Parliamo del muro – Diario dalla Palestina 21
Parliamo del muro: qui è uno dei tanti tabù, tutti ne parlano male tout-court, trovi pochissimi palestinesi disposti ad ammettere che salvi vite umane, che abbia praticamente eliminato gli attentati suicidi (si parla del 95%) quale che fosse l’interesse reale dei vari governi israeliani.
È certo che il percorso, così com’è progettato, svolge una infame funzione politica: quella di annessione territoriale de facto che rende inoltre qualsiasi piano di smantellamento delle colonie inapplicabile. Detto che qualsiasi piano di costruzione di insediamenti, di colonie, è una fortissima ipoteca sulla pace, e il fatto che altri settlement siano in costruzione è una dichiarazione d’intenti, di menefreghismo, della Knesset.
Capisco anche l’importanza simbolica, il connotato evocativo che può avere – anzi che ha – un muro costruito fra due popoli che cercano (molto poco) di fare la pace, quanto possa essere un baluardo per i benintenzionati, e un alibi per i malintenzionati.
Arriviamo al però: io la maggior parte delle argomentazioni contrarie le trovo di tutt’altro tono, sento parlare dei palestinesi che non possono usare gli ospedali al di là del muro, che non possono andare a lavorare a Tel Aviv, o che non possono andare in vacanza sul mar mediterraneo. Che c’è bisogno di un permesso speciale per andare a visitare i propri parenti a Haifa, e che ora chi abitava a 10 km di distanza è come se abitasse in un altro mondo.
Ora, il mio mondo ideale è un mondo senza confini, però se dobbiamo confrontarci con ciò che c’è, e ciò che c’è ora, non si può trascurare una fatto: se davvero vogliamo il famoso due-popoli-due-stati, e – sì – lo vogliamo davvero perché è l’unica soluzione percorribile (qualcuno crede davvero alla Grande Palestina nell’arco dei prossimi, tiè, 200 anni?), due stati vuoldire due stati. Uno stato palestinese e uno israeliano, ognuno con i propri confini, le proprie frontiere, i propri permessi di lavoro, e anche… i propri ospedali.
In Europa siamo ormai abituati a poter andare a zonzo qua e là ma già 30 anni fa, anche meno, non era così facile andare in Germania. E nessuno si lamentava che non potessimo transitare liberamente in Austria per andare a visitare i nostri parenti emigrati.
Contestare il muro perché è più efficace di una rete (come quella che c’è in Galilea, fra Israele e Giordania, o – un po’ più solida – nel Negev fra Israele e Egitto) nel non permettere a dei cittadini che non ne hanno il diritto di passare da una parte all’altra, è come combattere i lucchetti delle bici perché si è contro la proprietà privata. Bisognerebbe semmai mettere in dubbio il principio.
Io sono disposto a farla questa battaglia, a contestare l’argomento patriottico: a lasciar da parte quella sciocchezza che è il nazionalismo, ma qui è tutto una home-land, un amor patrìo, un dare la vita per la propria terra e il proprio popolo, un Al-FalastÄ«n da una parte e un Eretz Yisrael dall’altra – ci dovremo pur fare i conti?
E che è successo! Che è ‘sto pragmatismo finale? Comunque bravo, facce capì qualcosa, anche se la foto dei confini del muro non è che chiarisca molto!
L’hai zummata?
Caro Giovanni, io sono per il muro. No, io sarei per la muraglia cinese ma ad un patto: che non passi su territorio palestinese, che non occupi territori. E’ vero che il muro impedisce gli attentati, per quanto sia triste, come sistema di difesa è efficiente. Magari tra un centinaio di anni quando ci saremo dati tutti una bella calmata, si potrà abbattere il muro. Nel frattempo incomincerò a sognare che concerto inviteremo per l’occasione…
Ciao, bellissime le foto.