Alcuni luoghi comuni su Hamas

Ho letto che il Professor Beccaria voleva spiegare perché il post di Leonardo è il peggior post su Gaza, però poi gli è passata la voglia. Mi stupiva, perché è capitato più d’una volta che non fossi d’accordo con Leonardo, ma lo trovavo sempre acuto, e – per usare parole non mie – uno che ha dei (bei) sogni educati. Invece qui, mi sembra che abbia ragione Marco. E allora provo a spiegarlo io, il perché non è il migliore post su Gaza.

Lo faccio con quel modo che ho visto utilizzare da Leonardo stesso, e che avevo apprezzato molto: punto per punto. Leonardo in corsivo.

1. È Hamas che ha rotto la tregua
Le tregue sono fatte per rompersi, per definizione
.

Che è come dire che i matrimoni sono fatti per divorziare. Non sono fatti per. E poi poco più giù non si diceva che le tregue sono fatte per durare, perché se uno si confronta con una partito religioso ma (millenaristico) che si richiama al Corano, questo non potrà mai accettare una tregua o chiamarla tale? Sarà una pace, mi sembra dicesse Leonardo, ma chiamata tregua.

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Ovvio

Ecco, un esempio, è una settimana che sento dire tutti, tutte le parti, tutti i luoghi – molto ragionevolmente – che è ovvio che Obama non parlasse (con mio rammarico) di Gaza. E ha parlato. Ora sicuramente ci sarà una ragionevolissima spiegazione per la quale è ovvio che avrebbe parlato, ed era ovvio che fosse ora. Come era ovvio che Israele avrebbe attaccato ora, perché è la fine di Bush etc. etc.

È tutto così ovvio, qui in Medio Oriente.

Martedì 6 gennaio

La fiaccolata – Diario dalla Palestina 127

Era la ‘manifestazione dei pacifisti’. Non ho tanta voglia di raccontarvi che gli slogan erano “dal Marocco al Qatar vogliamo cacciare tutti gli ebrei” e “dove sono gli arabi? Vogliamo soldati, non pecore!”, e permettete la preterizione.

Allora vi racconterò che le candele erano trasportate dentro alla carta dei falafel:

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Che c’era tanta salita da scalare:

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Che tanta gente non c’era, ma qualcuna sì:

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Che con altre candele hanno scritto Gaza, ma in arabo, davanti alla Natività:

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Che c’era anche il megafono, come allo stadio, solo che davanti alla Chiesa della natività, e fa un po’ strano:

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Che dietro c’erano i preti che controllavano un po’ incazzati perché l’altra volta gli avevano appiccicato le candele sulla chiesa, ecco questo non ve lo posso, perché non ho fatto la foto, quindi vi accontenterete di una bella foto generale:

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Tantomeno vi spiegherò che Gaza in arabo si pronuncia krasa (il kr sarebbe una “r” francese + catarro):

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Però che la gente cantava cori per Arafat, beh, questo ve lo faccio ascoltare:

Poi chiamate me

Forse sarebbe il caso di.

La questione centrale dell’attuale intervento israeliano a Gaza non mi pare sia la sua legittimità, ma la sua efficacia.

Aggiungo, la smettiamo di dire “cosa faresti tu se ti piombassero i missili in giardino?” e cominciamo a dire “cosa sarebbe giusto fare, se ti piombassero i missili in giardino?”; invece di “cosa farebbe l’Italia se Trieste fosse bombardata dalla Croazia?” o “gli Usa se il Texas fosse bombardato dal Messico?”, domandarsi “cosa sarebbe giusto che l’Italia (o l’America) facesse?.

Altrimenti siamo tutti per la pena di morte, perché se-tammazzano-tumadre-ettu-sorella, bla, bla, bla.

Lunedì 5 gennaio

Proteste a Betlemme – Diario dalla Palestina 126

Oggi Betlemme è più rumorosa, i canti dei muezzin sono più incisivi, e ci sono molti più fedeli. Ho visto anche per la prima volta gruppi di bambini con dei bastoni – per me non c’è da avere paura, so come comportarmi in questi casi, e quel poco d’arabo che so mi aiuta. Soldati israeliani, qui, non ce ne sono, quindi è solo una dimostrazione di rabbia.

Stasera c’è una marcia da Bet Sahour alla Natività contro la guerra a Gaza, in bici è una salitona non indifferente, figuriamoci a piedi: mi hanno specificato che si tratta di una marcia “pacifica”, nel senso che gli slogan non dovrebbero essere dei peggiori. Se così sarà, sarò un marciante anche io, altrimenti solo un fotografo.

Intanto sulla ringhiera davanti al palazzo dell’UNRWA (cioè l’ONU) di Betlemme sono stati attaccati questi cartelli:

Al di là della sproprzione evidente, e comunque la si pensi, i palestinesi dovrebbero capire che tirare in ballo l’olocausto per quello che sta succedendo a Gaza è controproducente: basta il conteggio delle vittime per archiviare la questione, e non parlare d’altro:

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Una scritta più equilibrata, e anche molto significativa: Leonardo dice che la stessa frase usata da Obama per i cittadini di Sderot potrebbe essere usata per i palestinesi. Il concetto è quello – “noi siamo palestinesi, diversità nell’unità, i nostri bambini come tutti i bambini devono vivere in pace e sicurezza”:

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In arabo:

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I caduti:

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Ecco il palazzo dell’ONU:

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C’è vento, e sopra sventola la bandiera azzurra:

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Altre segnalazioni

Un lettore mi segnala la lunga lettera di un rabbino, Michael Lerner, che elenca una dozzina di punti che potrebbero portare alla pace in mediooriente. È talmente vero, che ognuno che ne leggevo pensavo: sì, giusto, ma non succederà mai. Uno per uno, la stessa identica reazione. Se volete sapere come si potrebbe raggiungere la pace, ma non succederà mai, leggetela.

Israel’s attempt to wipe out Hamas is understandable, but dumb.

Da Malvino, invece, scopro alcune considerazioni di Gianni Pardo che mi hanno fatto riflettere. Per quanto trascurino le responsabilità israeliane nella faccenda, hanno fatto vacillare quella che è una mia convinzione da tempo, ovvero che Arafat fosse il peggior nemico delle persone palestinesi (ma amico del popolopalestinese):

Se non si vuole essere pessimisti senza speranza, rimane lecito sperare che le ferite inferte ad Hamas siano tali da indurre a più miti consigli la dirigenza di questa gang: dopo tutto, è ciò che è avvenuto nel Libano meridionale, con Hezbollah. Ma questa vicenda fa venire in mente una terribile battuta di Voltaire: “Non è vero che tutti gli uomini agiscono per egoismo. Se fosse vero, ci sarebbe modo di mettersi d’accordo”. I fanatici non sono sensibili all’egoismo e non ascoltano nemmeno l’istinto di conservazione.
Si è quasi tentati di rimpiangere Yassir Arafat che era corrotto, sì, ma egoista e amante della vita.

Lo stesso sull’amore per la causa più che per la vita – talvolta schietto amore per la morte – di Hamas, il sempre un pensiero più avanti Adriano Sofri.

I carri armati dovranno decidere che cosa fare quando si troveranno davanti una folla di bambini. Poi, comunque vada, dovranno chiedersi ancora una volta come tornare indietro.

Pensieri raccolti: considerazioni sulla guerra a Gaza

Alcune cose che penso, che ho letto, che ho rimuginato, e che spesso mi sembrano mancare – almeno linguisticamente – nel dibattito sulla guerra in corso:

Israele uccide civili: ci sono tre comportamenti, nei riguardi dei civili, in guerra.
Il primo è quello di cercare di ridurre al minimo le vittime civili, anche a costo di fare operazioni militari meno efficaci.
Il secondo è quello di ignorare la quantità di vittime civili che un’operazione militare possa comportare.
Il terzo è quello di cercare di fare più morti civili possibile.
Israele si comporta in un modo che rientra nello spettro fra il primo e il secondo, a seconda dell’opinione che se ne ha.
Hamas si comporta inequivocabilmente nel terzo modo.
Israele vuole uccidere il meno possibile/se ne frega. Hamas vuole uccidere il più possibile.
Non tenere conto di questo è disonesto.

Hamas ha rotto la tregua: questo è vero a metà. Il governo israeliano ha sempre più stretto le maglie di un embargo che non aveva nulla a che vedere con la sicurezza. Il 90% dei camion di viveri che dovevano sfamare Gaza, venivano bloccati al confine senza alcun motivo. In questa situazione Hamas non aveva nessun modo di attirare l’attenzione su di sé, di far cambiare questa politica, se non con i lanci di razzi. Questo giustifica il lancio sui civili? No (ho detto “no”), però Israele ha fatto molto di quello che poteva perché Hamas ricominciasse.
Il video che gira in questi giorni su internet è della solita faziosità di questi video, com’è per gli stessi video dalla parte opposta: Israele aveva tolto l’embargo due giorni prima dell’inizio della guerra, e proprio questa mossa – che alleviasse l’immagine israeliani agli occhi internazionali – era stato considerata dagli esperti la prova evidente che ci sarebbe stato di lì a giorni l’attacco: come difatti è stato.
Ignorare le responsabilità israeliane è disonesto.

L’attacco è stato sproporzionato: il termine “sproporzione” non può essere usato in maniera ambigua, per giocare su più tavoli; dunque chiariamoci, sproporzionato non si intende rispetto alle vittime che faceva Hamas, perché richiedere una risposta proporzionata in questo senso (Israele che lancia razzi Kassam su civili da Ashquelon, Ahsdod, Beer Sheeba, etc???) significherebbe colpevolizzare Israele perché è più forte, e non perché usa in maniera sbagliata tale forza (questa è il surplus di responsabilità).
Si parla di sproporzione per sostenere che Israele poteva fare qualcosa di più proporzionato rispetto a sé stesso, cioè rispetto a ciò che ha fatto. Davvero chi usa questo argomento avrebbe considerato accettabile un attacco che non facesse 500 morti, ma – diciamo – 200? Che avesse lanciato la metà (o un quarto) dei missili? Ve lo dico io, no. Chi dice che l’attacco è sproporzionato dice che Israele non avrebbe dovuto rispondere, che è una posizione difficile – e per inciso, è la mia – ma che bisogna avere l’onestà di sostenere con tutto il peso della sua difficoltà, senza nascondersi dietro a perifrasi in cui non si crede. Bisogna dire: Israele ha fatto male a reagire, punto.
Definire ‘sproporzionato’ l’attacco è disonesto.

I palestinesi hanno votato Hamas: qui mi è sembrato di intravedere della malafede da entrambe le parti.
Da una parte c’è chi è filo-palestinese e dice che essendo Hamas un partito eletto democraticamente (c’è poi da domandarsi se l’uccisione di un centinaio di avversari politici rientri nel “democraticamente”), bisogna confrontarsi con esso e accreditarlo in quanto tale, perché queste sono le regole della democrazia: sono gli-occidentali che amano la democrazia solo quando piace a loro. Non è così, le regole della democrazia sono esattamente queste: le persone fanno una scelta consapevole, e assumono le conseguenze di ciò. Se invece di Obama gli americani avessero votato Charles Manson come presidente degli Stati Uniti, qualcuno avrebbe parlato di antidemocraticità se il primo ministro inglese, francese o italiano si fosse rifiutato di intrattenerci rapporti commerciali? Se un palestinese vota Hamas si assume le conseguenze di quel voto, che vuoldire non solo “voglio ricacciare fino all’ultimo israeliano in mare”, come da statuto (la qual cosa non deve essere legalmente perseguibile), ma anche “voglio/sono-consapevole-del-mio-voto-per i missili su Israele” (la qual cosa sì).
Dall’altra parte ci sono i filo-israeliani che usano questo argomento, senza specificare quali siano le conseguenze di tale ragionamento. Perché il pensiero sotteso è “se la sono voluta”, ma quello un pochino più sotteso è “se lo meritano”. E include in questo merito, di morire, anche coloro che non hanno votato Hamas che la pensano in altro modo, ma che sono chiusi in quella gabbia umana che è Gaza. Se uno davvero pensa che aver votato Hamas, o vivere accanto a chi ha votato Hamas (quindi Gramsci deve morire, Edoardo d’Inghilterra no), sia sufficiente per meritare la morte, o meglio il rischio di morire, deve dirlo chiaramente: “I palestinesi hanno votato Hamas… quindi si meritano di essere bombardati”. Anche chi vorrebbe andare in America e aprire una pizzeria.
Dire: “i palestinesi hanno votato Hamas” senza specificarne le conseguenze è disonesto.

Sabato 3 gennaio / sera

Ramzi, presente – Diario dalla Palestina 125

Qualche giorno fa Hamas aveva annunciato che venerdì sarebbe stato il giorno della vendetta, e i Territori sono stati “chiusi”. Ovvero chi ha il documento verde, cioè i palestinesi-palestinesi, non può andare in Israele: neanche chi solitamente ha il lasciapassare. Le misure di sicurezza, al di là del muro, sono notevolmente aumentate, su ogni autobus ci sono tre uomini della sicurezza e si vedono soldati o poliziotti ovunque.

Anche se i territori sono “chiusi” gli arabi-israeliani e – va da sé – gli europei possono oltrepassare le “frontiere”, che siano linee verdi o muri.. Come se ci fosse un vantaggio a poter giocare su entrambi i tavoli, o su nessuno dei due. Perché neanche gli israeliani possono andare nella zona A dei Territori (Betlemme, Ramallah, Tulkarem, Qualquylia, Nablus, Jenin, etc,), come di legge da qualche anno. Oggi nessuno vuole problemi, anche questi controlli sono più stretti.

Tantissimi controlli in entrata a Gerusalemme, e pochissima fila al check point in uscita: sul pullman palestinese che fa la tratta Gerusalemme-Betlemme si passa un check-point per automezzi – se c’è molta calma è il soldato a salire e controllare i documenti, la procedura media è che si scende tutti, controllano i documenti e il bagagliaio del pulmino, e si risale. Oggi procedura approfondita, che in vari mesi non avevo mai visto: tutti scendono, si controllano i documenti, ma questa volta non li restituiscono. Nel quarto d’ora che segue ogni identità è vagliata approfonditamente con il quartier generale. Tutto a posto. Restituiscono il malloppo all’autista, e si riparte.

Qui l’autista, con tutti i documenti in mano, fa l’appello; il proprietario del documento, come a scuola, alza la meno e l’autista glielo consegna:

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Per ora la vendetta di Hamas non si è vista.

Su Gaza

Ho avuto finalmente un po’ di tempo per leggere vari articoli arretrati di questa settimana, da leggere se si vuole capire dove si è andati, dove si sta andando, e dove si andrà:

  • Gaza: the rights and wrongsEconomist – non ho nulla da obiettare. Si parla dell’embargo che Gaza stava subendo da Israele, argomento che mi sembra latitare altrove. Se avete il tempo di leggerne solo uno, per capire cosa è successo in questi giorni, leggete questo.
  • Don’t overlook Israel’s vulnerabilityIndependent – Fa due domande molto importanti a coloro che, come me, pensano che l’attacco a Gaza sia stato sbagliato. Se si risponde a quelle due domande, la propria posizione non è pregiudiziale.
  • What victimology does not account forGuardian – Qui si elencano vari, storici, errori dei palestinesi: manca la controparte. Però quanto è vero che i palestinesi “non hanno mai perso un’occasione di perdere un’occasione”
  • That’s enough pointlessTimes – Questo lo linko solo perché finisce dicendo che “tutto il resto è fuffa”: devo chiedere scusa a Francesco?