Vetro e ceramiche a Hebron – Diario dalla Palestina 88
Questo post è per il povero Carlo. Il tapino ha una collezione di coffee mug (tazze, quelle americane con il manicone) da tutto il mondo. E perciò mi ha commissionato l’acquisto di una di queste con la bandiera della Palestina. Ora voi direte, ma la Palestina non è (ancora?) uno stato. E io dico, beh non ditelo a me ditelo a lui.
Il problema, come avevo scoperto nella mia precedente visita, è che nonostante il nazionalismo che si vede da entrambe le parti del muro (andando in giro, vedendo tutte le bandiere da entrambe le parti, direste che è perennemente in corso una partita di calcio fra Israele e Palestina, e in un certo senso) non esiste quella tazza, fatta in serie, in tutta la Palestina.
Credevo fosse facilissimo trovarla, d’altronde fanno qualunque cosa con la bandiera palestinese, e invece si trova con simboli della fede, con le città, ma nessuna con la bandiera.
Però è una collezione, e le capisco le ossessioni. Quindi dico, vediamo se la posso ordinare, se chiedo loro di farla. A Betlemme conosco varie persone – oramai amici – che vendono souvenir, pensavo dunque di non avere problemi, specie dopo le rassicurazioni: «la ordiniamo a Hebron, quello è amico mio, vedrai che un favore te lo fa». Me l’hanno detto in più persone, e quando non arrivava beh, domani, inshallah: se Dio vuole.
E qui sorge un altro problema: non solo affidarsi alla volontà Dio per un ordine (ma Inshallah è quasi un intercalare: allora ci vediamo alle 2 domani? Inshallah.) sembra un briciolo scomodante per la divinità, avrà altro da fare, credo.
Ma anche su “domani” ci sono dei problemi, come mi hanno spiegato in Palestina “bukra doesn’t mean tomorrow, it means not today” – Bukra non vuoldire ‘domani’ come insegnano le grammatiche – vuoldire ‘non oggi’.
Così dopo mesi di promessa insoluta mi sono deciso ad andarmela a prendere da me, dice che Hebron è l’unico posto dove farla. E a Hebron, l’unico posto dove fanno questo tipo di cose, è questa fabbrica:
All’entrata c’è un cartello, con scritto in inglese: per favore entrate e fate tutte le foto che volete:
Effettivamente vedere queste persone all’opera, lavori di precisione fatti a mano, è molto bello:
Loro sono molto professionali nel non essere distolti da stranieri fotografanti, e anzi spesso si fermano mentre li fotografi – come a mettersi in posa:
So bene che, purtroppo, le foto non rendono bene la bellezza di queste operazioni:
Alla fine, la a-lungo-desiderata coffee mug è questa. Ma ovviamente ci mettono qualche giorno a farla:
Dipingono gli interni, e dentro ci disegnano la bandiera della Palestina. Un po’ piccolina effettivamente, ma in tutta la Palestina non c’è altro posto.
Sono tornato a mani vuote, dunque, ma con questa foto come bottino, da passare al vaglio del collezionista, per poi andare a ritirarla fra un mesetto.
Quindi Carlo, ti chiedo, Hal a’jabak?
Certo che va bene! E ti assicuro che sarà la Coffee Mug più amata e apprezzata della mia collezione.
Se consideri che molte Coffee, pur provenendo dai paesi che rappresentano, alla fine hanno scritto sotto “Made in China” o Taiwan, beh … quale Coffee sarà più autentica di una fatta apposta da artigiani di quel paese ?!
Beh … con questo post i lettori avranno capito comunque due cose: la prima è che io “non sono normale” (tanto da rompere le scatole a chiunque si avventuri in un paese straniero), e la seconda è che Giovanni è veramente MITIKO!
Dimenticavo: comunque non è che il mio … “standard” preveda rigorosamente la bandiera. Va bene anche il nome di una città , o il disegno di un monumento, insomma qualunque cosa indichi inequivocabilmente di quale paese si tratti.
Comunque, dopo avere visto lo “stato dell’arte” della “MIA” Coffee palestinese, è evidente che quella che sta per vedere la luce è senza dubbio “la mejo” !
leggendo, quasi quasi mi viene il desiderio di avere un'”ossessione”…
Caspita!
Splendido veramente, ad Hebron ci sono stata quindi leggo con vero piacere…nel caso…. io colleziono magneti…. 🙂
Son contenta che quel Carlo volesse la mug… proprio bella questa esperienza – che ci riporti con foto – nella ceramica palestinese!
Mi ha fatto sorridere “Bukra”: ho lavorato un paio d’anni in Grecia, e là ho imparato che “Avrio”, domani, non significa “grosso modo tra 24 ore” bensì indica un futuro più o meno prossimo non meglio definito. Bello!
Bel reportage davvero! Quet’arte ha di per se un’idea di grande espressione artistica.
Angela