la bici – mi rendo conto – girando così, veloce ma lento, a ritmo diverso dai pedoni, ma anche dalle macchine, potendo andare dove le macchine non possono andare, ma pedalando, mi sento un po’ a casa. A Betlemme e a Gerusalemme.
Sulla strada per Gerusalemme c’è questa camionetta della polizia, israeliana, che passa a pochi metri e con la sirena, solo per far impaurire una vecchia donna araba velata, che era di lì in giro: lei, dimessa, non fa altro che scansarsi, evidentemente abituata a questo tipo di meschinerie.
Poi a Mea Sharim, il quartiere degli ebrei ortodossi, dei più puri fra gli epurati, chiedo indicazioni per Sheik Jara che è un quartiere arabo di Gerusalemme Est: nessuno mi sa dare indicazioni, nessuno mi vuole dare indicazioni.
A Sheik Jara non ci sono numeri sulle vie, è un quartiere arabo, quindi il governo israeliano ha deciso di non metterceli. Se vuoi farti recapitare una lettera, vai all’ufficio postale. Se inviti un amico non hai modo di spiegargli, magari trovi un punto di riferimento e lo vai a prendere. E di queste piccole, razziste, cose ce ne sono tante in Israele.
Poi sono passato dal centro di Gerusalemme, non la città vecchia, diciamo quello che è il centro di Gerusalemme ovest, la parte ebraica, e lì vedi la vita. I sorrisi divertiti dei giovani che scherzano con l’estate. E inevitabilmente ti senti parte di quello, dell’occidente, che è la tua casa. E magari ti sforzi di dire che la cultura occidentale non è superiore, perché è politicamente corretto. Poi vedi queste donne e pensi a quelle, questi sorrisi divertiti e liberi: sollevati da sguardi viscidi e camerateschi. E quei volti rassegnati, intravisti, sotto il velo. Quanto sarebbero più felici, le donne palestinesi, al di là del muro. Questo non può non contare.
Essere dalla parte delle libertà è essere dalla parte dei più deboli.
Sheik Jara esisteva prima del 1967, ben poco è cambiato da allora. Credi veramente che chi tiene le donne palestinesi remissive sotto il velo siano gli israeliani?
No, difatti, dicevo proprio il contrario: che sarebbero molto più felici in Israele. Alcune lo dicono proprio.
Probabilmente queste donne sarebbero molto più felici in Israele? Ne dubito, i loro mariti, padri, fratelli le costringerebbero ad indossare il velo (come si vede da quella donna di cui parli!). E’ incredibile il pregiudizio anti-israeliano (ma anche antiebraico) di molti sedicenti “compagni”. Israele si estende sul 2 per mille del territorio medio orientale, il restante 998 per mille è occupato dagli arabi. Ma non basta mai, le donne “palestinesi” devono vivere nel territorio israeliano per essere “felici” (e magari portare qualche bomba kamikaze sotto il burka). Il paesino non ha i numeri civici? Il governo israeliano è colpevole! Hai verificato che non ci siano anche dei piccoli villaggi ebrei senza il numero civico? In Giordania e altri paesi arabi gli ebrei non possono vivere né entrare (anzi sono stati espulsi). In Irak e altri paesi arabi gli ebrei vivono in ghetti. Ma tutto questo non è un problema. Gli arabi sono sempre buoni e gli ebrei cattivi, a prescindere.
Forse dovresti rileggere quello che ho scritto, Cecilia.