Trova le differenze /2 – Diario della Palestina 80
In qualche modo è la seconda versione di questo.
Mohab è il più grande dei ragazzi, è quello con il padre violento che sembrava averlo rovinato. Ne avevo parlato qui, proprio quaranta racconti fa. Quello a cui sareste abituati – avvertire la moglie (picchiata anche lei), parlare con la famiglia (nella maggior parte dei casi è d’accordo), chiamare la polizia (ti dicono: «embè?) – in Palestina non si può fare.
In questi tre mesi è migliorato enormemente, le prime volte che lo vidi non parlava. Completamente in silenzio, sempre in disparte, sembrava abbrutito senza emozioni, neanche rabbia o disprezzo. Standogli accanto per un bel periodo ho iniziato ad apprezzare i momenti di apertura, sempre meno rari. In cui, nel mezzo di una discussione su altro, accennava alla propria condizione. Ovviamente in maniera velata, amara, parlando sempre in generale. È-ingiusto-che-succeda-questo. Ancora più spesso in contrapposizione, mentre si sta raccontando di una storia o spiegando qualcosa che è giusto fare, Mohab dice «eh ma spesso non è così». Domani vi racconterò di una tal volta.
Piano piano è migliorato, e gran parte del merito è di Angela (G) e Umberto che hanno raccolto i soldi necessari a mandarlo in una scuola migliore, una scuola privata. Al contrario di ciò che succede in Italia, le scuole private sono enormemente migliori – sono quasi tutte gestite dalla Chiesa, e sono molto costose. Gli insegnanti se ne fregano degli studenti, e tutto ciò che fanno è dare cose da imparare a memoria. Non rispondono neanche alle domande che gli fai se non hai capito, ci ha raccontato Mohab.
Ora le cose vanno molto meglio, Mohab sorride spesso e l’altro giorno si è addirittura seduto, da solo, accanto a una femmina. La cultura della segregazione inizia sin da bambini, e più volte i maschi si sono rifiutati di continuare un gioco perché si trovavano a doversi sedere accanto a una bambina (ovviamente Ahlam e io siamo inflessibili). Invece un paio di settimane fa Mohab era arrivato prima degli altri ragazzi, e c’era solamente Nama, la sorellina di Ahlam che c’era venuta a trovare. Così, mentre io e Ahlam finivamo un lavoro per l’associazione, lui e Nama si sono messi a giocare a ‘Uno’, che fra i nostri bimbi spopola. Io, solito scemo, non m’ero accorto di nulla, ma Ahlam mi ha detto «guarda, guarda…».
Anche con me Mohab ha iniziato a prendere confidenza, e ora quando mi vede mi fa l’occhiolino e mi dice «ciaó», lo pronuncia con l’accento sulla ‘o’. Tanto da farmi capire che anche lui è contento di scherzarci su. Così, l’altro ieri, non abbiamo fatto una foto assieme, ne abbiamo fatte due – una con la faccia triste che faceva quando sono arrivato, e una con la faccia di tre mesi dopo:
Le trovate le differenze..?
E’ molto bello quello che tutti voi, in un modo o nell’altro siete riusciti a fare con questo ragazzo e con tutti gli altri.
concordo con Valentina.