Lunedì 3 novembre

Refugee camp – Diario dalla Palestina 95

I campi profughi in Palestina non sono quello che si aspetta l’occhio occidentale abituato agli spezzoni di TG sui paesi africani con le tende e le mosche che ronzano intorno a quei visi smagriti. I campi profughi sono agglomerati di persone, qualche volta grandi quanto una città di provincia, che hanno (o più spesso hanno ereditato) lo status di profugo.

Per fortuna la situazione è molto meno peggio di quanto saremmo abituati a pensare: non ci sono tende, ma case. Ci sono negozi, mezzi pubblici di linea, connessione a internet. C’è più poverta che nella Palestina in genere, ma non così tanta di più. Spesso si vive sugli aiuti dall’estero, e numerosissimi edifici sono intitolati a uno stato o a quell’altro, in virtù delle donazioni ricevute per la costruzione. Dà un grande aiuto l’UNRWA, l’agenzia dell’ONU che fornisce ai “profughi” sussidi, gas, luce, acqua, raccolta della spazzatura. Più di un palestinese mi ha anche confesato un po’ di risentimento verso chi può vantare dello status di profugo: «certo che io ti faccio pagare il falafel 4 shekel e a Aida lo paghi 2 shekel: lì le Nazioni Unite gli pagano l’affitto e tutte le bollette!», mi ha detto il venditore di falafel più buono di Betlemme.

In Europa se ne parla tanto – le considerazioni politiche al riguardo le rimando a un altro post – questo qui solo per mostrare quello che mi sembra più interessante: come è effettivamente un campo profughi.

Di campi profughi ne ho visti una decina, e devo dire che non sono troppo diversi l’uno dall’altro; quello a cui ho fatto più foto è quello di Jenin, celebre per il massacro/battaglia divenuto tristemente celebre nel 2001. Le foto che seguono sono di lì.

Non c’è una vera e propria entrata al campo profughi di Jenin, come quasi sempre accade non c’è soluzione di continuità con la città, questa è più o meno l’entrata:

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Qualche casa:

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L’unico vero modo per riconoscere quando inizia un campo profughi sono i cassonetti dell’ONU, che sono grandissimi e tutti blu con scritto “UN”. Qui la foto è venuta male, ma potete intravvederlo sulla sinistra, accanto a dei normali cassonetti.

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Una sala da biliardo ingegnosamente ricavata in un garage, purtroppo tutti fumano, quindi io non ci posso entrare:

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Ecco la sede dell’UNRWA l’agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi. Ce n’è una, oltre a scuole, e altre infrastrutture, in ogni campo. Per quanto ci siano contestazioni in entrambi i sensi (dicono di essere contro, ma non fermano le azioni degli israeliani! I palestinesi sono privilegiati rispetto a tutti gli altri profughi al mondo! Cose entrambe vere), l’UNRWA è l’unica che fa veramente qualcosa:

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Gli onnipresenti festoni con le bandierine palestinesi, anche a Jenin non possono certo mancare:

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Un negozietto della compagnia telefonica (di cellulari) palestinese, Jawwal:

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In Palestina, e ancor più nei campi profughi Saddam Hussein è molto amato. La cosa risale al tempo in cui mandava un assegno di mille dollari a ogni famiglia di uno Shaeed, un martire, uccisosi esplodendo in Israele. Di cartelloni come questo sono piene le strade, le case:

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Una foto alle strade, dall’automobile:

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Un altro Saddam. Ogni volta che li vedo penso al mezzo milione di persone, arabi, mussulmani, uccise in Iraq da Saddam Hussein, e – come ho detto a qualcuno – it makes me cringe.

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Come in ogni paese che si rispetti, anche i campi profughi hanno la loro moschea:

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